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Tutto il tempo di Emidio Pepe

Hanno "inventato" il Montepulciano d'Abruzzo e il Trebbiano. Ora, la famiglia Pepe deve ragionare sui giorni che scorrono in un modo diverso: non solo quello del vino ma quello di capire, tramandare, e accettare

Emidio Pepe

Foto: press

«In Paesi come Portogallo e Argentina le persone si divertono a fare il vino, e nel divertimento c’è anche un po’ di genio. E quindi io, per me, per le vigne di Emidio Pepe, voglio che durante la vendemmia ci si diverta, perché è importante vivere un momento di fermento anche nello spirito». Sembra un aforisma, in realtà è il tipo di discorso che si ascolta perdendosi tra l’azienda, i vitigni e le cantine di Emidio Pepe a Torano Nuovo. A condurlo è Chiara, che ha 32 anni e rappresenta la terza generazione di vinificatori della famiglia Pepe a seguito della zia, Sofia, e del nonno, Emidio, che oggi ha 93 anni e, dopo aver fondato l’azienda agricola che ha glorificato il Montepulciano e il Trebbiano d’Abruzzo in Italia e nel mondo, veglia sui suoi terreni seduto in terrazza.

Non ci gireremo in giro: l’azienda Emidio Pepe è una specie di Mecca dei vini naturali. Vini che sanno invecchiare con un’eleganza tale che nelle cantine si trovano Montepulciano degli Anni Sessanta e Trebbiano dei Settanta. Impilati in piramidi ordinatissime, sono sempre vivi. Producono il loro fondo e si evolvono, anzi «invecchiano», come dice Sofia, in una delle tante occasioni in cui parla del vino con tanta reverenza da associargli un carattere umano.

E pensare che negli Anni Sessanta, quando Emidio Pepe ha avviato l’azienda e ha cominciato a mettere nelle cantine d’invecchiamento le prime bottiglie, Montepulciano e Trebbiano venivano considerati poco più che vini da taglio, da vendere sfusi, e gli altri viticoltori storcevano il naso davanti all’ostinazione del signor Pepe. «Invece papà diceva no: “Per come lo faccio io, che lo lascio vivo, questo fra 50 anni sarà un grande vino”. E il tempo gli ha dato ragione, perché oggi qui da noi possiamo far assaggiare 40 annate, far conoscere la storia dei vitigni, far vedere come nel tempo cambiano i colori, i profumi» dice Sofia con orgoglio mentre accarezza Asia, il pastore tedesco dell’azienda, e la sera rende blu la punta del Gran Sasso in lontananza.

Emidio Pepe

Emidio Pepe. Foto: press

Ed è proprio in quell’orgoglio, in quel «per come lo faccio io» detto da Emidio decenni fa e riportato oggi dalla figlia, che sta il cuore di questo successo. La sua era un’idea ben precisa, quella di voler fare un vino genuino che non facesse male. «Infatti ha sempre detto: “Il mio vino può anche non piacere però vi garantisco che è una spremuta d’uva”» scherza Sofia, parlando del primo piccolo vigneto di Montepulciano acquistato dal padre. Lo stesso che oggi ha più di sessanta anni e si chiama Casa Pepe, a cui hanno fatto seguito quello di Trebbiano e, per ultimo, di Pecorino.

I possedimenti della famiglia Pepe oggi si perdono a vista d’occhio, persino dalla terrazza dove ci troviamo: diciotto ettari coltivati a vigneto, più altrettanti in cui seminano a rotazione cereali, legumi ed erba medica. Oltre a circa 750 piante d’ulivo, per un olio che ad assaggiarlo sul loro pane di grani antichi fa quasi commuovere. Su questi terreni non vengono utilizzati prodotti chimici, persino nelle annate più difficili: solo naturali come cristalli di rame, zolfo e preparati biodinamici, sia in vigna che in cantina. È la natura che decide cosa sarà dei suoi prodotti.

