Trasformarsi in rockstar: 'Bohemian Rhapsody' sbanca perché avvera quel nostro sogno giovanile | Rolling Stone Italia
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Trasformarsi in rockstar: ‘Bohemian Rhapsody’ sbanca perché avvera quel nostro sogno giovanile

Il film sui Queen sta avendo tanto successo perché Rami Malek, l’attore protagonista, resuscita per 134 minuti quella nostra antica speranza, sepolta sotto migliaia sguardi delusi allo specchio, di anni di anonimato, di esami studiati controvoglia e di curriculum da mandare allo sbaraglio e di carrelli della spesa da riempire in qualche modo

Trasformarsi in rockstar: ‘Bohemian Rhapsody’ sbanca perché avvera quel nostro sogno giovanile

Un mio amico, dopo la quarta birra – l’alcol è la madeleine delle masse –, si convince ancora, come quando aveva quindici anni, di essere Freddie Mercury. Attacca il Live at Wembley e, con un manico di scopa per microfono, agita bocca e pugno come il frontman dei Queen. Per decidere se fare o non fare qualcosa utilizza questo criterio di valutazione: Freddie sarebbe orgoglioso di me? Porta baffi chevron, scuri e ben curati. È eterosessuale ma cita le rispostacce del cantante con la stesso tono effemminato e stizzito: “An interview? Oh, dont’t be ridicolous!” Ciò nonostante, ha dovuto vivere una vita da sobrio molto diversa da quella di una rock star, in un corpo molto diverso da quello di Freddie Mercury, e ha un timbro baritonale.

Io invece da ragazzino volevo essere Bob Marley. Stonato come una campana, ero felice se mi svegliavo col raffreddore perché almeno la mia voce, roca per il catarro, mi sembrava più simile a quella del leader degli Wailers. Naturalmente lessi biografie su biografie, libri sul rastafarianesimo, mi esprimevo in slang giamaicano. Dimagrii perché Bob Marley era magrissimo. Quando un tizio, vedendomi canticchiare Redemption song, squadrando le mie mani pallide, i miei occhi azzurri, la mia faccia inesorabilmente caucasica, mi disse “già, proprio tale e quale a Bob Marley, tu”, io mi sentii morire. Alla fine, con estremo dolore, dovevo ammetterlo: non sarei mai stato Bob Marley. E, anche se tutt’oggi quando sento una sua canzone non posso fare a meno di chiudere gli occhi e di ciondolare rasta immaginari a pugno alzato, è così che finisce l’adolescenza: quando ti rendi conto che non potrai mai essere nient’altro che te stesso.

Bohemian Rhapsody sta avendo tanto successo perché Rami Malek, l’attore protagonista, resuscita per 134 minuti quella nostra antica speranza, sepolta sotto migliaia sguardi delusi allo specchio, di anni di anonimato, di esami studiati controvoglia e di curriculum da mandare allo sbaraglio e di carrelli della spesa da riempire in qualche modo: trasformarsi in una rock star adorata dall’universo. Non semplicemente diventare noi stessi una rock star – ancora, da ragazzini, non avevamo la sicurezza per scommettere soltanto sul nostro nome – ma diventare una rock star specifica, tramutarci in qualcuno che già aveva reso più tollerabili le ore della folla sterminata di cui noi facevamo fedelmente parte. Il fatto che Malek, prima di questo film, lo conoscessero in pochi non fa che rendere più potente l’effetto: ci immedesimiamo in una persona x che riesce a immedesimarsi alla perfezione in un nostro idolo di gioventù. Di più: riesce a diventarlo, Freddie Mercury, con i suoi dentoni e il suo modo di tendere il braccio, di inarcare la schiena, di piegare le ginocchia. Allora era possibile!, ci diciamo con un’ingenuità che pensavamo perduta per sempre.

Il punto è che da ragazzi si innescava un cortocircuito. Sentivamo che quella rockstar ce l’aveva fatta perché era stata puramente se stessa, con onestà, senza vergogna. Soltanto chi è se stesso riesce a comunicare qualcosa di vero, questo lo intuivamo. Però, allo stesso tempo, solo se il nostro essere – anima e corpo – avesse ricalcato quello del nostro idolo, solo allora credevamo che saremmo stati degni di ascolto, fama, prestigio, amore. E anche adesso, che magari abbiamo trovato un po’ di amore, in un numero di persone limitato e in periodi di tempo limitati; un po’ di prestigio, con un aumento e una pacca sulla spalla di un superiore; un po’ di fama, con qualche decina di like su Instagram; anche adesso che abbiamo raggranellato questi successi umani troppo umani, ci piace immaginarci come avrebbe potuto essere una vita potenziata, alzata di un semitono, degna di essere un giorno trasformata in sceneggiatura, la vita di un altro.