Il discorso di Riccardo Rudino del CALP genovese (il Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali, ndr), tenuto prima della partenza delle barche della Global Sumud Flotilla quattro settimane fa, ha fatto il giro del mondo («se toccheranno uno solo dei nostri, bloccheremo tutto, non un chiodo uscirà dalla città»), trasformandolo in modo spontaneo in una “voce” planetaria. E così anche il suo successivo intervento, nella successiva manifestazione del 22 settembre. Anche le sue parole di tre giorni fa, al termine della lunga fiaccolata con 25000 persone in strada, sono state lapidarie. Per non parlare dell’intervento di ieri sera a Carta Bianca, pazzesco. L’ho chiamato, pur sapendo che stava incollato a ogni mezzo di comunicazione possibile, al telefono, a tutto.
Allora, tensione totale. Qual è la situazione a quanto sai tu?
A quanto so io? Io le ho informazioni che abbiamo tutti, guardando sui social e cose così. In più, abbiamo un contatto con i nostri. Dalla scorsa notte siamo entrati nella situazione, diciamo, quella pericolosa. Ieri ho appena sentito quell’audio, che penso sia vero, della nave italiana che dà il ben servito ai nostri. La fregata della Marina Militare Italiana, che informa che tra un po’ li lascerà perché entrano nelle 150 miglia vicino a Gaza. Perciò da’ l’ultimo avviso: se volete, se qualcuno vuole arrendersi, siamo disponibili a venirlo a prendere, altrimenti buona fortuna.
Io la trovo una cosa che mi fa torcere le budella, un atto di vigliaccheria incredibile. Io poi non so, non è che io sia un uomo di mare nel senso che non navigo, ma un atto di vigliaccheria così… Ma come si fa a lasciare 44 barche da sole? Sono 250-300 persone, sono gente che in gran parte ha un’esperienza di mare come potremmo averla io e te… Immagino fortunatamente che ci siano tanti professionisti che gestiscono la cosa, ma tanta gente non è esperta per nulla. In mare non si deve mai fare una cosa del genere, mai. Una delle poche cose che mi hanno insegnato è che in mare si deve sempre stare vicino a chi chiede soccorso. Ma perché? Di cosa c’hai paura? Ma di che cosa? Tu vai lì, ci sono dei connazionali, siamo lì fino all’ultimo. Io non so cosa farà la Turchia, cosa farà la Spagna, ma per me sentire che ancora una volta passiamo da vigliacchi così per colpa di questo governo, a me fa torcere le budella.
Poi, cosa devo dirti? Io ho un amico che è come un fratello lì, noi siamo insieme da quando eravamo ragazzini. Ne abbiamo combinate di tutti i colori. Su un’altra barca c’è un ragazzo che l’ho visto diventare uomo, che potrebbe essere mio figlio, che è sempre di Genova. Stiamo a vedere ancora qualche ora, ma scatterà lo sciopero generale, scatterà tutto.
Questo secondo te avverrà in modo potente, clamoroso?
Sì, sì, sì, ci metto la mano sul fuoco. Noi, e credo non solo noi genovesi ma tutti i portuali italiani, bloccheranno i porti.
Senti una cosa, ma perché secondo te, stranamente, l’unica azione decente in aiuto a Gaza è partita dal mare?
Io credo che l’organizzazione Flotilla sia una organizzazione complessa. È un’organizzazione capace di muovere blocchi navali, cosa che ha sempre fatto da anni. E io credo che abbiano avuto la forza di farlo perché le piazze hanno cominciato a muoversi, tante cose l’hanno spinta a riprovare questa operazione.
Quando l’avete intercettata, voi?
L’idea della Global Sumud Flotilla era quella di raccogliere 40 tonnellate di generi alimentari e portarle a Gaza come aiuto. Sono diventate più di 300. La Flotilla è diventata ancora più massiccia di quello che doveva essere all’inizio. Io credo che si sia messa in moto la palla di neve che comincia a rotolare e poi diventa quello che diventa. Immagino che ci fosse bisogno di uno scatto di dignità. Penso che la gente abbia dovuto trovare qualcosa di potente, uscire di casa e smetterla di stare sentire quelli che ci raccontano solo un sacco di frottole. È stata una cosa dirompente e ha messo in moto tutto. Gli alimenti sono arrivati da qualsiasi parte. Arrivava gente per scambiarsi opinioni e discorrere, finalmente si è iniziato a parlare tanto, era ora. È arrivato così tanto cibo che Music for Peace a un certo punto ha chiesto aiuto ai portuali della Compagnia Unica che si sono resi disponibili sia ad aiutare sia a fare i pacchi e a stivarli.
C’è un elemento fortemente genovese in tutto questo? Per esempio, la città è stato uno dei luoghi principali dove sono stati raccolti gli alimenti.
Sì, sì, l’ambito genovese… Queste operazioni sono state sempre fatte qui. Ma i portuali sono fatti così in tutto il mondo. L’internazionalismo ce l’hanno dentro. La classe operaia, e in questo caso i portuali, percepisce che ci sono momenti in cui si devono fare delle azioni per riequilibrare un po’ le cose. Che stanno andando proprio male, la crisi economica, le guerre, il riarmo. Sono troppe le cose che non vanno. È un sentimento buono perché anche pre-politico, proprio un qualcosa che esce da dentro. Per questo fa così paura, perché è difficilmente gestibile, non ci sono partiti dietro. Certo, ci sono i sindacati che lanciano le manifestazioni e le giornate di sciopero perché è il loro lavoro, ma dentro c’è proprio la gente, c’è gente che la pensa anche in maniera diversa su tante cose, ma su questa roba qui no. Le immagini che abbiamo visto… Non si possono più vedere queste distruzioni, questa roba, la gente si è levata da Telegram perché non si possono vedere bambini uccisi, ospedali bombardati, non si può vedere questo orrore inaccettabile.
Perché i CALP sono venuti fuori così forti da questa faccenda?
Noi abbiamo imparato queste lotte dai nostri vecchi, quando facevano gli scioperi contro il colpo di stato di Pinochet contro il regime dei colonnelli, contro la guerra in Vietnam. I nostri vecchi hanno fatto delle battaglie incredibili su queste cose qua. Ora ti lascio. La situazione è troppo tesa. Fammi capire cosa succede adesso.
Lo credo bene.








