Stamane, lunedì 12 maggio, ero in giro a piedi nella mia cittadina. La giornata era sufficientemente luminosa, le montagne incantavano con le loro estremità ancora imbiancate a chiazze corpose e il verde della natura scalpitava per affermare la sua egemonia primaverile, pronta al rigoglio estivo. I ragazzi azzardavano pullover o giubbotti di cotone (alcuni, pochissimi, la t-shirt) e la mia camminata si dispiegava un po’ meno indolente del solito, complice l’aria immobile ma frizzante che mi aveva consigliato, dopo aver messo il naso fuori dalla finestra per testare il clima, un bel maglioncino bordeaux di lana e uno stiloso giubbotto in poliestere.
Ero uscito intorno alle 11.30 calcolando i vari tempi a disposizione per andare a ritirare gli esami del sangue annuali, per portarli dalla mia dottoressa («Lei è sano come un pesce!»), e per andare dall’amministratore del mio condominio a capire come operare per la detrazione dalle tasse delle spese straordinarie previste quest’anno. L’amministratore era già uscito dal suo ufficio (ore 12.34) e dunque me ne sono tornato indietro consapevole che comunque fosse avevo fatto una bella camminata. In questa confortevole sensazione in piazza Europa ho notato che guardavo la gente percependola nella sua normale vitalità. Voglio dire: la vedevo con la calma di chi è pacificamente inserito nel tran tran della quotidianità, senza ambasce o ansie, e forte, nello specifico, sia degli esiti positivi degli esami che di una recensione straordinariamente bella del mio disco. Vedevo la gente, voglio ancora dire, senza il filtro delle consapevolezze drogate e opprimenti del me antecedente la Grande Decisione. A cosa alludo?
Beh, due mesi fa circa sono entrato in un loop salvifico, perché ho smesso brutalmente la compulsione malata dei commenti nei social. Per ottenere questo miracolo ho dovuto fare un sacrificio rilevante, doloroso: ho dovuto cioè accettare di perdermi tutti quelli belli che ricevo in merito alle cose che mi riguardano. E mi scuso con chi me li porge. Se esiste ancora un luogo dove li vado a vedere, tra il senso del dovere e il puro piacere, è nei miei social, dove i fautori della causa caustica sono lentamente svaniti, mentre dall’ultimo episodio accaduto quasi per sbaglio tre settimane fa (ve lo racconto al prossimo capoverso) ho ben capito che è meglio non affacciarsi alla sezione commenti di, che ne so, un proprio video su YouTube, fuori dai propri social.
(Ecco il prossimo capoverso). Per una sorta di distrazione tre settimane fa eccezionalmente ho lasciato che il medio e l’anulare “scrollassero” nella sezione commenti di YouTube sotto il video di Eppure so, singolo scelto per il mio Stammi accanto. Il fatto è che per sbaglio avevo visto il primo, ed era lusinghiero. E allora la vocina tentatrice dentro me ha suggerito di scendere giù piano piano per vedere il successivo, e così facendo, dato che anche il secondo era molto bello, le due dita hanno cominciato a srotolarmi, sempre molto lentamente, tutti gli altri, energeticamente positivi. Ovvio che il brutto era in agguato, ed eccolo qua, una cosa tipo: «Che schifo: ormai sei solo più adatto a Sanremo» (caro mio, il Sanremo attuale non prenderebbe mai un pezzo come Eppure so, cosa che invero gradirei). Ho dunque tolto l’anulare dal mouse e ho lasciato il medio, irrigidito e sbigottito…
Una volta sentii in un reel il professor Barbero dire «Non li guardo i commenti: purtroppo sono uno che dopo averne letti 30 belli ci sta male se il trentunesimo è brutto e cattivo». Il professor Barbero magari non lo sa, anche se propendo per il sì, ma credo che la più parte di tutti noi personaggi pubblici, almeno coloro che non sono nativi digitali, mal regga le cattiverie, al punto che una sola può invertire il senso di benessere vissuto fino a pochi istanti prima, trasformandolo in un abisso di triste nervosismo in grado di scombinarti, se va di lusso, le due o tre ore venture della giornata.
