Tra i prodotto documentari più riusciti di Netflix negli ultimi anni c’è Wild Wild Country. La serie ripercorre la vicenda della comunità di Rajneeshpuram, insediata negli anni Ottanta nella contea di Wasco, in Oregon, e nata attorno alla figura del controverso guru indiano Bhagwan Shree Rajneesh, conosciuto come Osho, e alla sua assistente personale Ma Anand Sheela. Il progetto dei seguaci era ambizioso: costruire una città autosufficiente nel cuore degli Stati Uniti. Dopo l’acquisto di quasi 80 acri di terreno, la comunità ottenne dal governo statale il riconoscimento formale di municipalità. Rajneeshpuram arrivò così ad avere un sindaco eletto democraticamente, un bilancio cittadino e persino una propria forza di polizia. Negli Stati Uniti, del resto, la legge rende relativamente semplice costituire una nuova città: in posti come lo Utah, bastano appena 75 residenti per ottenere lo status di “town”. Un precedente che torna d’attualità se si pensa all’esperimento di Elon Musk in Texas, dove l’imprenditore ha dato vita a una città, a tutti gli effetti, di sua proprietà.
Lo scorso maggio, all’estremità meridionale del Texas, l’area che ospita le attività di SpaceX ha ottenuto ufficialmente il titolo di città, assumendo il nome di Starbase. La decisione è arrivata tramite un referendum locale: su 283 aventi diritto al voto, perlopiù dipendenti della compagnia aerospaziale, 212 si sono espressi a favore e soltanto sei contrari. Subito dopo l’annuncio, Elon Musk ha celebrato la notizia sul suo social network X con un messaggio lapidario: «Starbase, Texas è ora una vera città!».
Il nuovo comune avrà un sindaco e due commissari con competenze in materia di urbanistica, tassazione e servizi locali. Non sorprende che il primo cittadino sia Bobby Peden, vicepresidente di SpaceX, eletto senza opposizione, insieme ad altri due funzionari dell’azienda che occuperanno i seggi da commissari. Negli ultimi anni, attorno alla base operativa di SpaceX sono sorti alloggi aziendali e nuove infrastrutture, mentre Musk stesso vi ha stabilito una residenza. Alcuni dettagli rendono chiaro quanto la città rifletta l’impronta del miliardario: una strada ribattezzata Memes Street e un enorme busto dedicato allo stesso Musk — recentemente preso di mira da atti vandalici — che troneggia nella zona.
Starbase funziona dunque come una democrazia profondamente antidemocratica. La maggior parte dei residenti è costituita da dipendenti di SpaceX con contratti a tempo indeterminato: chiunque osasse opporsi alla volontà di Elon Musk rischierebbe non solo il licenziamento, ma anche lo sfratto dalle abitazioni aziendali in cui molti di loro vivono. In queste condizioni, l’autonomia politica della comunità appare più formale che reale, con decisioni inevitabilmente orientate a tutelare gli interessi dell’azienda piuttosto che quelli della collettività.
A confermare questo scenario è stata, a fine giugno, una proposta discussa e approvata dal governo cittadino: l’installazione di cancelli e recinzioni attorno a Starbase. Ufficialmente presentata come una misura di sicurezza, l’iniziativa ha di fatto limitato l’accesso al centro municipale ai soli affiliati con la compagnia. Giornalisti critici, manifestanti, sindacalisti, attivisti politici – o semplicemente chiunque non gradito a Musk – sono esclusi così da uno spazio pubblico. Senza contare che quelle strade oggi inaccessibili sono state state mantenute per anni con le tasse statali e locali, ma ora sono state di fatto privatizzate e annesse al dominio personale di Elon.
Il conflitto tra interesse pubblico e privato si manifesta con sempre maggiore chiarezza anche in relazione ai lanci missilistici che avvengono all’interno della neonata Starbase. Un disegno di legge in discussione al parlamento del Texas potrebbe infatti concedere ai funzionari della nuova città il potere di chiudere un’autostrada locale e limitare l’accesso a Boca Chica Beach e al Boca Chica State Park durante i lanci e le attività di SpaceX – quando finora queste chiusure sono state gestite collegialmente da tutta contea. Nonostante l’opposizione del massimo funzionario della giurisdizione, il giudice Eddie Treviño Jr, Musk può contare su legami molto stretti con i vertici politici texani. Non a caso, negli ultimi anni ha trasferito diverse attività e sedi delle sue aziende dalla California al Texas, attirato da un contesto normativo più favorevole e dal suo contrasto con la politica californiana, dominata dai Democratici.
