Quella sera al Circo Massimo noi, Roger Waters e i gabbiani | Rolling Stone Italia
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Quella sera al Circo Massimo noi, Roger Waters e i gabbiani

L’appello politico contenuto all'interno dell'enorme spettacolo multimediale di Roger Waters è così genuino e accorato da trasformare ogni Primo Maggio in un concerto dei Negramaro

Quella sera al Circo Massimo noi, Roger Waters e i gabbiani

Roger Waters

Foto: IPA

Il concerto di Roger Waters al Circo Massimo comincia alle 21 in punto del 14 luglio, anche se definirlo concerto sarebbe riduttivo più o meno come definire “piazzale” il Circo Massimo o Roma “una città”. In Us + Them, il titolo del tour che giunge oggi alla sua ultima e scenograficamente più importante tappa europea, Roger Waters è più Richard Wagner che Pink Floyd.

Quella di Waters è una proposta di Gesamtkunstwerk rock: un’opera d’arte così totale che, in ordine sparso, comprende: due suini volanti, di cui uno bilingue, marchiato con “Stay human” su un fianco e “Restate umani” dall’altro; la proiezione, mediante laser, di un prisma tridimensionale sul pubblico; un omaggio commovente a Razan al-Najjar, la ventunenne infermiera palestinese uccisa da un cecchino israeliano durante una protesta; una piccola luna luccicante, senza più lati oscuri, che vaga sul pubblico; un musical satirico su Donald Trump; veri fuochi d’artificio provenienti dalle ciminiere di una fabbrica volante; una ventina di slide col manifesto programmatico di Waters: ritrovarsi di nuovo uniti, praticando insieme una serie dettagliata di forme di resistenza civile e culturale.
Le scelte produttive dietro questo show sono così intrinsecamente multimediali e pluridisciplinari che farebbero sembrare qualunque altro concerto-spettacolo di questo tipo un semplice documento Word, rispetto alla profondità, alla sottigliezza, alla generosità audiovisiva dell’immenso Keynote preparato da Waters. Per di più, l’appello politico in esso contenuto è così genuino e accorato da trasformare ogni Primo Maggio in un concerto dei Negramaro.

Non c’è un minuto che non sia, a un tempo, del tutto intrattenimento e del tutto politica, tanto warholiano nella fotografia e nelle visioni quanto orwelliano nelle tematiche e nella forza delle metafore impiegate. Us + Them è un capolavoro di concerto perché è sia didattico per i giovani e i giovanissimi sia, dote assai rara, relativamente poco auto-assolutorio per adulti e bamboccioni.

L’altro grande merito di Waters è di annullare le distanze tra i suoi pubblici. Chi non ha il biglietto di pit area e non vuole restare nelle infinite retrovie di un concerto da più di 45.000 persone e tre generazioni (con una quarta, immaginiamo, già in cantiere), fa la fila dalle 11 di mattina. La speranza è accaparrarsi un posto, al sole, in attesa che scenda la sera e si accenda lo schermo dietro al palco. Nel frattempo, può succedere di tutto. Un giovanotto in Fred Perry del settore A parlotta incessantemente con la ragazza shabby-chic più carina del settore B. Piramo e Tisbe tra le transenne, si tengono ormai la mano, sotto gli sguardi commossi della protezione civile.

Il retrogusto di J’adore di Christian Dior fa a gara con quello delle canne. Il parterre – che conosce solo due fasce di prezzo: pit area e resto del mondo – oltre che intergenerazionale, è anche multi-reddito. Qualcuno proprio non ce la fa a mimetizzarsi. Purtroppo, ancora non hanno inventato la figura dell’ambulante di Birkenstock. Un paio di Hogan Interactive di troppo è subito additato, non tanto come segno di collusione coi poteri forti, perché la statura fisica di chi la porta, al lordo del rialzo segreto, fa presagire futuri problemi di visibilità. Con il sole da poco oltre lo zenit, parte la gara a chi indossa il merchandising dei Pink Floyd più antico. Il 1973 batte a mani basse il 2011. Come per la lunghezza delle barche a Porto Cervo, non c’è limite all’ingarellamento: prima o poi arriva sempre qualcuno che sta messo meglio di te. Una signora sfoggia la maglietta del primissimo tour (September 30, 1966). Ma ecco arrivare un tizio che allunga la mano, e, in perfetto italiano dei Parioli, sogghigna: “Piacere, so’ David Gilmour”.

