Dieci anni di Sfera Ebbasta | Rolling Stone Italia
Cover Story

Dieci anni di
Sfera Ebbasta

Con ‘XDVR’ Sfera ha cambiato il rap italiano. Abbiamo parlato con chi c’era: Charlie Charles, Shablo, la madre Valentina, l’amico e personal Tommy. Storia del ragazzo di periferia che ha trasformato la trap in una cosa pop

Foto: BHMG

Quando si parla di Sfera Ebbasta si parte spesso dai numeri. È per esempio l’artista più ascoltato d’Italia su Spotify nel 2025, un primato che detiene ciclicamente da quando lo streaming è entrato nella nostra vita quotidiana. È un modo di raccontarlo che per certi versi ricorda quello riservato a Cristiano Ronaldo: quante reti ha segnato, quante coppe ha alzato. Ma questo approccio puramente quantitativo restituisce solo in parte l’importanza che Sfera ha avuto nella formazione del rap contemporaneo. Se oggi il rap italiano è il genere più ascoltato del Paese, riempie gli stadi (nel 2026 Sfera farà due date a San Siro a Milano e una all’Allianz Stadium a Torino), arriva sul palco di Sanremo e occupa una posizione centrale nel dibattito pubblico, è anche grazie a una rivoluzione di cui Sfera è stato il principale artefice.

Foto: Gabriele Micalizzi

Tutto è iniziato dieci anni fa, quando è uscito XDVR, un disco che non ha semplicemente introdotto un nuovo linguaggio e nuove sonorità: ha offerto un nuovo posizionamento per il rap in Italia, un’attitudine inedita basata sulla percezione che esistesse un altrove da raggiungere per radicare definitivamente il rap nella cultura popolare italiana. Attraverso brani come Ciny e Mercedes nero, Sfera ha scardinato il sistema di regole entro cui la scena rap italiana operava fino a quel momento, imponendo un nuovo paradigma nel quale ci muoviamo ancora oggi. Per celebrare la ricorrenza, venerdì è uscita una versione repack di quel disco con l’aggiunta di due inediti. Sempre per questa occasione speciale, Sfera sarà protagonista, venerdì 12 dicembre, del nuovo episodio di TIM New Music Night, il format di TIM che celebra la musica e che offre un’occasione unica di vedere il rapper dal vivo o in diretta sul profilo Instagram.

Abbiamo coinvolto alcune delle figure che hanno contribuito a quella rivoluzione per ricostruire, attraverso un coro di voci, che cosa ha rappresentato l’uscita di quel disco nel 2015 per la scena rap e come Sfera è diventato il nome più influente della sua generazione. Per illustrarlo, abbiamo scelto come immagine di copertina quella del numero speciale monografico dedicato al rapper col quale Rolling Stone è tornato in edicola cinque anni fa: un doppio anniversario.

Del periodo che ha preceduto la pubblicazione di XDVR si racconta spesso un dettaglio decisivo: la convinzione assoluta con cui Sfera ha affrontato il progetto, pur senza avere la certezza che potesse funzionare. Una convinzione che condivideva con Charlie Charles, produttore dei suoi primi tre lavori e in quella fase suo partner artistico a tutti gli effetti. «Mentre lavoravamo al disco e uscivano i primi estratti» racconta «sapevamo di avere tra le mani qualcosa di solido. Credo che quella fiducia abbia aiutato a convincere anche il pubblico. Non potevamo immaginare un successo così duraturo, ma eravamo certi di fare la cosa giusta». Quella determinazione colpisce subito uno dei primi addetti ai lavori che intercetta il duo e capisce di trovarsi di fronte a qualcosa di radicalmente nuovo: Shablo. Il produttore e discografico, ancora oggi manager di Sfera, ricorda che era evidente che quel progetto aveva un’energia e un immaginario senza precedenti nella scena italiana. «Sfera aveva già dentro di sé i semi di ciò che sarebbe diventato: una superstar. Aveva idee chiarissime sull’artista che voleva essere, sul suono che cercava, su ciò che intendeva rappresentare. Il mio contributo, insieme a quello di Marracash all’inizio, è stato soprattutto strategico: li abbiamo aiutati a orientarsi in un mercato di cui all’epoca non conoscevano le dinamiche».

A completare il quadro interviene Valentina, la madre di Sfera (preferisce non apparire col cognome) che parla anche di vulnerabilità. Accanto alla determinazione, c’erano inevitabilmente dei timori. «Ho sempre creduto nelle potenzialità di mio figlio. Ricordo benissimo il percorso che ha preceduto l’uscita di XDVR. Ricordo le paure, le tensioni. E ricordo soprattutto di avergli ripetuto sempre la stessa cosa: non mollare, credi nel tuo sogno, fai tutto quello che puoi per realizzarlo. Dal momento in cui il CD è arrivato nelle mie mani, anche per me è diventato Sfera Ebbasta, non l’ho più chiamato Gionata».