Regalo questa perla: i personaggi pubblici sono anch’essi esseri umani, incolpevoli, direi, di esserlo. A meno di non volerla considerare una colpa… I più hanno un ego robusto, e forse è più semplice sorridere di una cagata ai tuoi danni se quell’ego non ce l’hai, ma penso sia difficile sgonfiare il proprio o impedirgli di affermarsi quando sei abituato alle lusinghe o semplicemente alle attenzioni quotidiane di tantissime persone: non gonfierebbero anche il tuo, mio caro lettore, se fossi “costretto” ad abituartici? C’è forse una certa consequenzialità fra l’avere un ego importante e il possibile approdo a una dimensione pubblica? Magari è una conditio sine qua non? Forse. Chissà. Resta il fatto che la perla che vi ho girato è autentica e la riscrivo: siamo normali esseri umani.
Ma non è il caso specifico e personale il focus della mia argomentazione per voi che mi state leggendo. Voglio in realtà parlare dei commenti in genere, quelli riguardanti quasi qualsiasi post si possa trovare nei social. E prima di parlare di quelli ancora una precisazione: non sto riuscendo ad abolire i social tout court. Avrei tanto voluto e credo pure di averlo detto da qualche parte qua su Rolling Stone, ma certi reel sono adorabili e irresistibili, svolgono appieno (ahinoi) la loro funzione dopaminica e però ci ripagano con momenti fantastici di ilarità o di soddisfazione delle più varie curiosità, tra mondo animale nella sua bellezza e nella sua brutalità, sport assurdi e non, invenzioni esilaranti di chi esibisce assurde situazioni fantasticamente inutili, contenuti a qualche titolo utili (certo fa piuttosto sorridere l’esplosione di tanti creatori che tentano la via della monetizzazione proponendoci qualsiasi cosa, dai consigli finanziari, a quelli giuridici, immobiliari, psicologici, esistenziali, motivazionali, musicali, cinematografici, letterari, gastronomici, nutrizionali, echinehapiùnemetta: buona fortuna a tutti loro). E poi ancora le arditezze a volte stupidissime di chi fa cose estreme per i like, tutto il mondo IA in fermento e dal quale fin che potrò starò alla larga, i siti delle testate giornalistiche, dei commentatori a vario titolo della politica e dei contesti sociali, e ancora filosofi, poeti, musicisti, giornalisti, intellettuali, speaker radiofonici (roba bella e brutta in pari misura, a volte coi capelli unti e le mutande sporche, a volte turbo-spinta e pluto-inviluppata in spire filosofiche sulfuree, altre pro-putiniana e smascherata come un outing, altre ancora anti-occidentale come se non ci fosse un domani). E se dunque, al netto di certi contenuti serissimi e degni di attenzione speciale, perdo ancora un sacco di tempo quando l’ipnosi dello scroll attecchisce presso la mia disponibilità allo svago coatto, non un solo commento mi intrappola nella nuvolaglia caotica, voluta e artatamente organizzata dal capitalismo della sorveglianza, dei commenti in abbondanza, che su di me aveva essenzialmente un solo consistente effetto: deprimermi.
(Precisazione: alcuni post non hanno potenziale divisivo, e i commenti non hanno quel certo timbro aggressivo di cui sto parlando, ma per me, se devo disintossicarmi di qualcosa, serve la cesura radicale, netta, eliminarli tutti per scansare con certezza i nocivi, così come feci con le sigarette, così come ho fatto con l’alcol). Da questo tipo di commenti in verità mi ero già sganciato prima ancora della Grande Decisione, che ha ufficializzato il compiersi della sopraddetta cesura. (Sono perfettamente consapevole che per qualcuno, credo pochi, più che la Grande Decisione si tratti di Scoperta dell’Acqua Calda: beati loro, illuminati in tempi utili. E dico stramaledettamente sul serio. Ma d’altronde i grossissimi capitalisti, i ricchi super ricchi, pensano che la tecnologia sia per i poveri, cioè tutti noi, e inibiscono ai loro figli l’uso dei social e probabilmente anche degli smartphone: non ci si dovrebbe mai stancare di avere bene a mente questa cosa dopo averla introiettata).
E torniamo dunque alla mia passeggiata mattutina e al mio vedere l’umanità con gli occhi giusti della percezione corretta ed equilibrata. Leggere i commenti sotto i post divisivi relativi alle questioni politiche, geopolitiche, sociali, etiche, giuridiche, che provenissero dai giornali on line piuttosto che dai contenuti creati dai monetizzatori incalliti mi drogava. Era come se giorno dopo giorno io fossi sempre più catturato nel trip di uno sbigottimento rabbioso e frustrato, che regalava alla mia sensibilità una condizione che con una certa leggerezza si potrebbe definire paranoica. Un circolo vizioso lievitante che mi accerchiava con la sua atmosfera lugubremente presaga: «Ma se la metà della gente si fa così imbrigliare dalla manipolazione dell’info-ipnocrazia della rete e la trama populista e autoritaria attecchisce in tutto il mondo fomentata dagli imbonitori di narrazioni anti-mainstream quasi per statuto e in cerca di soldi ipocriti coi reiterati inviti a sottoscrivere abbonamenti o donazioni, che fine faremo?».
