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Storia dell’artista che ha fatto bere A$AP Rocky & Co.

E di suo fratello. Giovanni Leonardo e Francesco Vittorio Bassan sono partiti dal giro dell’arte internazionale per lanciare Katkoot, etichetta di vini indie che sta facendo impazzire il giro “giusto”. È questo il lusso del futuro?

Foto da Instagram Katkoot

Poiesis, in greco, non è solo poesia, ma è la capacità di creare qualcosa dal nulla partendo da noi stessi, per poi proiettare quel qualcosa al di fuori di noi. Questa è la storia di due fratelli, Giovanni Leonardo e Francesco Vittorio Bassan, che hanno creato poesia prendendo due realtà apparentemente molto elitarie e disunite – quella dei produttori di vino d’eccellenza e quella dell’arte – e che lentamente, con studio, metodo e passione, hanno plasmato un nuovo mondo sulle orme di ciò che sognavano. Si scrive Katkoot e si legge “piccolo pulcino prezioso”, il nome è un vezzeggiativo di origine araba con cui l’istrionica Michèle Lamy chiamava Giovanni. Classe 1989, ceramista, pittore, artista poliedrico e internazionale, Giovanni e i suoi lavori hanno già fatto il giro di mezzo mondo, dalla Biennale di Venezia al White Cube “de Paris”, attraversando gli Stati Uniti e giù in Oriente fino agli Emirati Arabi.

Giovanni da tempo affianca Rick Owens a immaginare il suo furniture department, ma soprattutto forma il 50% del cuore pulsante di questa etichetta indipendente che si sta piazzando nel mondo “che conta”. Ecco l’idea: «Ogni bottiglia, anche la più prestigiosa, dopo essere consumata è destinata ad essere buttata, smaltita, e in qualche modo anche l’esperienza legata a quel momento perderà la sua forza. Noi siamo partiti proprio dall’importanza del ricordo, creando una base in metallo lavorata artigianalmente (bronzo, rame o alluminio) che, una volta terminata la bottiglia, possa essere scorporata dal vetro e rimanere a future memorie, come portaoggetti o per l’incenso. Ero partito dall’idea di creare dei ciondoli, dei bracciali magari di ispirazione tribale o Maya, ma poi l’evoluzione quasi naturale in quel fondo dalle linee morbide e decise, numerato e lavorato manualmente in una piccola bottega in Marocco. Ogni bottiglia è un pezzo unico».

Nel momento della nostra telefonata, Giovanni è in Inghilterra, dove ha da poco concluso una riunione con il loro team strategico di Mumbai, un collettivo che non è stato scelto a caso, anche se quasi per caso si sono conosciuti. Uno dei tratti fondamentali per i due fratelli nati da papà veneto e mamma emigrata negli Stati Uniti a 18 anni, infatti, è la multiculturalità, «la somma delle diversità che creano il tutto». L’Italia è una metafora, «quando pensiamo al nostro Paese c’è tutto, abbiamo tutto, ed è magnifico, ecco perché per noi il legame con il territorio è fondamentale, ma per crescere veramente abbiamo bisogno di alzare lo sguardo e attingere con occhi affamati alle ricchezze del mondo», mi spiega Giovanni con il suo tono entusiasta. La vita a Parigi, che da molti anni chiama “casa”, è intensa e, proprio come immaginiamo la vita di un artista che crea di notte e vive a pieno il giorno, in ogni cosa trova la sua ispirazione. Un lavoro quotidiano di costante di ricerca che si mescola a un certo attivismo imprenditoriale.

Parliamo di musica perché mi colpisce come con naturalezza parli del loro rapporto con star della musica internazionale e non solo, conosciute grazie sia al suo lavoro con Rick Owens sia a quello di artista internazionale; star che si sono, da subito, innamorate del progetto come A$AP Rocky, diventato uno dei primi nel 2018 a credere in loro, o Lenny (Kravitz: ma serve il cognome?), che ha in ogni angolo di casa i loro piccoli pezzi di design, segno di altrettante bottiglie consumate. E poi ci sono Kanye West, Offset, Skepta, Pusha T, Bella Hadid e molti molti altri, diventati amici nel tempo. «E c’è persino chi, da astemio, ha comprato un intero pallet da spedire oltreoceano»: del resto, non è un mistero la fascinazione che esercita l’artigianalità made in Italy anche nel mondo food and beverage. Basti pensare al crescente aumento di stelle che si affacciano a questo “nuovo mondo”, una tra tutte Mary J. Blige con il suo “Sun Goddess”, diventata madrina di una private label di vini friulani.