Foto: BHMG

Il successo di XDVR è stato, a tutti gli effetti, sconvolgente. Ma il disco non è stato accolto subito con entusiasmo da una parte della scena rap. «All’inizio ci sono state tante critiche», ricorda Charlie, «si è creata subito una frattura netta nel pubblico: da una parte chi idolatrava la novità, dall’altra chi la rifiutava in blocco. I puristi del rap, per esempio, non digerivano l’Auto-Tune, le basi più melodiche, un approccio distante dalla tradizione». Questa contrapposizione tra rap “tradizionale” e ciò che veniva etichettato come trap ha generato uno strano cortocircuito tutto italiano: la nascita della figura del trapper, un termine che fuori dal contesto italiano non esiste. Allo stesso modo, si è diffusa l’idea che il suono di Sfera e Charlie fosse figlio di una presunta americanizzazione del rap italiano. Charlie respinge questa lettura: «L’hip hop è da sempre una cultura nata altrove. In questo senso è un’americanata, letteralmente. Ma la trap è rap, nel resto del mondo nessuno la considera una cosa a parte. Era assurdo sentirci dire che guardavamo all’America. Noi guardavamo alla Francia. Eravamo fan di quella scena: Booba, Kaaris, tutto ciò che stava accadendo lì. Il nostro suono era quello, francese, cupo. Poi l’abbiamo customizzato in Italia ed è diventato la cifra di Sfera».

A livello discografico, la scalata di Sfera coincide non a caso con una trasformazione molto più ampia che Shablo aiuta a contestualizzare: «L’arrivo di Sfera avviene nel pieno di una rivoluzione digitale: intorno al 2016 le piattaforme di streaming, Spotify in primis, sono diventati gli attori centrali del mercato. Hanno cambiato le regole del gioco: il potere passava dalla promozione tradizionale all’ascoltatore. E quel pubblico, in quel momento, stava chiaramente cercando qualcosa di nuovo. Sfera ci è arrivato per primo, nell’istante esatto in cui tutto si stava trasformando. Da un lato ha innovato musicalmente il rap italiano introducendo la melodia, una diversa musicalità nelle metriche e nel flow, sdoganando l’Auto-Tune pur mantenendo un immaginario street molto forte, che parla direttamente ai ragazzi. Dall’altro ha portato un’estetica nuova: un mondo visivo già presente altrove, ma che in Italia nessuno aveva mai interpretato con tanta coerenza e forza espressiva».

In quella fase di cambiamento Sfera ha anche esercitato una leadership naturale su una schiera di giovani rapper suoi coetanei. L’incontro con Ghali, la Dark Polo Gang, Tedua, Izi, Rkomi, Enzo Dong e altri ha dato forma a quella che oggi viene chiamata generazione 2016, un gruppo di artisti che, ognuno a modo suo, ha contribuito a portare a compimento la trasformazione culturale e di mercato avviata da XDVR. Tommy (Tommaso Agosti), amico e personal di Sfera, ricorda bene quanto tutto fosse spontaneo: «Se ripenso a quel periodo, penso a quando abbiamo girato BRNBQ. C’è una foto storica all’Arco della Pace di Milano: noi, Tedua, Mirko e gli altri. Erano lì senza nemmeno comparire nel video, sono rimasti con noi fino alle 4 del mattino, per farti capire quanto eravamo legati. Ricordo le prime trasferte a Roma per conoscere la Dark, o gli eventi in Liguria con Bresh, Izi e gli altri: ogni scusa era buona per beccarci». Quella compattezza, quell’essere comunità prima ancora che scena ha contribuito in modo decisivo a ridisegnare il panorama del rap italiano.

Secondo Shablo, gli anni che precedono il 2016 sono stati la fucina del cambiamento. «Il 2016 è ricordato come l’anno della nuova generazione, ma ciò che è esploso allora era già in movimento da tempo. Tra il 2013 e il 2016 nelle strade italiane si sentiva che qualcosa stava cambiando. C’erano tanti ragazzi che non si riconoscevano più nella musica dominante e che avevano un’urgenza enorme di proporre qualcosa di diverso. Rispetto a oggi, c’era meno omologazione: ognuno cercava un suono proprio, non ancora accettato dal sistema. Quell’entusiasmo ha ridato energia a una scena che si era un po’ seduta». Per raccontare lo spirito di quegli anni, Charlie Charles cita un episodio per lui altamente simbolico: «Mi ricordo l’evento di Hip Hop TV al Fabrique nel 2016. La serata era costruita su me, Sfera e Ghali. Prima l’Hip Hop TV Day metteva insieme tutta la scena, ma il format si era un po’ spento. Max Brigante ci aveva proposto di fare una serata solo nostra, e noi abbiamo invitato tutti quelli che rappresentavano quell’ondata: Tedua, Izi, la Dark, Enzo Dong… Col senno di poi sembrava il festival della generazione 2016. Per noi era semplicemente figo. Non c’erano strategie: volevamo solo stare tutti sul palco, insieme».

