Preferite il leghista folkloristico, il leghista terrone, l'indeciso o il pariolino? | Rolling Stone Italia
Gonzo

Preferite il leghista folkloristico, il leghista terrone, l’indeciso o il pariolino?

Alla manifestazione di sabato della Lega se ne è vista (e sentita) di ogni. Ma tutto svanisce davanti alla formidabile classificazione tassonomica dei seguaci del Capitano

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Roma — Alle 10.30 di sabato 8 dicembre i più puntuali tra i leghisti della prima ora prendono posto in piazza del Popolo e cominciano a sbraitare, a ondeggiare, a dimenarsi, quasi fossero incitati dal vocalist di una festa in spiaggia. Buongiorno Roma buongiorno Lega buongiorno salvinianiiiiiii!. Invece delle cubiste, sul palco c’è tutta la squadra di governo in quota Lega, a partire da Giulia Bongiorno. E, al posto della sabbia, qualcosa di altrettanto fastidioso, se ti si infila nelle mutande: tutti gli italiani che non ci sono.

La manifestazione è strutturata come una discoteca: un paio di piste aperte a tutti e vari livelli di privé, fino alla console. La scala sociale è al contrario: più ci si avvicina al dj, più variano i casi umani, mimetizzati alla perfezione tra i consiglieri regionali eletti. Ai controlli, presentarsi con un ritratto di Putin al seguito è un lasciapassare qualificato almeno quanto una tessera da parlamentare. I ragazzi sotto i 25 anni, anche senza pettorina di Salvini Premier, entrano purché abbiano indosso una felpa Praha Drinking Team. I signori con le corna da vichingo sono pregati di accomodarsi dove più gli piace, perché tanto hanno un chip all area access installato sotto l’elmo.

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La console vista dalla pista. Foto di Giovanni De Stefano

Fin qui, a onor del vero, nient’altro che la consueta amministrazione straordinaria di una tipica adunata della Lega. Un commissariamento dell’anima, come del resto accade per ogni esercizio di populismo coreografato bene. I leghisti della prima ora non immaginano neppure quanto il loro mondo stia per cambiare.

Da ogni lato delle due esedre del Valadier, nascoste dietro le sfingi come pellirossa all’orizzonte, prima una, poi due, poi dieci, cento, mille, diecimila persone normali lanciano sorrisi di sfida ai volontari del servizio d’ordine. Sono orde. Sono i barbari della Lega, nella misura in cui i barbari dei barbari sono perfettamente civili ma, come tutti i barbari, segnano comunque la fine di un’era.

Già alle 11 basta guardarsi attorno, all’ombra dell’obelisco Flaminio, per capire che i conti non tornano. A manifestazione finita il database tematico e antropologico di Matteo Salvini si sarà talmente allargato che la tassonomia del suo elettorato andrà urgentemente riscritta. Questa è solo una prima bozza, dal tipo di leghista più tradizionale a quello più innovativo.

Due leghisti folkloristici affrontano le prime avvisaglie di cambiamento. Foto di Giovanni De Stefano

Il leghista folkloristico è, per capirci al volo, quello con le corna da vichingo. Sabato ce n’era anche un’altra versione, più sottile ma forse, da ora in avanti, più pericolosa che mai: il leghista con le grafiche vecchie. Il rischio è quello di mostrare vessilli della Lega di una volta con quello stesso vanto con cui, alle reunion di un gruppo storico, si ostentano le magliette dei primi concerti. Finché si tratta di Nord Libero (tra l’altro diffusa in un violetto ben più difficile da abbinare del blu dominante oggi), ancora ci siamo. Ma pensate se a qualcuno sabato fosse sfuggito un cappellino di Roma ladrona.

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Un leghista con le grafiche vecchie. Foto di Giovanni De Stefano

Una voce ottimista ci consiglia di collocare ancora in questa categoria il leghista putiniano. In piazza del Popolo ce n’era uno interessante, con la faccia da Aragorn e l’eloquio ripetitivo: Putin è il nostro migliore alleato straniero. Putin c’è. È con noi ed è pronto a battersi. Per intenderci, resta tra i folkloristici soprattutto perché quel mantra lo pronunciava sì con uno sguardo di serena minaccia, ma pur sempre con un presepe in mano. Pertanto, potrebbe sconfinare con:

