«Brutta, ma va bene»: cronaca della cerimonia The World’s 50 Best Restaurants 2025 | Rolling Stone Italia
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«Brutta, ma va bene»: cronaca della cerimonia The World’s 50 Best Restaurants 2025

Ieri, a Torino, si sono chiusi i giochi sul "ristorante migliore dell'anno", in tutto il mondo. Ma perché, tra tutti i luoghi d'Italia, abbiamo proprio scelto di portarli al Lingotto?

50 best restaurants 2025

Foto: press

Che idea, portare la celebrazione della classifica di ristoranti più prestigiosa al mondo nel capoluogo piemontese, nel clima temperato cittadino di inizio estate, mostrando a tutti gli avventori internazionali – chef, brigate, media, sponsor, appassionati – l’ex polo industriale del Lingotto, riconvertito a spazio eventi e centro commerciale. Dubito che in Italia non ci fosse un luogo più suggestivo e rappresentativo a livello gastronomico, visto che Torino non ha neanche un ristorante in 50 Best né in 100 Best. Se allarghiamo al Piemonte troviamo al 32° posto Piazza Duomo ad Alba, tre stelle Michelin che porta la firma di chef Enrico Crippa ma di proprietà della famiglia Ceretto, celebri viticoltori in Langhe (ecco, poteva essere un luogo migliore per la cerimonia) nonché promotori degli award di cui parliamo. Spezziamo una lancia a favore dei sabaudi, in città si mangia ancora mediamente bene, sia in trattoria (Scannabue, un esempio) sia allo stellato (Condividere, un altro).

Allora che congresso fieristico sia: 2000 persone sedute nell’Auditorium Gianni Agnelli (l’Avvocato adorava il ristorante del Cambio) e accolte dal discorso di benvenuto del nipote John Elkann che fa gli onori di casa ringraziando gli altri promotori, oltre Fondazione Ceretto, dell’evento: Massimo Bottura su tutti, il Ministro Lollobrigida e il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Tutti presenti in aula e pronti a salire in cattedra. L’ultimo della lista tenta l’inglese e spara una decina di banalità attorno al concetto di “cibo è cultura” con dei riferimenti alla produzione alimentare piemontese come «Il Piemonte è anche la terra della Nutella», visto che lui stesso è un imprenditore specializzato nella produzione di nocciole in Langa.

Poi arriva l’altro della Sovranità Alimentare, che non si sforza assolutamente nel parlare l’inglese ma riprende lo stesso copione di qualunquismo, inserendo incoerenze qua e là: «Le differenze sono un valore e una ricchezza. Sono proprio le contaminazioni culturali che con il tempo hanno creato quello che oggi è il marchio del Made in Italy». What? Ma non sono proprio le diversità che hanno fatto grande l’Italia, come dice lui, che il governo combatte con la monocultivar patriottica italica?

Finiti i noiosi convenevoli parte l’annuncio della classifica. Nell’isolato di poltroncine rosse intorno a me c’è la cricca dei media e creator italiani, felicioni di esserci, ma che andranno ad assistere a una carrellata di insegne che in maggioranza non hanno mai provato, non per malavoglia, ma per le poche risorse che si dispongono nel settore. Per fare il critico gastronomico internazionale bene bisogna essere ricchi, pagare i conti o avere un editore che lo fa per te, no inviti. Io che sono povero, di questa lista ho provato solo Atelier Moessmer di Norbert Niederkofler, tre stelle Michelin a Brunico alla numero 20 degli award, ma su invito da parte di un brand che fa macchinari per filtrare l’acqua. Ho mangiato bene? Il piatto del ricordo era un pre-dessert ai funghi, quindi forse no. Vino eccellente. Ci torneresti? No. Lo consiglieresti? No. In sintesi, anch’io venendo a questa manifestazione sto passeggiando davanti alle vetrine di Montenapoleone (via milanese dove i marchi di alta moda hanno i negozi), guardo i vestiti, i prezzi, e passo avanti. Ci saranno delle eccezioni nel settore, ma in percentuali bassissime.

