Sanremo 2024, dimmi che duetto sei e ti dirò cosa non siamo noi | Rolling Stone Italia
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Sanremo 2024, dimmi che duetto sei e ti dirò cosa non siamo noi

Del festival prometto solennemente fin d'ora che vedrò solo le serate pari. No, quelle dispari. Vabbè, ora ci penso. Intanto, come il protagonista di 'Perfect Days', sediamoci sulla panchina, rispolveriamo il nostro vecchio arnese analogico della critica e proviamo a mettere a fuoco l’immagine della serata del venerdì dell’Ariston

Sanremo 2024, dimmi che duetto sei e ti dirò cosa non siamo noi

Amadeus

Foto: Pigi Cipelli/Mondadori portfolio via Getty Images

Giovanni Robertini: L’altro giorno sono stato svegliato da un paio di whatsapp di amici che mi chiedevano cosa ne pensassi dei duetti appena annunciati da Amadeus in pigiama nella sua camera d’albergo di Sanremo. Come se quei nomi messi in lista fossero fondi di “buongiornissimo kaffè” che potessero rivelare chissà cosa sullo stato della musica e del Paese, un sentiment progressista o reazionario, nuovista o conservatore, e – in casi estremi – “de destra o de sinistra”. Hai visto Perfect Days? Ecco Sanremo oggi – per noi rincoglionitissimi boomer e Gen X che surfiamo con l’artrosi su pop e social – è una sorta di komorebi, in giapponese “luce che filtra tra gli alberi”, uno stato d’animo che indica lo sforzo di trovare un po’ di serenità anche nei momenti più bui. Quindi, come il protagonista del film di Wenders, sediamoci sulla panchina, rispolveriamo il nostro vecchio arnese analogico della critica, e proviamo a mettere a fuoco l’immagine della serata del venerdì dell’Ariston. Salvo giusto tre fotografie. La prima è Dargen con quel che resta dell’Orchestra di Piazza Vittorio (ora si chiama BabelNova Orchestra) che omaggia Morricone: la percentuale di cringismo è elevata, forse Dargen deve espiare i demoni Pay Per View di X Factor, magari ci sarà un messaggio antirazzista, pacifista, spero non troppo retorico da mandare in sollucchero la sala stampa, che è sempre un brutto segno. La seconda è Angelina Mango col quartetto d’archi che omaggia il padre: sarà un momento Maria De Filippi in purezza, Taylor Swift dentro a una coreografia di Non è La Rai, l’emo-trash con il plus dell’effetto nostalgia. La terza è Geolier con Guè, Luchè e Gigi D’Alessio: TikTok tamarro e un po’ attempato, gangsta maranza, ma l’idea che questi Boss delle cerimonie trasformino l’Ariston in un prediciottesimo in tuta di marca mi mette di buon umore, anche se è facile prevedere che il risultato scenico sarà discutibile. E tu? Dimmi che duetto sei e ti dirò cosa non siamo noi.

Alberto Piccinini: Sono felice che ti sei svegliato di buonumore. Io penso che le cose da qui a Sanremo non potranno che peggiorare. Mi sono reso conto del rischio per la nostra sanità mentale e della prova durissima che ci attende a breve quando, a un certo punto, l’altro giorno mi sono sorpreso a pensare: però questo Ghali con L’italiano e il produttore tunisino Rat Chopper, che inclusività. A questo siamo arrivati, al recupero completo de L’italiano di Toto Cutugno (Rip) come una specie di Bella ciao amore ciao. Dargen D’Amico che ci farà con Morricone? Me lo sono chiesto anch’io cosa credi. Il fischio di Per un pugno di dollari? L’urlatore? Il rumore delle pistole nel duello? Ma questo duetto di Mahmood coi Tenores di Bitti su Lucio Dalla, però. Nel 1995 Peter Gabriel aveva prodotto un disco dei Tenores di Bitti, ne andammo tutti fieri. Poi, siccome non avevo niente da fare e il pensiero del tempo passato scatena il Leopardi che è in me ho pensato a come sarebbe stato un duetto tra Mahmood e Lucio Dalla sopra un pezzo dei Tenores di Bitti. O a un duetto dei Tenores di Bitti e Lucio Dalla sopra un pezzo di Mahmood. La prova del nove, insomma. La serata dei duetti dovrebbe sponsorizzarla l’intelligenza artificiale. Pensa che bello: sul palco un bel proiettore di ologrammi, tipo quelli che usano negli studi quando vanno in onda le trasmissioni sportive (ci sono ancora?), e via di duetti impossibili. Ma perchè poi di duetti? Facciamo terzetti. Facciamo la serata dei quartetti: solo arrangiamenti per quartetto d’archi delle canzoni di Sanremo di ogni tempo, dirige l’orchestra il maestro Beatrice Venezi. Facciamo una cosa cageana, la solita: dieci vip in silenzio sul palco, anzi facciamoglielo fare direttamente in collegamento con la casa del Grande Fratello. Di Sanremo prometto solennemente fin d’ora che vedrò solo le serate pari. No, quelle dispari. Vabbè, ora ci penso. Andrà malissimo, credimi. Se ti mando un whatsapp meno che apocalittico durante il Festival silenziami e cancella tutto, non ero io.