Foto: BHMG

A XDVR sono seguiti due dischi che hanno ampliato ulteriormente il pubblico di Sfera e consolidato la sua centralità: con Sfera Ebbasta prima e Rockstar poi, Sfera ha continuato a dettare il passo del rap italiano, rinnovando di volta in volta il proprio immaginario. Secondo Charlie, è proprio questa capacità di mutare pelle senza perdere la propria identità ad aver garantito una continuità di risultati. «Ogni volta sembrava di aver raggiunto l’apice, e poi arrivava l’uscita successiva che ribaltava tutto e ci costringeva a chiederci: e adesso dove si va? Il momento più importante è stato Rockstar. Non solo per i numeri, ma per la reazione del pubblico, per l’impatto che ha avuto fuori dalla scena. Ogni disco aveva un suono, un mondo a sé: XDVR aveva il suo, Sfera Ebbasta il suo, Rockstar il suo. È sempre stato così nei progetti che abbiamo fatto insieme».

Ma il successo di Sfera non si spiega solo attraverso i numeri o le strategie. Molto nasce da ciò che rappresenta per chi lo ascolta. «Vederlo riempire gli stadi, diventare un riferimento per la sua generazione e trasformare il mercato è impressionante», racconta Shablo. «Molti ragazzi si riconoscono in lui perché viene dalle province, dalle periferie: quell’Italia che non è fatta solo di grandi città e che spesso vive nell’anonimato. Migliaia di ragazzi sognano di diventare qualcuno, e la musica – il rap in particolare – ha sempre avuto il potere di ingrandire storie che altrimenti non avrebbero spazio».

A questa dimensione simbolica si aggiunge anche una qualità più personale, che secondo la madre è decisiva: «Sfera ha la grande capacità di raccontare la vita così com’è, senza filtri. Molti ragazzi si riconoscono in quei testi. Chi non ha voce attraverso lui può finalmente dirla, quella verità. Tocca corde profonde, parla all’anima di chi vive le stesse cose ma non sa o non può raccontarle». È significativo, inoltre, come Sfera sia riuscito a rimanere centrale anche dopo l’arrivo di una nuova generazione – Baby Gang, Shiva, Geolier – che ha spostato più avanti i confini della scena. In molti si chiedevano se Sfera avrebbe retto l’urto del ricambio. Eppure, anche negli ultimi anni, si è confermato un Re Mida del rap italiano, capace di trasformare in successo anche progetti meno innovativi dei suoi primi lavori. «Vedere Sfera, dieci anni dopo, essere ancora l’artista più ascoltato d’Italia è una soddisfazione enorme», dice Shablo. «Vuol dire che abbiamo lavorato bene, che avevamo visto giusto, che la visione c’era davvero. Rinnovarsi e rimanere sempre al top non è affatto scontato».

Foto: BHMG

Della carriera di Sfera colpisce la portata della trasformazione che ha impresso sulla scena italiana. Ha traghettato il rap da una condizione di outsider – centrale nelle vite dei ragazzi, ma periferica rispetto all’industria – a diventare il genere cardine della discografia nazionale. È emblematico, in questo senso, ciò che accade nel 2015. Nell’anno in cui Milano cambia simbolicamente pelle con Expo, confermandosi metropoli più moderna, ma anche diseguale d’Italia, e si sciolgono i Club Dogo, il gruppo che aveva incarnato l’ascesa del rap negli anni precedenti, esce XDVR, che apre un nuovo capitolo nella narrazione urbana. I Dogo avevano rappresentato la fase di transizione del rap italiano: dagli anni Zero, quando il genere era ancora una controcultura, ai primi anni ’10, quando ottiene una legittimazione nazional-popolare. Ma con Sfera accade qualcosa di radicalmente diverso. Non c’è più il bisogno di rivendicare l’appartenenza alla scena tradizionale, né di aderire a codici estetici o musicali predefiniti, tantomeno a un sistema di valori controculturali. Con lui il rap smette di essere un’identità da dichiarare per diventare un linguaggio aperto, plastico, attraversabile, che non pretende fedeltà ma genera appartenenza in modo nuovo.

Sfera scardina l’idea che il rap debba definire chi lo ascolta. La sua musica trascina l’intero Paese dentro un nuovo immaginario popolare, ridefinendo nel bene e nel male la grammatica culturale del genere.

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