Il cattoleghista, grande protagonista della mattinata, ha aspettato fino alle 11.45, in silenzio, con la massima calma, il suo trigger. Questo è arrivato quando il ministro Bussetti ha esaltato il crocifisso nelle aule scolastiche e, contemporaneamente, le campane di Santa Maria del Popolo hanno cominciato a suonare. Sono professionisti pazzeschi. Bussetti e campane. Campane e Bussetti. Il cattoleghista, a quel punto, non ci ha più visto e ha cominciato a urlare certi hallelujah, come se gli si fossero appena schiuse davanti le porte del paradiso. Non è colpa sua. È che ama troppo l’immagine, al tempo stesso antica e moderna, di un Salvini non più pescatore di trote, ma dj di anime, che instancabilmente remixa programmi ed elettorati. Del resto, il cattolicesimo è proprio quello che ci vuole, sulla lunga strada del ritorno a casa, dopo aver aggredito un ultimo radical chic su Facebook, per autoassolversi e addormentarsi cullato dal Va, pensiero di un pullman stracolmo di altri credenti.

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Un cattoleghista putiniano e presepoforo. Foto di Giovanni De Stefano

Il leghista convinto era calato su piazzale Flaminio con un solo motto: “Dalli al salottiero”, ma si è ritrovato con in mano un pugno di mosche. Tra le fila dei convinti, sabato, anche i più fidelizzati dei leghisti fondamentalisti (es.: il fascioleghista, il leghista tassinaro, il leghista che è stato dentro, etc.), per la prima volta, erano in grande difficoltà. L’apertura mentale mostrata dal leader, soprattutto nei confronti di keyword non italiane come Martin Luther King o concetti come la millenaria cultura tradizionale africana, a dire il vero, li ha un po’ spiazzati. Per non parlare del messaggio ecologista raffazzonato e contraddittorio, ma comunque ecologista. Ma è proprio qui che si parrà la nobilitate del leghista convinto. La differenza tra chi mostra senso critico nei confronti di quello che dice Salvini e chi invece gli obbedirebbe, senza se e senza ma, anche se gli chiedesse di abbracciare un albero (o un maghrebino).

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Un leghista convinto. Foto di Giovanni De Stefano

Il leghista terrone non è certo una novità, ma sabato ha trovato la sua consacrazione. In passato il leghista settentrionale lo aveva sempre guardato come un male necessario, con la stessa condiscendenza con cui si saluta il bagnino ancora unto di frisa che però è l’unico in grado di aprirgli l’ombrellone. Questa è la Lega dell’unione degli opposti, che trae unità dalle diversità. Lo ha detto “chiaramente” anche Salvini. Diversità di cui abbiamo una diapositiva: il leghista putiniano che balla Cesare Cremonini col leghista di Putignano.

Il grillino pentito, dopo quasi un anno vissuto pericolosamente, ha finalmente capito che, almeno nelle storie di Instagram, è meglio passare per cattivo che per fesso, dando retta al diavoletto che, dal 4 marzo scorso, aveva dovuto soccombere sotto i colpi dell’angioletto: Sii onesto e vedrai che il reddito arriverà. Ormai convertito, in piazza lo si riconosce facilmente perché ha sottobraccio un incartamento della Città del Sole a forma di mappamondo.

Il leghista romanista si era portato dietro dal Prenestino la bandiera della squadra del cuore e il cinturone con le borchie, giusto in caso di emergenza. Un piccolo segnale da dare, nel caso qualcosa fosse sfuggito al dossier del team di comunicazione. Invece, il team ha lavorato benissimo. Così come ha inserito nella white list nuovi temi e personaggi, allo stesso modo aveva reso ben chiare le parole tabù, che avrebbero alienato segmenti di pubblico (con buona pace degli amanti delle bionde, dopo che il sacrificio di Pamela Anderson si è reso necessario). Nessuno si è neppure sognato di nominare la parola “capitano”. L’onore di Totti è salvo.

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Alcuni leghisti dilettanti alle prese con alcune pecche di gioventù. Foto di Giovanni De Stefano

Il leghista dilettante era tesissimo. Una settimana a pane duro e Stanislavskij non gli era bastata, per entrare nella parte. Neppure l’attenzione a restare arrogante, prevaricatore, sgrammaticato, nel corso di tutta la manifestazione, per non farsi scoprire, resistendo alla tentazione di essere gentile o accomodante alla prima distrazone o emergenza. Tanti sforzi bruciati nei secondi che ci sono voluti a pronunciare, la prima volta gli hanno pestato i piedi: Ma si figuri.