Immaginare di nascere e crescere qui, fuori dal tempo come lo percepiamo oggi, dentro una dimensione in cui a dettare lo scorrere delle cose è la natura, è straniante e affascinante. Sofia mi racconta il valore dell’esperienza dei capostipiti Rosa ed Emidio; della capacità di tenere le fila sua e di sua sorella Daniela, attualmente proprietarie dell’azienda; dell’energia e l’entusiasmo della terza generazione, la voglia di sperimentare con la tecnologia di Chiara e i primi passi di Elisa: «Un equilibrio non semplice, come puoi immaginare». Non è scontato che tre generazioni si siano votate alla causa del vino, che abbiano superato quella fase di ribellione per scegliere il destino di famiglia.

Emidio Pepe

Foto: press

«Siamo fortunati per il fatto che viviamo tutti insieme, quindi tutti i giorni mangiamo insieme, tutti i giorni siamo venti persone – nonni, nipoti, figli, generi. Tutti i giorni si parla di vigna, di terra, di vino, di fornitori, di clienti. Sarebbe facile anche annoiarsi però, soprattutto per chi è più giovane. Per esempio mio figlio di quattordici anni, che è lì e sta apparecchiando la tavola, anche se apparentemente alla sua età non è così interessato al vino… però ascolta. E già solo ascoltando impara e a 18-20 anni si ritroverà ad aver vissuto, ascoltato, cose fondamentali, che in qualche modo gli daranno una direzione. È stato così anche per me, anche se quando ho iniziato io, papà… adesso ha 93 anni e lo vedi tutto bello tranquillo, invece era un po’ più geloso delle sue cose».

Sofia mi racconta della difficoltà, per un uomo classe 1932, di veder nascere tre figlie femmine e di capire, con il tempo, che a loro avrebbe messo in mano l’azienda. «Sono sicura che se avesse avuto un maschio sarebbe scappato il giorno dopo, perché ci sono volute la diplomazia, la sensibilità e la pazienza delle donne per stargli vicino». Così per anni Sofia e il padre lavorano gomito a gomito, lei impara cose che non sono scritte in nessun libro, a guardare il cielo e interpretare le nuvole, in un rapporto simbiotico. Racconta Sofia: «Ci ha sempre detto: “Non dovete avere mai paura di niente, perché il mondo è vostro e ve lo dovete conquistare”. E così mio papà ha detto anche a Chiara, quando è arrivato il suo momento».

Emidio Pepe

Foto: press

È questione di tempo, di tempi: «Infatti quello è il lavoro dell’agricoltore, cioè quello di capire, di comprendere quello che hai davanti: la terra, la pianta, il frutto e poi comportarti di conseguenza. Però ci vogliono veramente molta sensibilità e pazienza. E se ci pensi, ultimamente il tempo non ce l’ha più nessuno. Tutti andiamo di corsa, di fretta, nessuno sa più aspettare». Con il cambiamento climatico, che qui pesa come un pensiero fisso, saper aspettare e cogliere il momento giusto, per esempio per la vendemmia, è diventato un ragionamento complesso.

Il primo vitigno a essere raccolto è il Pecorino, da sempre precoce, e la cui vendemmia però si è spostata dai primi di settembre ad agosto. Allo stesso modo è anticipata la maturazione del Trebbiano, in settembre, e del Montepulciano che, da fine ottobre, ora si vendemmia tra settembre e l’inizio del decimo mese.

«Ovviamente il cambiamento climatico ci impone un adattamento» dice Chiara, come la necessità di installare un impianto di irrigazione sul 60% dei vigneti o trovare il giusto equilibrio tra maturazione del chicco e gradazione alcolica: «Tante volte per non avere gradazioni altissime raccogli un po’ prima, ma la maturazione non è perfetta dal punto di vista fenolico». E qui la capacità, dice Chiara, sta nel capire come abbracciare le nuove esigenze della natura, senza costringerla mai alle proprie necessità. Tornando alla raccolta, Sofia e Chiara raccontano: «La vendemmia è proprio il momento più bello che abbiamo durante l’anno. Infatti è sempre pieno di gente. L’uva bianca la pigiamo con i piedi, l’uva rossa la diraspiamo a mano. E la gente non ci crede, per cui li invitiamo a vederlo con i loro occhi».