La strategia di espansione non si limita infatti a Starbase: Musk sta sviluppando nuovi insediamenti anche nei pressi di Austin, a circa cinque ore e mezza di auto dalla città dei razzi. In questo caso, a differenza di Starbase, non sono previsti grandi complessi residenziali per i dipendenti, che abitano per lo più nelle comunità circostanti. Ciò non ha però placato le critiche. Le associazioni ambientaliste denunciano l’impatto delle attività di SpaceX sulla fauna locale, l’aumento dell’inquinamento luminoso e la presenza diffusa di detriti provenienti dai lanci. Nel 2024 l’azienda è stata inoltre multata per quasi 150 mila dollari dall’Agenzia per la protezione ambientale statunitense e dalla Commissione per la qualità ambientale del Texas per scarichi illegali di acque reflue.
L’idea di città private e iper-securizzate non è nuova. Un modello in questo senso era già stato tracciato nel secolo scorso a Miami, con la nascita di Indian Creek Village, un’enclave di super ricchi sorta su un’isola artificiale nella Biscayne Bay e soprannominata “il bunker dei miliardari”. Qui hanno la loro residenza part-time personaggi come l’amministratore delegato di Amazon Jeff Bezos o l’ex campione di football Tom Brady. Indian Creek si distingue da altre comunità d’élite perché, fin dal suo riconoscimento ufficiale nel 1939, è stata governata da un ristretto gruppo di proprietari che stabilisce le leggi e definisce il bilancio cittadino. Si tratta di uno spazio a metà tra il pubblico e il privato: da un lato gode dello status di città e dei benefici che ne derivano, dall’altro funziona come una gated community. Pur potendo trattenere la maggior parte delle entrate fiscali immobiliari per uso interno, Indian Creek attinge regolarmente a sovvenzioni governative e a obbligazioni municipali per finanziare la manutenzione delle infrastrutture.
Un esempio affine conferma come, tra l’élite tecnologica, la fondazione di città private stia diventando sempre più una tendenza. In Honduras, nelle Islas de la Bahía, sono già state poste le basi per la creazione di Prospera, una sorta di mecca libertaria sostenuta da venture capitalist come Sam Altman e Peter Thiel. Qui le aziende possono autoregolamentarsi e la cittadinanza è in vendita per circa 1.300 dollari l’anno. Sulla stessa linea si muove anche la politica americana. Donald Trump ha rilanciato l’idea delle cosiddette “freedom cities”, un concetto ancora vago che aprirebbe la strada alla nascita di nuove città private negli Stati Uniti, pensate per operare con un regime normativo alleggerito. L’obiettivo dichiarato è quello di aggirare le strutture democratiche tradizionali, considerate lente e macchinose, in nome di un’innovazione rapida e di una prosperità che, almeno secondo i suoi promotori, solo modelli di governance più flessibili sarebbero in grado di garantire.
L’creazione giuridica e la successiva chiusura all’esterno di Starbase mostrano fino a che punto i miliardari siano disposti a spingersi per isolarsi dal pubblico e dalle dinamiche della democrazia locale. Le élite hanno da sempre utilizzato la propria ricchezza per tenere a distanza la massa, investendo in sicurezza privata, residenze blindate e complessi recintati. Ma sempre più spesso scelgono di andare oltre, appropriandosi direttamente delle leve del potere pubblico per trasformarle in strumenti di protezione personale. È un’evoluzione evidente: non più soltanto gated community o enclave esclusive, ma vere e proprie città semiprivate, amministrate secondo logiche aziendali e modellate sugli interessi di pochi. Con l’aumento vertiginoso della ricchezza e dell’influenza dei miliardari, queste nuove forme urbane sembrano destinate a moltiplicarsi.











