Se finalmente scoppia una guerra poi un uomo lo sappiamo accoppare? | Rolling Stone Italia
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Se finalmente scoppia una guerra poi un uomo lo sappiamo accoppare?

Nell'epoca in cui l'odio per il diverso e il nemico straniero sono tornati parte della nostra quotidianità, cosa succederebbe se dalle parole si passasse ai fatti?

Se finalmente scoppia una guerra poi un uomo lo sappiamo accoppare?

E i francesi che spernacchiano pf a labbra schifate, e i nigeriani che urlano in treno, e i cinesi che bisbigliano vocali fluttuanti con facce da cospirazione. Chi non ha mai odiato quegli altri lì che non sanno caricare una moka come dio comanda? Quel che è certo è che se poi alla fine una guerra scoppiasse davvero, se finalmente avessi l’occasione per vendicarmi di tutti quegli esseri superflui che non-sono-me e che non sono nemmeno italiani, mi darei di corsa alla macchia.

Da ragazzino qualche pugno che ti butta giù l’ho pure tirato, quando io e il mio gruppo eravamo in netta maggioranza. La prima volta che ci siamo ritrovati alla pari, sulla Rambla, ne ho prese un sacco e una sporta, i secchioni palestrati scandinavi che mollavano calci, io per terra e la terra mica ti aiuta, tra me e loro avrebbe dovuto stare, la terra, e lei sotto invece, la vigliacca, quindi setto spappolato, l’ambulanza, tre punti sulla guancia, il dolore: una cosa mica bella e che fa male, il dolore. Saranno quindici anni che non tiro un cazzotto. Almeno non a vertebrati. Devo avere sfondato una porta, una di quelle di compensato che ti danno gran soddisfazione, che guardi il buco pieno di schegge e pensi provaci ancora a trovarti davanti a me quando ho i maroni girati, cazzo di porta. E poi un paio di vespe, col pugno da sopra, quelli che mollava Bud Spencer sulla testa degli scagnozzi cretini, mi eccitava che magari la vespa tirava fuori il pungiglione o forse no, però lì dove sta la tua brava ciccetta sotto la mano, che invece le nocche son pelle e ossa e sai le stelle che vedi, una roulette russa da picnic, niente di serio.

Però, dico, con gli uomini è un’altra cosa, sono bestie evolute, quelle. Intanto se li guardi male capiscono che qualcosa bolle in pentola, se non sono proprio coglioni si mettono in guardia, e quando c’hai davanti uno che s’è messo in guardia cambia tutta la questione. Ti guarda come dire: o tu o io, e io dico io, come la mettiamo? Con gli insetti puoi giocare sull’effetto sorpresa, ma con gli umani è più difficile. A quel punto devi essere veloce e cattivo e avere mira e poi ancora e ancora e ancora finché non hai innescato il processo di decomposizione dei suoi tessuti. Altrimenti il dolore e forse la morte toccano a te. Non è che mi farei problemi a beccarli alle spalle, figuriamoci, è che poi dove li colpisci, questi primati, alle spalle? Alla base del collo, dici tu. Ma metti che abbia il piumino imbottito, metti che abbia i capelli lunghi, è una roba sottile, la base del collo. Puoi scommetterci che finisce che gli dai un pugno tra le scapole, poi quello si gira e sono cazzi. E se invece glielo dai troppo in alto, sulla nuca, capacissimo che ti insacchi un dito, e quello, di nuovo, si gira e questa volta tu devi pure difenderti solo con la sinistra, per niente un bel lavoro.

Questo solo per rimanere a una guerra vecchio stile, paleolitica, ma abbiamo passato l’era del bronzo e un sacco di altre ere e per ogni era abbiamo inventato qualche nuovo materiale che si conficcava meglio nel corpo, fino alla bomba nucleare che è così brava da penetrare proprio dentro alle cellule, che il vecchio ferro sembra una sostanza spuntata in confronto. Ma senza arrivare ai funghi atomici, che annullerebbero di colpo tutto il problema, anche con le pallottole è un gran casino. Non mi ricordo come me la cavavo con i tirassegni del Luna Park. A casa devo avere qualche peluche che viene da là, ma credo che il gestore me li abbia dati per pietà o perché il costo dei tentativi superava di gran lunga quello di un orsacchiotto mal cagato in qualche inferno asiatico. Una volta ho sparato con un mio conoscente in campagna, miravamo a delle bottiglie, ma quello era un fucile, bello grosso, delle bottiglie non ricordo nemmeno il colore ma ricordo bene il contraccolpo, un impatto forte, un macrocefalo che ti dà una testata sulla spalla. Ora che mi riprendevo mi crivellavano di colpi ma grazie al cielo le bottiglie non hanno tanti grilli per la testa se ne stanno ferme e vanno in frantumi.