Roger Waters @ Circo Massimo di Roma, foto IPA

​Il primo video getta sul pubblico un alone di mistero. Cosa vorrà dire quella spiaggia a tutto schermo, mentre le casse in quadrifonia riproducono il rumore delle onde (doppio audio dei romani: “Come a Capocotta!”), i versi dei gabbiani (“Come a piazza Venezia!”)? Seduta con le spalle rivolte a noi c’è una donna che attende qualcosa, col capo coperto da un velo. Quando il primo rullo della batteria di Joey Waronker irrompe nelle casse, e una sfera cromata (la nostra luna senza più lati oscuri), un po’ citando Melancholia di Lars von Trier, un po’ facendoci sinceramente prendere un colpo, irrompe sulla spiaggia, spazzando via con essa il mondo, le sigarette ancora accese, i commenti più o meno arguti. Solo allora lo spettacolo comincia davvero.

Il filo conduttore tra tutte le parti dello spettacolo, piccole e grandi che siano, è questa piccola luna d’argento, che riflette tutto, comprende tutto, fa di tutto. All’occorrenza, anche da occhio di bue: durante gli assoli, sullo schermo, si allarga fino a inquadrare i musicisti, live e in alta definizione. Quando ha finito di recitare tutti i suoi ruoli all’interno dello schermo, ne viene fuori e, sotto forma di gonfiabile, svolazza sulle teste del pubblico, riflettendo sulla sua superficie il Palatino, Roma, i romani, le luci degli schermi telefonici dei romani. Quella luna è il messaggio di Us + Them. Nella prima scena sembrava assalirci, ma in realtà ci stava salvando dal naufragio. È il simbolo di quello che intende Waters per opera d’arte totale.

Infatti, l’elemento più politico dello show, in senso alto, è il rapporto tra schermo, palco e pubblico. Solo Dio o Roger Waters (che, per i presenti, è la stessa cosa) sanno come le maestranze siano riuscite, faraonicamente, a montare quello schermo. È largo 66 metri e alto 12 (“Ammappa è quanto Corviale”). I colori del video fanno quasi da luci: quando si accende una nuova scena, li avvertiamo sul corpo, forti come i bassi. Qui c’è da dire che il Circo Massimo fa la sua parte meglio di qualunque Hyde Park. Non c’è niente di meglio di uno stadio, dove da sempre il pubblico è, per la struttura degli spalti, parte dello spettacolo, per rappresentare il concetto fondamentale di questo tour: tutti possiamo fare la nostra parte per resistere. Anche il tizio che non smette di fare riprese con l’iPad Pro da 12,9 pollici da Welcome to the Machine.

Il momento politico più diretto di Us + Them, in senso meno alto, è il musical anti-trumpiano. Si divide in due filoni. Il primo è lo sberleffo visivo, uguale e contrario al registro narrativo di Trump stesso, in cui ci si prende gioco del Trump col rossetto sulle labbra, del Trump 100% suino, del Trump dal piccolo membro. Meno interessante dal punto di vista del contenuto, strepitoso da quello visivo, con le tante caricature che sembrano uscire dalla Factory di Andy Warhol, come le parrucche delle coriste, Jess Wolfe e Holly Laessig: le Lucius.

Il secondo filone è costituito da una decina di slide con citazioni del presidente americano che, accostate alla musica e ai testi dei Pink Floyd, assumono un tono surrealistico, comunicativamente più efficace dell’oltraggio.

A questo si aggiunga una nota politica tutta italiana. C’è una slide, tra quelle che vengono proiettate nel corso della pausa di 20 minuti, che elenca una serie di personalità del neo-fascismo internazionale, a cui resistere. Ci sono: Trump per gli USA, Orbán per l’Ungheria, Le Pen per la Francia, Kurz per l’Austria, Farage per il Regno Unito, Putin per la Russia. Un bel dream team. Non ci sono però riferimenti italiani. Questo, nonostante nei video compaiano, alla voce Money money, Berlusconi e Monti. E nonostante quella della balena ritrovata con 20 libbre di plastica nello stomaco (a cui è dedicata un’altra slide), e quella dell’uccisione di Razan al-Najjar, siano notizie quasi contemporanee rispetto alla formazione del nostro attuale governo. Un messaggio di speranza?

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