GR: Ok i duetti, ok i superospiti – sì Sinner no Mourinho, la Ferragni l’avrei invitata a fare live sul palco lo spot della Coca Cola che le hanno tolto –, ma oggi un grande evento senza manco un complotto, una cospirazione anche piccina, sembra fuori dal tempo. Ci vorrebbe un Fleximan del televoto che distrugga le centraline mandando in tilt il sistema, per scoprire poi che è un fan de Il Volo. O un Dopofestival in uno strip club milanese condotto dai mostri de La Zanzara di Cruciani, Filippo Champagne e Nevio Lo Stirato, come nell’ultimo videoclip de Il Pagante. Ma per immortalare la luce che filtra tra gli alberi del Paese per ora toccherà affidarsi all’AI, all’autotune, al ritocco di Photoshop, all’inganno che diventa meme. Ho letto in rete questo articolo di Vincenzo Marino che racconta di video su TikTok che ripropongono vecchie teorie del complotto, dark web e satanismi assortiti, con la voce di Sfera Ebbasta ricreata grazie a software di sintesi vocale: il finto trapper parla dei biscotti Oreo che hanno simboli massonici, dell’asteroide che colpirà la terra tra 11 mesi o della storia dell’uomo cane. Ovviamente palle, frottole, rincoglionimento di massa, che si diffondono con chiocciole e hashtag tipo “leggende telebrose”. Come consiglio per migliorare e implementare le visualizzazioni di questi fake, suggerisco ai troll di aggiungere alle loro stories l’hashtag #perchéSanremoèSanremo. Funziona sempre, da sempre.

AP: Buono, lo farò di sicuro. Ma poi perchè si chiama Fleximan? Poteva benissimo chiamarsi Posaman, il supereroe di Lillo hai presente? Sì, d’accordo la marca del flessibile. Troppo settoriale, troppo target maschile. E di sicuro c’è di mezzo anche la motosega di Milei, il presidente argentino, del quale l’altro giorno ho visto pubblicato un discorso integrale su Il Foglio come fosse un Habermas qualsiasi e un po’ mi sono inquietato. Leggo che hanno fermato un fleximan della Val d’Ossola, beccato dalle telecamere di sorveglianza. Un tizio di cinquantanni scapolo. Scapolo. Era dagli anni ’70 che non sentivo la parola “scapolo”. Qualcosa di brutto sta succedendo nell’ambito dei rapporti tra uomini e donne evidentemente, e gli effetti si vedono. Lo spleen delle strade dritte delle province di quel profondo nord che portano da un ipermercato a una villetta e invita a schiacciare l’acceleratore è roba che non possiamo capire. A noi ciclisti di quartiere la cosa sembra lontana, impossibile. Noi siamo come Thom Yorke e i suoi amici Smile che in questi giorni suonano davanti ai bambini delle elementari Friend of a Friend, canzone lontamente ispirata ai lockdown italiani sui balconi, tipo Diodato però la regia è di Paul Thomas Anderson. Infine, sempre a proposito di Fleximan questo Instagram di Kanye West che fotografa la sua fidanzata come una sexy zombie in latex e pelle nuda mentre guida il macchinone o prepara la cena l’hanno visto tutti. Lei come sta, poveretta?

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