Ma proprio grazie al connubio qualità-estetica, i fratelli di Katkoot sono corteggiatissimi anche dalla moda, vedi le importanti collaborazioni con Armani, Saint Laurent, Comme des Garçons, Diesel, Givenchy e Rick Owens (ça va sans dire). Dall’arte alla moda: Giovanni ha da poco inaugurato un’altra sua mostra personale a Lugano, per ricordare sempre da dove tutto è iniziato. «Pittura, scultura, musica, moda… le arti si parlano e creano ponti, comunicando con un linguaggio comune che passa dai sensi del gusto». Esiste una creazione artistica e poi ognuno, con la sua sensibilità, la declina in una moltitudine di esecuzioni, e bere bene fa parte di questo universo, «cancellando però gli stereotipi legati al vino di lusso, abituandoci invece al concetto di bello, di sincero, di speciale».

Venerdì 29 aprile, 13:30

Francesco (l’altra metà del cielo Katkoot) mi aspetta alla tavola di una piccola trattoria nel centro di Milano, una coraggiosa teoria di piante intorno a noi tende verso l’aria aperta, niente a che vedere con i filari a cui è abituato nelle terre tra Vicenza e Verona, dove è cresciuto e dove Katkoot attinge per le sue produzioni. Francesco è sì sommelier (certificato), ma soprattutto è appassionato di vino, di natura, di campagna, dove si immerge con l’inseparabile cane Matías, adottato durante la pandemia, per lavorare e per trovare sé stesso.

«Tutto nasce dalla passione», ammette mentre mi racconta della loro genesi famigliare, i nonni imbottigliavano vino per conto terzi e il padre ha tuttora un’azienda di distribuzione, ma «noi non avevamo terre nostre per coltivare e produrre autonomamente, quindi mi sono rimboccato le maniche e dato che il nostro territorio è incredibilmente ricco di possibilità e di artigianalità eccezionali, ho iniziato una ricerca capillare per selezionare i produttori migliori», mentre mi racconta di tutti i “no” ricevuti dai «vecchi mestieranti» delle cantine, di fronte al progetto ambizioso e visionario di due giovani poco più che ventenni, rimango colpita dalla costanza con cui, per convincere il “bersaglio”, specifica di essersi presentato per settimane ogni giorno alla stessa ora per chiedere di lavorare come contadino nelle vigne e farsi conoscere e riconoscere come braccia e testa meritevoli di fiducia. «Se quella era la cantina giusta e quello era il lotto che volevo, dovevo lavorare per ottenerlo».

La costanza e il coraggio aiutano la sorte, impossibile non pensarlo mentre lo ascolto raccontare la sua storia sorridendomi dietro occhiali da sole fumé, che insieme ai capelli lunghi, agli anfibi e al look di pelle nera mi ricordano più una rockstar anni ’70 che un ragazzo di campagna. Eppure, forse il segreto è questo dietro al loro successo, una rivisitazione modernissima dei valori del passato. Le proposte al pubblico, che Francesco seleziona capillarmente, al momento sono tre: Prosecco Asolo Superiore, Rosé Riserva 2016 e Amarone della Valpolicella DOCG 2015, arriveranno però a breve a quota cinque, inserendo nel bouquet, tra gli altri, una speciale edizione di Amarone riserva invecchiato in barrique del ’99. «L’ho scelto indubbiamente perché è una delle annate migliori per questo vino e anche perché desideravo dare una connotazione più storica alla nostra selezione, così, tramite un piccolo produttore della Valpolicella, sono riuscito ad ottenere una botte iper selezionata di questo tesoro».

Ultimo, ma decisamente atteso per il nuovo anno, sarà lo champagne. «Dopo una serie di viaggi e una ricerca durata quasi un anno nei vigneti della zona di Épernay, abbiamo selezionato il produttore, una piccola realtà perfetta per noi. Sarà una sfida interessante, infatti il Comité Champagne, che riunisce tutti i viticoltori e le maison del territorio, è molto rigido nell’accordare autorizzazioni a etichette estere, e anche per questo siamo entusiasti. Inoltre, proprio lo champagne rispecchia molto la storia mia e di Giovanni, con le nostre passioni e il carattere che vogliamo dare al prodotto. E poi il mercato lo richiede, proprio perché lo champagne, pur non entrando in concorrenza con la produzione classica, ha una dimensione estremamente internazionale».

Grandi progetti futuri e presenti, senza contare, naturalmente, le special edition, «come quella creata per 66° North, un brand ecosostenibile prodotto in Islanda. Per loro abbiamo immaginato 66 bottiglie con la base nera che possa ricordare proprio i sassi scuri e levigati della spiaggia di Reynisfjara». Mentre parliamo riceve decine di messaggi, deve partire perché lo aspettano in Veneto, poi sarà la volta di un lago in Ungheria e poi c’è il Messico, due settimane tra surf e mescal, per poi tornare alle sua campagna, pianificando, insieme a Giovanni, il loro futuro sempre più globale. No all’abitudine, no alla routine, una continua evoluzione, crescita e istinto produttivo. Se è vero come è vero che nel mondo non è tutto poesia ma di tutto si può fare poesia partendo da quello che abbiamo a disposizione per comunicare, questi due fratelli rappresentano un’idea filtrata dai nostri sensi, un nuovo linguaggio, forse poesia davvero.

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