Torino è Buonissima | Rolling Stone Italia
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Torino è Buonissima

Dal 22 al 26 ottobre, dalle parti di casa Savoia torna la kermesse che, prima ancora che la buona cucina, esalta tutta la torinesità possibile. Ve lo raccontiamo, tra un tramezzino e un vitel etonné

buonissima Torino 2025

Foto: Buonissima su Instagram

Torino ospiterà, dal 22 al 26 ottobre, Buonissima – sottotitolo Cibo, arte, bellezza – festival gastronomico che porta in scena la “grande cucina”. Che è quella “alta” degli stellati e dei ristoranti gourmet piemontesi e non. Ma anche la cucina pop dei bistrot e delle piole, i “posti sinceri” alla torinese con le sedie impagliate e le perline alle pareti amati da Luca Iaccarino, giornalista e ideatore della manifestazione insieme al collega Stefano Cavallito e allo chef Matteo Baronetto.

Fin qui, la notizia. Sulla carta la kermesse, alla quinta edizione, si presenta interessante e golosa, con un calendario assai ricco. Ma quel che più ha colpito chi scrive, durante il press tour di presentazione, è stata la cornice.

Sapessi com’è strano, sentirsi milanese a Torino (che, sia detto, questo articolo è scritto da una meneghina doc che ama la sua città). Partire dalla Centrale, con la sua facciata monstre Liberty e Art Nouveau, per arrivare a Porta Nuova, con le arcate aggraziate e le vetrate neoclassiche. Lasciarsi alle spalle Montenapo, via Spiga e i turisti stranieri griffati e passeggiare per le vie del centro insieme a tòte, madame e madamin (signore e signorine, insomma), dall’eleganza sobria e dalle curatissime chiome d’oro e d’argento. Non avere nostalgia dello struscio sui Navigli percorrendo i viali della Piccola Parigi dai quattro fiumi: il Po con i suoi Murazzi, la Dora e i torrenti Stura e Sangone. Se, sotto al Duomo, gli street dancer meneghini improvvisano su martellanti note hip hop, lungo via Accademia delle Scienze, dov’è l’ingresso al Museo Egizio, un piano busker suona un preludio classico accanto all’immancabile statua vivente di un faraone. Poco più in là, una soprano intona un’aria.

La bellezza di Milano, si dice, è chiusa dietro ai portoni e nei cortili. Quella di Torino è esibita nelle grandiose architetture. Palazzo Madama, intitolato (appunto) alla prima Madama Reale di Savoia, Cristina di Borbone-Francia, gioiello barocco maestoso e imponente. Le Chiese Gemelle che vigilano su piazza San Carlo. La cancellata in bronzo del Teatro Regio che celebra danza, tragedia e commedia. La Mole Antonelliana, che si è appuntata con orgoglio per oltre un secolo la medaglia di edificio più alto della città (oggi superata dal grattacielo della Regione, sic!). A far da contrappunto a tanta sciccheria, batte forte il cuore popolare e multietnico di Porta Palazzo, con il mercato all’aperto più grande d’Europa e il bric-à-brac del Balon.

Soprattutto, rispetto alla Milano “capitale” economica del Nord, Torino – che capitale del Regno d’Italia lo fu davvero – sembra soffrire meno la sindrome di non-luogo che negli ultimi anni sta affliggendo il capoluogo lombardo. Se questo si sfilaccia in mille rivoli culturali e sociali, l’altra appare più centrata e concreta. Anche nell’offerta gastronomica che, invece di inseguire trend effimeri, punta molto a valorizzare la “torinesità”: tutt’altro che “falsa e cortese”, come vorrebbe il detto, appare autentica e accogliente.

Lo fa con i suoi Maestri del Gusto, gli artigiani cioccolatieri, lievitisti, pastai, formaggiai, macellai che affollano la città e la provincia. A partire dal nome forse più illustre, quel Guido Gobino che produce i Giandujotti più iconici e i Tourinot, 5 grammi di libidine e bontà venduti nei locali che furono di una storica tipografia, la Carlo Villarboito, nonché palazzo in cui sul finire del Settecento nacque il vermouth Carpano, negli anni Ottanta “emigrato” proprio a Milano, alle Distillerie Branca.

 

 
 
 
 
 
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A due passi da lì, nel piccolo punto vendita del Pastificio Reale, la forma dell’iconico cioccolatino diventa agnolotto ripieno di vitello e cappone di Morozzo. Pochi passi ancora e si raggiunge il forno Perino Vesco da cui escono fragranti torcetti dolci al burro, friabili grissini stirati all’olio, pagnotte di farine rustiche e lievito madre. Sono solo tre dei molti Maestri da scovare sulla mappa, sempre aggiornata, “disegnata” dalla Camera di Commercio insieme a Slow Food (che, come è noto, da Torino è partito alla ricerca di eccellenze in tutto il mondo).

 

 
 
 
 
 
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Gobino fa parte del lungo elenco di partner e sponsor del festival. Capofila, ça va sans dire, Lavazza. Diversi saranno gli appuntamenti alla Nuvola, l’hub dell’azienda che ospita Condividere, stellato nato dalla collaborazione con Ferran Adrià, e La Centrale, spazio eventi dove si darà il via alle danze di un programma sterminato. Così vasto che risulta fin difficile da raccontare, con qualcosa come 120 eventi e enne format per tutti i gusti, e tutte le tasche.