Questa potrebbe essere in sintesi l’immagine predominante del mio avvilimento mentale, e tale immagine si impadroniva di me come un’ossessione subliminale, falsificando e alterando le mie impressioni del mondo. Ai suoi massimi, qualche mese prima della mia esplosione e della conseguente Grande Decisione, mi poteva succedere di camminare per le strade italiane pensando alla zombificazione dei molti, ignari dei vari pericoli incombenti. Era ovviamente frustrante sapere di non poterci fare molto, a meno di non immaginarsi trasformato in un predicatore col suo piedistallo posticcio nei vari parchi italiani a ammonire gli stolti… E mentre scrivo queste cose mi torna in mente cosa pensai non molto tempo fa a proposito di tutto ciò: «Questa paranoia sull’ignoranza universale non è forse in tutto simile, per dire, ai paranoici dei vaccini, che in tutti i modi cercavano e cercano di salvare l’umanità credulona ingabbiata nel pensiero dominante?». E sì, la qualità della paranoia è effettivamente simile, anche se so – è lecito avere intime sensazioni – che la mia causa è giusta a dispetto di altre: i fascismi infatti ci sono, la democrazia sta messa malissimo, i vaccinati sono sostanzialmente tutti belli in vita come il sottoscritto, a dispetto delle predizioni più nefaste e paranoiche (ne è morto qualcuno? Certo: come in tutte le altre categorie possibili della razza umana è morto qualcuno, e continuerà a morire. In un giorno le statistiche dicono che muoiono circa 150.000 persone nel mondo). Ma le intime sensazioni non bastano, e resta il timore di avere una visione distorta della famigerata realtà.
Ebbene, stamattina guardando la gente nella sua normale attività, vedendo i visi candidamente adolescenziali di una scolaresca in cui a un certo punto mi son ritrovato in mezzo, accogliendo con piacere umano la solita, bellissima vitalità delle persone indaffarate, le loro camminate, la loro piena salute, le loro conversazioni, le loro andature, la loro singolarità, la loro diversità (siamo tutti diversi da tutti gli altri, nel nostro più stratificato io), notavo come fosse scomparsa la presunzione della loro immaginata inconsapevolezza ignara del peggio a venire nella colpevolezza di una supposta indifferenza. La visione non era più distorta, e capivo di essere gloriosamente uscito da un incubo.
Ora non è che io possa immaginare che voi tutti vi sentiate coinvolti in questo racconto che ha in sé la sua intrinseca urgenza, perché mi sa che ben pochi abbiano dovuto fare i conti con una trasformazione paranoica di sé stessi. E d’altronde non è che tutti abbiano la gravosa sensibilità di essere toccati con violenza dalla volgarità degli abbagli manipolati scaraventati addosso agli altri, delle insolenze velenose e ostili, litigiose, sprezzanti, a tratti quasi disumane, alimentatrici di odio: se penso ad esempio a mio figlio 27enne, quasi nativo digitale, devo tenere a mente che per lui l’insulto fa quintessenzialmente parte del gioco, dandolo per scontato. Una cosa in alcuni casi da riderci su. Ma molti, a parte tutto ciò, potrebbero intravedere la propria personale salvazione, a prescindere.
