Virgil Abloh su razzismo, Black Lives Matter e la sua eredità artistica | Rolling Stone Italia
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Virgil Abloh su razzismo, Black Lives Matter e la sua eredità artistica

Un anno prima di morire, il designer aveva concesso un'intervista a Rolling Stone. "Penso che il mio lavoro sia mostrare quanto le cose possono cambiare"

Virgil Abloh su razzismo, Black Lives Matter e la sua eredità artistica

Daniel Zuchnik/Getty Images)

Questa domenica è morto a 41 anni il designer e artista Virgil Abloh. Poco più di un anno fa aveva parlato a Rolling Stone del suo amore per la musica e dell’impatto e dell’eredità che sperava di lascire con il suo lavoro. 

L’intervista era avvenuta nell’ottobre 2020 in occasione del Louis Vuitton Spring 2021 a Shanghai, dove aveva suonato la band indie sudcoreana Hyukoh e, a seguire, c’era stato un set pre-registrato a sorpresa di Lauryn Hill. Per Abloh, che era cresciuto “scavando nella collezione di dischi dei miei genitori” per cercare nuova musica da ascoltare, l’aspetto audio era sempre stato molto importante nei suoi fashion show, importante almeno quanto i vestiti che sfilavano in passerella. 

“Quando pensi al fashion e quando progetti una sfilata, devi comportarti come un dj che studia e passa 10mila ore in un club, perché devi muoverti in uno spazio strettissimo”, aveva raccontato. “Devi prendere un pubblico con gusti musicali diversissimi, guardare alla tua collezione, alla location e dire ‘cos’è che può migliorare l’esperienza?’ Per cui ci vuole molta attenzione per trovare le canzoni giuste con cui legare il pubblico”.

Abloh era cresciuto con influenze musicali molto ampie, e spesso aveva dato credito ai suoi genitori per questo: suo padre lavorava in un negozio di pittura e sua madre faceva la sarta e gli aveva insegnato a cucire. “La collezione di dischi di mio padre spaziava da James Brown a Fela Kuti e a Miles Davis”, aveva racccontato, aggiungendo che in famiglia si ascoltava di tutto, “dal pop alla musica contemporanea” e “dall’hard rock al soul”.

Quando aveva cominciato a guadagnare abbastanza da potersi comprare i suoi album, la collezione di Abloh si era arricchiata con dischi che spaziavano da “Elvis agli NWA, dai Mobb Deep al Wu-Tang ai Guns N’ Roses”. Il primo disco che aveva comprato era stato “il secondo album di Fresh Prince” ovvero He’s the DJ, I’m the Rapper, uscito nel 1988. 

Lo scorso giugno, durante le grandi porteste di Black Lives Matter negli Stati Uniti, Abloh aveva fatto notizia per dei commenti che sembravano criticare i saccheggi e le devastazioni seguite alle proteste per la morte di George Floyd. Il designer si era poi scusato, dicendo: “Mi scuso se la mia preoccupazione per le vetrine dei negozi è sembrata maggiore della mia preocccupazione per le ingiustizie contro cui si sta protestando”.

Quando a ottobre aveva parlato con Rolling Stone, Abloh aveva spiegato che in quel momento si era ricordato di essere una figura pubblica, con un grande seguito. “È stato il più grande shock che ho subito nel 2020”, aveva detto, “parte del mio processo di apprendimento”.

“Quando dico qualcosa, la gente prende quello che ho detto in modo diverso che se l’avesse sentito da un’altra persona, una persona qualunque. Eppure io non mi considero diverso da una persona qualunque. Ma sto imparando a gestire questa responsabilità”.

Abloh aveva anche detto che in quanto figlio di immigrati dal Ghana, Black Lives Matter lo riguardava più di quanto non avesse inizialmente pensato, e aveva promesso di usare la sua arte, la sua fama e la sua influenza in favore della comunità nera. 

“Raccontare l’esperienza di essere nero e mostrare cos’è la diversità è qualcosa che ho nel DNA”, aveva detto a Rolling Stone parlando della sfilata di Shanghai, per la quale si era ispirato a stampe africane e a stili europei. “Questo show è la prova che quando dai spazio a un designer diverso, ottieni un risultato diverso, un’epsressione diversa, musica diversa, una comunità diversa. Mi piace pensare che quello che faccio sia costruire una comunità”.

Alla fin fine, sono orgoglioso di essere un designer nero e il mio scopo è aprire le porte a molti più designer neri, così che col passare degli anni non sia più nemmeno necessario menzionare il fatto di essere un designer nero. 

Abloh aveva anche commentato lo stato dell’industria del fashion. “Spesso pensiamo che queste istituzioni non si possano sfidare, specialmente quando si tratta di razzismo”, aveva detto. “Ma io penso che il mio lavoro sia mostrare che nel corso di una generazione le cose possono davvero cambiare. Se avessi detto al me stesso 17enne che non solo ci sarebbe stato un giorno un designer nero che non aveva mai studiato design, ma che quel designer sarebbe diventato il direttore creativo della più grande e più antica casa di moda di Parigi, lui mi avrebbe risposto che era impossibile. Le cose possono cambiare. E possono cambiare nel corso della nostra vita”.

“Quindi cerco di incorporare questo nella mia arte, è il mio modo di svegliarmi ogni giorno e fare qualcosa per migliorare il mondo. Sento che oggi il mondo è malleabile, che il mondo è come argilla”.

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US