Emidio Pepe

Foto: press

La vinificazione di bianchi e rossi è completamente diversa da Emidio Pepe. Per il Trebbiano, la ricerca è quella del perfetto equilibrio tra mosto fiore ottenuto dalla pigiatura con gli stivali e il risultato della torcitura all’interno delle vasche in cui avviene la fermentazione naturale.

La storia del Montepulciano parte invece da una vinificazione completamente diversa perché fermenta con la buccia, quindi non viene pigiato ma diraspato a mano, per evitare che i chicchi verdi e meno maturi finiscano nel vino, dando un sapore astringente. È innegabilmente un procedimento minuzioso, a cui d’altra parte la famiglia Pepe non vuole rinunciare: durante la vendemmia ci sono dieci persone che raccolgono in vigna, che solitamente consegnano 80-100 quintali di uva al giorno, e altre dieci persone in cantina a pigiare o a diraspare.

Terminato questo procedimento, sia i bianchi che i rossi vengono messi a riposare sotto dieci centimetri di cemento, dove il vino fermenta per due anni, trovando tutto il tempo di evolversi naturalmente perché «non filtriamo, non chiarifichiamo, non pastorizziamo, ma aspettiamo che il vino si decanti da solo e dopo due anni viene imbottigliato».

Una parte dei vini viene così messa in commercio, mentre l’altra va nella cantina di invecchiamento. Non tutte le annate affrontano l’invecchiamento, dipende dalle condizioni in cui sono cresciute e se Sofia e il resto della famiglia pensano che quelle bottiglie avranno la forza di reggere la prova del tempo. Per esempio, in cantina manca il 2016, un’annata troppo piovosa e fragile. Impilate per il lungo, le bottiglie più longeve trascorrono anni e, come dice Sofia, «i vini con il tempo si spogliano, producono un deposito che si ferma sul lato». Ecco perché, nel momento in cui vengono venduti, occorre un passaggio fondamentale, che un tempo era in mano alla signora Rosa e che oggi è diviso equamente: la decantazione a mano.

Mica una perdita di tempo. Spiega Sofia: «Uno dice “potreste tranquillamente filtrare da una vasca all’altra, togliete il deposito e risolvete il problema”. Ma quando si filtra, di solito si filtra sterile. Già la parola fa capire che al vino è vero che gli togli il deposito, ma gli togli la vita. Hai un vino pulito, limpido, ma è morto. Invece quando si decanta a mano è il vino che decide ciò di cui si vuole privare e lo lascia sul fondo della bottiglia. E noi con molta delicatezza gli togliamo solo quello, tutta la parte viva rimane con il vino. E la dimostrazione è il fatto che ai nostri vini diamo venti anni di garanzia».

Ancora una volta Sofia parla indirettamente del tempo, di quell’ingrediente invisibile ma fondamentale nel Montepulciano e nel Trebbiano d’Abruzzo di Emidio Pepe. Il tempo di capire, tramandare e accettare che la tua eredità verrà portata avanti da qualcun altro. «Fare un passo indietro è la cosa più difficile del mondo, perché il nostro ego è sempre lì, ma è necessario». Il tempo di seminare, vedere le pergole che si fanno sempre più verdi, interpretare il cielo e anticipare le stagioni, ascoltare l’uva durante la vendemmia e il ribollire dei lieviti nelle vasche di cemento. Il tempo della fermentazione e quello dell’invecchiamento. «Al vino diamo tutto il tempo di cui ha bisogno perché noi investiamo sul tempo. Non possiamo andare contro la natura, ma la dobbiamo assecondare».

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