Comunque, se i giornalisti e gli chef fanno fatica per natura a provare tutti questi ristoranti, chi mette in ordine questa classifica? Appunto votano “1,120 esperti internazionali nel settore della ristorazione e da esperti gourmet itineranti, che compongono la The World’s 50 Best Restaurants Academy. L’ Academy, che garantisce una rappresentanza di genere equa, comprende 28 regioni diverse in tutto il mondo, ciascuna composta da 40 membri, incluso un presidente di giuria.” Il regolamento impone che questi chef, giornalisti, ristoratori e buongustai restino anonimi e che votino da un minimo di 6 a un massimo di 10 ristoranti (mettendoli in ordine di preferenza) visitati negli ultimi 18 mesi, di cui massimo 6 nella propria area geografica di riferimento. Il regolamento è identico dalla prima edizione del 2002 e gli ispettori hanno l’obbligo di documentare la visita, pare solo con una foto, ma anche qui c’è un sistema di inviti da parte degli uffici PR dei ristoranti che conoscono i componenti dell’Academy.

Il risultato della classifica dice che gli italiani si posizionano con Uliassi a Senigallia al 43, Piazza Duomo ad Alba al 32, Le Calandre a Rubano al 31, Atelier di Brunico al 20, Reale a Castel di Sangro al 18 e il più alto è sempre Lido84 al 16. Sul gradino più alto Maido di Lima, al secondo c’è il miglior ristorante d’Europa, Asador Etxebarri, che vanta anche il miglior sommelier del mondo, Mohamed Benabdallah. Il premio sulla selezione dei vini l’anno scorso era andato a un’altro ristorante fondato sulle materie prime e sulla griglia come Don Julio a Buenos Aires (alla numero 10 della lista). E questo sicuramente è un segnale. Al quarto posto ci sarà un incazzatissimo Dabiz Muñoz con Diverxo a Madrid, locale prossimo alla chiusura, preceduto da Quintomil di Città del Messico.

Le classifiche parlano chiaro, anche questa. Ci sono 6 ristoranti a Bangkok nella lista, quindi è la città dove si mangia meglio al mondo, dove si trova il miglior ristorante d’Asia, Gaggan al 6, la miglior new entry, Potong alla 13 di Pichaya “Pam” Soontornyanakij, premiata miglior chef donna al mondo. Il resto della classifica la trovate qui sotto.

 

 
 
 
 
 
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Una menzione al premio Icona dato a Massimo Bottura e Lara Gilmore, volti e promotori di questo evento che, volente o nolente, è una macchina da business. Loro sanno fare il loro lavoro, bene, con delle idee, con i ristoranti, con gli hotel, con il sorriso, con le fondazioni, con un senso di appartenenza a quel territorio che è Modena e la “Food Valley” che sembra unico. Cosa vuoi dirgli? In pubblico dice sempre le stesse cose. Tanto poi, a farci quattro chiacchiere di persona, dentro, rimane sempre un cuoco. Hai mai conosciuto un cuoco? La strada: uè, vecchio!

Poi c’è l’after party, dove si beve con gli sponsor, ma nonostante il gotha degli chef sia qui riunito, si mangia il classico catering da evento, fino a quando si aprono le porte di un altro stage al Lingotto – come se fosse Club to Club – dove suona Benny Benassi (Bottura vocalist) e iniziano a girare vassoi di pizze di Franco Pepe e i tortellini del Tortellante, assaltati dai partecipanti affamati, tra cui i famosissimi chef in tiro (Jeremy Chan pare sia il più bono, a detta delle presenti). Chiudo con la frase che un riconosciuto ed esperto professionista del mercato food & beverage italiano mi rivolge ieri sera: “Brutta, ma va bene”. Forse ci accontentiamo troppo, noi italiani, e questo è quello che ci meritiamo: la cerimonia dei ristoranti più celebrati al mondo al Lingotto di Torino a giugno 2025.