Se scoppiasse una guerra dovrei imparare in fretta e io non ho grossa manualità, non posso sperare di diventare un cecchino, uno di quelli che se ne stanno belli imboscati e colpiscono dalla distanza mentre fumano sigarette senza filtro. Quindi come potrei essere usato? Me mi userebbero come carne da macello, c’è da scommetterci. Avanti, all’attacco! Cose così. E te li vedi gli altri che ti guardano dritto mica perché hai un brufolo in fronte o perché ci stanno provando ma proprio perché vogliono che tutto quello che sei non sia mai più. E io gli direi che mi tengo i pf bavosi e le vocali strane ma quelli ormai sono lì e prima che ci parli, che gli spieghi che dicevi tanto per dire, quelli sparano, e c’è il fumo e un rumore che mi immagino assordante e allora che fai, ti fingi morto, subito, per forza, bum, come svenendo lì dove se, sul pantano o sul cemento, e poi quelli passano e ti toccano con la punta dell’anfibio ma tu devi fare come niente, respirare piano, ma magari ti agiti, poveraccio, c’è da capirti, e allora quelli lo vedono che sei vivo e che sei un vigliacco e tu glielo confermi eccome, certo che sono un vigliacco, dici, non ammazzo nessuno io, e li preghi di portarti in un carcere militare, anche in un posto tipo Guantanamo dove ti fanno quegli scherzetti con i tessuti impregnati di acqua sulla faccia che ti sembra di affogare e tu pensi che in fondo l’acqua è una gran bella cosa, ci sono i pesci, nell’acqua, e sembra azzurra, una cosa molto meglio del nulla, insomma.

E però anche darsi alla macchia non è mica una cosa facile, a ben pensarci. Dove cazzo vado, da Milano? In Brianza? In un capannone abbandonato, può funzionare. Ma i brianzoli lavorano duro, quelle carogne, capace che di capannoni inattivi ne hanno lasciati una manciata, adesso magari quei capannoni servono per ragioni belliche che non ho la minima idea di quali siano, e magari i pochi in disuso sono già occupati da altri cagasotto come me e quelli mi dicono via, qui ci nascondiamo noi e abbiamo quasi finito i panini. Perché anche quella del cibo è una storia complicata. Vado all’Esselunga, d’accordo, riempio i trolley di carne in scatola e latte condensato e parto in auto per la Brianza. Mettiamo pure che la faccia franca ai posti di blocco, con il cibo che ci sta nei trolley ci vado avanti poche settimane. E se poi non abbiamo ancora vinto o perso? Finirei per mangiare piccioni, di quelli malati con le piume rade e umidicce, tanto quelli sani mica li becchi, a pietrate, quindi poi muori comunque di leptospirosi o schifezze varie.

Magari arrivo fino sulle Alpi, che lì ci sono più bestie, metti che su Google capisco quali sono i funghi che non t’accoppano pure loro, metti che mi specializzo nella caccia alla marmotta. Ma dove sto? Fa freddo, sulle Alpi. In un maso disabitato, dove puoi bruciare vecchi tavoli se ti sei portato dietro tanti accendini e se ci sono i vecchi tavoli, ché la legna fresca è un casino farla bruciare, ha ancora troppo vivo il ricordo dei bei tempi andati quando se ne stava felice attaccata all’albero e se la spassava con la sua brava fotosintesi clorofilliana, mica brucia così su due piedi perché tu tremi, col cazzo ti dice la legna fresca. Ma il maso, disabitato, deve esserlo per forza, scordati stufe funzionanti e caminetti con le cappe che tirano, che se invece i montanari in tempo di guerra ti beccano lì che vuoi dormire nel loro letto può darsi che ti sfondano la testa con una pala.

Una volta da ragazzini abbiamo provato a entrare in una casa di campagna disabitata, sprangata da dentro, c’avevamo un’accetta, dai e ridai, abbiamo solo aperto delle fessure nel legno, una porta sprangata non la tiri giù così facilmente. Però poi un mio amico ha lanciato l’accetta contro un ramarro che prendeva il sole sul sentiero, e quello è morto con il muso spappolato, ma non l’abbiamo mangiato perché al tempo tornavamo a casa e le mamme ci preparavano le tagliatelle. E invece lassù in montagna, tra i masi disabitati, alla macchia, quando sotto quegli altri là si aprono le teste con supposte di acciaio che scambiano le tue tempie per buchi di culo, lassù il ramarro te lo devi mangiare.

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