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Se in taxi dici “pos” è subito guerra civile

Usare la carta di credito dopo una corsa significa molto più di quanto credete: vuol dire schierarsi in una guerra, da una parte l’esercito dell’avocado toast, dall'altra i partigiani del pane e salame

Foto di Mario Tama/Getty Images

Viviamo in un clima da guerra civile: l’esercito dell’avocado toast contro i partigiani del pane e salame. Se da noi i gilet di un qualche colore non incendiano via Montenapoleone è solo perché quasi tutti abbiamo la casetta lasciata in eredità dalla nonna. Per capirlo, non servono indagini statistiche o complesse analisi politiche. Basta prendere un taxi.

Il conducente ti butta subito lì un paio di domande, per capire da che parte stai, se sei un amico o un nemico – sei seduto là dove nessuno vorrebbe mai fosse appostato un nemico. La prima suona: contanti o POS? Se gli rispondi contanti, puoi sentire la pelle sintetica del suo sedile scricchiolare: ha rilassato la schiena spostando il sedere in avanti di qualche centimetro. E parte una filippica, in tono intimo, confidenziale, da commilitoni, contro il Sistema, contro quegli altri. “Certo” dici tu. Fai: “Ah ah”, bello forte, per fargli capire che parlate la stessa lingua.

Il senso del discorso è questo: il singolo, il lavoratore novecentesco, è stato ingannato, ha comprato a prezzo di enormi sacrifici una licenza che ora verrà stracciata da Huber o simili, è stato schiacciato da un meccanismo che premia l’efficienza collettiva a discapito delle vite individuali di intere categorie. “Ci vogliono mettere gli uni contro gli altri”. Guerra tra poveri è un’espressione che riempie gli abitacoli dei taxi quasi quanto le telecronache calcistiche.

Se invece a quella prima domanda rispondi “POS”, eccoti schierato oltre la trincea. Di là, con i mangiatori di avocado dagli elmetti supertecnologici, apparentemente indistruttibili, che sfoggiano le insegne di Unicredit, di Deliveroo, dell’Unione Europea, dei colossi della Silicon Valley, dei politici tutti (o quasi), della Cina (il prezzemolo della politica da bar). P-O-S: quelle tre lettere diventano la punta dell’iceberg di un mondo freddo e bianco e immenso, di un’ideologia globalizzata e disumana, che condanna il tassista e il suo piccolo universo di carne e la sua progenie indifesa a un futuro molto peggiore di quello che la tv gli aveva promesso negli anni ‘80. Inserendo la tessera nel terminale tu stai piantando un pugnale nella pancia di suo figlio. Credevi di esserti risparmiato cinque minuti di prelievo al Bancomat, e invece hai dichiarato guerra a metà del Paese.

Quando parte la stampa dello scontrino, col suo rumore stupido e sordo in un silenzio imbarazzato, siderale, capisci che l’atmosfera interna è talmente carica di odio che la batteria dell’auto potrebbe saltare da un momento all’altro. Il tassista, guardandoti dallo specchietto retrovisore, non ti sta osservando con vago fastidio per il costo della commissione. Ti sta scrutando con gli occhi assottigliati e fermi del cecchino piazzato nella garitta. Che tiene sotto tiro un essere irrimediabilmente diverso da lui, la cui sola esistenza su questo pianeta minaccia quanto gli è più caro al mondo. Grazie al cielo, probabilmente anche la nonna del tassista gli avrà lasciato una casetta nell’hinterland.

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