Il leghista pariolino, invece, aveva un cruccio del tutto nuovo, per un leghista. Il fatto è che già farsi vedere a una manifestazione politica, in genere, di per sé fa un po’ cafone. Aggiungeteci piazza del Popolo all’ora di punta dello shopping dell’Immacolata, e in pieno global warming, quando a mezzogiorno di dicembre fanno ancora 18 gradi e i leghisti convinti sudano. Eppure, niente che il loro aplomb non potesse gestire. È più o meno quando sei una signora della Roma bene e ne incontri un’altra in un McDonald’s: ormai ci siete, vi siete sgamate a vicenda e tanto vale continuare a darci dentro col Cripsy McBacon, finché è ancora tiepido.

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Leghiste parioline di passaggio. Foto di Giovanni De Stefano

Sabato ce n’era una con spille e bandierine Prima gli italiani che, intravista una parente di passaggio, si era preparata tutta una parte per sostenere che anche lei era lì solo per attraversare in fretta piazza del Popolo: sarebbe dovuta correre in via del Babuino a vedere se Givenchy avesse ancora tubini neri. Ma ormai era troppo tardi, la frittata era fatta, era giunto il momento di giocare a spille scoperte. L’odio di classe prêt-à-porter è la soluzione più facile: Se solo nonna fosse stata più equa non sarei qui a lottare anche contro di te, sì cara mia.

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Un leghista hipster visibilmente emozionato. Foto di Giovanni De Stefano

Il leghista indeciso era il più prevenuto di tutti. Uscendo di casa col Golden Retriever, aveva scherzato coi vicini sul fatto che, se fosse passato dalle parti della manifestazione, si sarebbe divertito a calcolare l’autonomia di movimento che hanno i leghisti convinti rispetto alle fake news e ai post sponsorizzati dai russi, quando si trovano privi di accesso continuativo ai monitor. Forse vengono rifocillati di cazzate come durante una maratona, in appositi punti ristoro? Quanti minuti senza Facebook ci vogliono per farli tornare di Forza Italia?

Ma poi anche per lui è cambiato tutto. Era venuto per rispondere ai suoi istinti più bassi e si è trovato, esterrefatto, ad ascoltare citazioni tratte da un pantheon salviniano sempre più allargato, che ormai può vantare un archivio di citazioni e spartiti decontestualizzati che spazia da Giovanni Paolo II a Martin Luther King, da Rino Gaetano a Vasco Rossi. Nessuno che gli chiedesse lo sforzo di distinguerli, né di collocarli storicamente o anche solo geopoliticamente. Povia era uguale a Bennato e, stranamente, si è reso anche conto che era proprio quello che gli serviva. Per la prima volta nella vita — o, perlomeno, da quando è finita per sempre la sua storia con la segretaria — non doveva scegliere. È stato come se una sirena con la barba e una lunghissima coda blu gli sussurrasse all’orecchio proprio le dolci parole che non avrebbe mai osato chiedere: Non discernere, Gianvito! Non c’è più bisogno di scegliere. È stato Salvini a non scegliere per lui.

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Un leghista fricchettone ben mimetizzato tra un gruppo di leghisti indecisi. Foto di Giovanni De Stefano

Per farla breve, sabato è successo che la Lega è diventata così mainstream che ora ci sono anche i leghisti hipster. Da oggi in avanti, accanto ai leghisti efferati, troveremo anche i leghisti fricchettoni, i leghisti educati, i leghisti dark. Chissà, un giorno anche i leghisti emo.

Diamo il benvenuto a questa Lega così orizzontale che, al suo interno, trovano spazio innumerevoli verticalità. Tutte irresistibilmente attratte, come insetti di altre specie verso una lampada fulminatrice pensata solo per le zanzare, dall’idea di poter saltare sul pullman del vincitore. Tutte ugualmente leghiste e — paradossalmente — nella stessa misura sovraniste, come se tutti gli abitanti di ogni comune italiano si facessero stampare una maglietta con su scritto prima gli abitanti di questo o quel paese. Come se fosse possibile accontentare tutti senza smettere di accontentare l’unico e il solo che, alla fine dei conti, sarà davvero accontentato: l’eroe che l’Italia merita, ma che proprio per questo non è e non sarà mai quello di cui ha bisogno.

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Un esempio di particolarismo sovranista. Foto di Giovanni De Stefano

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