 

 
 
 
 
 
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Per ingolosirvi, butto lì qualche nome e qualche dritta, in ordine sparso. Si apre nella storica Libreria Luxemburg, dentro la spettacolare Galleria Subalpina (dove non perdersi un tramezzino “sabaudo” da Baratti & Milano), con un pre-dinner: lo Chef’s Table, la sera prima dell’inaugurazione, sarà servito da Donato Ascani (Glam di Enrico Bartolini, Venezia) e il “padrone di casa” Matteo Baronetto. Che, qualche sera dopo, cucinerà con Carlo Cracco da Dispensa, gastronomia firmata da Christian Costardi (ne riparliamo tra poco, di Christian), sempre in Galleria. Location perfetta visto che alla Luxemburg lo chef vicentino-milanese presenta anche il suo libro, Cracco in Galleria (sembra tautologico, lo so).

 

 
 
 
 
 
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La Centrale è la sede della cerimonia di apertura e del premio intitolato a Bob Noto, indimenticato gastronomo e fotografo torinese (scomparso nel 2017). Dopo la proclamazione, cena a quattro mani al ristorante Del Cambio con Diego Giglio e Moreno Cedroni (La Madonnina del Pescatore), in sala la moglie Mariella Organi, vincitrice del premio nel 2024. A proposito di Bob Noto (“il migliore palato al mondo”, secondo Adrià), sono sue creazioni il nome e il logo (Gioele, vitello antropomorfo dall’espressione “stupita”) del ristorante Le Vitel Etonné che partecipa al format Metti Torino a Cena, serie di 20 cene a quattro mani. Tra queste anche quella da Guarini, apprezzato in città per la sua cucina local ma frizzante, dove non mancano classiconi come i tagliolini solo tuorli e la grissinopoli di vitello (la cotoletta alla torinese), il primo e ancora uno dei pochi locali a servire un ottimo vermouth alla spina, alla moda spagnola.

 

 
 
 
 
 
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Tornando alle esperienze imperdibili, l’Opening del festival a Palazzo Madama sarà una cena standing ispirata alla mostra, davvero wow, “Vedova Tintoretto in dialogo”, dove Vedova sta per Emilio, artista informale, autodidatta e partigiano. Tra i tanti a cucinare, ci saranno Giuseppe Iannotti (177 Toledo, Napoli, e Krèsios), Michelangelo Mammoliti (La Rei Natura, Serralunga d’Alba), Chiara Pavan (Venissa, Venezia), Massimiliano Mascia (San Domenico, Imola). Per i/le fan del bel Jeremy Chan (Ikoyi, Londra), è in arrivo sul palco di Casa Buonissima, in piazza Castello: lo spazio adibito a talk, cooking show e compagnia cantante ospiterà anche Alessandro Negrini e Fabio Pisani (Il Luogo di Aimo e Nadia e Voce, Milano), certo con un pensiero rivolto al già compianto Aimo Moroni. E poi, Jacopo Ticchi e le sue tecniche di frollatura del pesce. Mentre da ElBulli arriveranno Eugeni de Diego e il boss Adrià.

Dicevamo di Costardi. Lasciato il ristorante all’hotel Cinzia di Vercelli nella salde mani del fratello Manuel, Christian si è insediato nel salotto buono della città al Caffè San Carlo (code a colazione ma le loro paste sfogliate e lievitate, su tutte la Carla al cioccolato, valgono l’attesa) e al ristorante Scatto, dove cucinerà la Cena dell’Arte insieme a Josean Alija del ristorante Nerua, al Guggenheim di Bilbao. I due locali di Costardi sono a tutti gli effetti lo spazio ristorativo delle Gallerie d’Italia, quarto museo (dopo Milano, Napoli e Vicenza) del Gruppo Intesa San Paolo che, al terzo piano sotterraneo, custodisce lo sterminato archivio fotografico Publifoto e una sala multimediale con 17 proiettori 4K, per una visita immersiva tra le immagini: in mostra, Jeff Wall e suoi scatti (appunto) che indagano la guerra, il genere, la razza, la classe, la natura. Quando si dice essere sul pezzo.

 

 
 
 
 
 
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Infine, come accennato, il lato pop della Torino che celebra il cibo si assaggerà in eventi come Agnolotti & Friends, cena itinerante all’insegna di tradizione e contaminazione da Eataly Lingotto: ravioli, tortellini, casoncelli, dumpling e gyoza, confermati tra i cuochi Federico Girone (Madama Piola), Isa Mazzocchi (La Palta, Borgonovo Val Tidone) e Matteo Monti (Razdora, Milano). Filosofia più rustica per le cene tematiche Mangebìn, “mangiare bene” in dialetto, che offriranno 50 sfumature di guancia (di bovino). Ma, soprattutto, nella rassegna Piolissima: ventuno osterie, tornei di bocce, partite a carte, cibo verace e vini beverini. E poi, e poi, e poi: la programmazione completa, più che nutrita (letteralmente), si consulta sul sito di Buonissima, dove prenotare le diverse attività.

Fine della carrellata, dunque. Resta un po’ d’invidia – non solo gastronomica – nella milanese che lascia la Mole per tornare dalla Madonnina. Milan l’è un gran Milan, «Ma Torino è il più bello di tutti i paesi», scriveva Cesare Pavese. «Se trovassi un amico quest’oggi, starei sempre qui». A mangiare e a bere.

Altre notizie su:  Buonissima Buonissima 2025 Torino