Se non a tutti è ancora chiaro dove io alla fin fine stia andando a parare dopo aver confessato della mia Grande Decisione, ben sapendo che a molti frega una sega di ciò che faccio, mi rivolgo sostanzialmente a chi è disponibile a recepire questo messaggio semplice semplice: sganciatevi, se potete, da quel vortice pernicioso. I tecnocrati tecnofascisti oligarchi eccetera (i nomi sono sempre gli stessi: BezosMuskZuckerbergThiel e via infilzando) hanno il grande desiderio di vedervi invischiati lì dentro, perché più vi scannate più lì dentro ci state, e più ci state più loro guadagnano (l’ho spiegato molte volte in altri miei articoli, e comunque credo che ormai siano in molti ad averne consapevolezza). Ma oltre a “dargli fastidio” (se fossimo in tantissimissimi a farlo eccome se gliene daremmo) conta la salvazione di sé stessi. Si esce dall’incubo, ci si torna a informare in posti equilibrati e senza commenti (WiredLavaligiabluLinkiestaIlpost e altri sono per me e per le mie sensazioni siti equilibrati, se proprio si ha bisogno di stare in rete: non urlano, non esibiscono sfacciate verità, appaiono ben ponderati e intellettualmente stimolanti. E non hanno la sezione commenti. Se no ci sono i giornali cartacei, che se letti in modo trasversale ti permettono una informazione bilanciata, recepita senza la frenesia letale dello scroll e senza il condizionamento inevitabile dei parapiglia social), ci si preserva, si fugge e nello stesso tempo si rimane attivi nei confronti della pessima attualità che ci assedia. E ci si rende conto che depurata dai condizionamenti manipolatori l’essenza dell’essere umano rimane potenzialmente buona, tollerante, comprensiva.
Sono consapevole che la libertà di stampa italiana è agli ultimi posti delle graduatorie dei paesi occidentali, e la cosa è deprimente, ma forse non tutti sanno che lo è non solo per via delle collusioni dei gruppi editoriali, ma anche perché c’è nell’aria tanta intimidazione, e questo è un risvolto recente del dominio della far right nostrana (dovrebbe ad esempio apparire vergognoso a moltissimi l’ostracismo perpetrato ai danni del referendum dell’8 e 9 giugno, giacché pare che nessun telegiornale ne parli). Al netto di ciò, che non è poco, resta il fatto che prendersi il tempo per leggere con calma un articolo intero farebbe semplicemente bene: certi editoriali dei giornali cosiddetti mainstream, per dire, sono scritti con tale densità concettuale, se confrontata agli standard della rete in genere, che aiuterebbero a tenersi lontani dall’analfabetismo funzionale. Prendere un giornale di carta in mano, privo com’è degli ipertesti che ci impediscono una normale concentrazione adeguata, e dedicargli mezz’oretta quotidiana delle proprie attenzioni distogliendole dal tramestio dei post affastellati e frastornanti a cui comunque le stiamo affidando, trasformandole in disattenzioni, credo che farebbe bene a sé stessi e alla socialità. È un’opinione che apparirà a molti retrograda e nostalgica: retrograda chissà, nostalgica no di certo. E questi sono i miei due cents.
Faccio ora due o tre esempi che mi vengono in mente e mi porto verso la chiusura di questo articolo.
1) Ieri (oggi è il 14/5, due gg dopo l’inizio dell’articolo), Robert De Niro, enorme, ha ricevuto il premio alla carriera a Cannes facendo un discorso necessario, importante, di peso, cazzuto come lui è evidentemente al di là dei personaggi interpretati nei suoi film. I suoi strali erano contro Trump e i fascismi e ammonivano sulla tenuta della democrazia, per farla breve. Guardava negli occhi tutti i presenti, silenziosi e consapevoli dell’importanza del momento vissuto, e alla fine del discorso accendeva la loro commozione facendola prorompere in un applauso fragoroso.
Prima della Grande Decisione mi sarei ottusamente tuffato nella sezione commenti sperando di imbattermi in una ricezione plebiscitaria dei suoi argomenti, cercando di intravedere ottimistici segnali di ravvedimento universale per fare un bel respiro di sollievo, e come sempre ne sarei uscito imbufalito al vedere quanta gente gli avrebbe dato contro con sordo cinismo, corroborando quella che nella loro visione manipolata è la percezione paranoica del presunto radicalchicchismo dell’establishment. E io chiedo: Trump il multimiliardario, che sta mediamente agendo per suo tornaconto personale come un affarista qualsiasi (ultimo “acquisto” un bel 747 dal Qatar, in realtà un dono da mezzo miliardo di dollari. Ma la legge americana, detto di passaggio, vieta/vieterebbe al Presidente di ricevere qualsiasi regalo senza il consenso del congresso) cazzo sarebbe se non il mainstream del mainstream al cubo in un ragionamento basico del genere? Il mainstream, già… A seguito di un mio precedente articolo, quello in cui peroravo la causa dell’Europa sperando in un affratellamento delle genti del continente per far fronte comune alle complessità, qualcuno è venuto ad attaccarmi nei miei social. Uno di loro mi ha urlato contro introducendosi così: «Voi musicisti mainstream…». Apperò, io mainstream?! Ma davvero?! Giuro, non lo sapevo. Il mio portamonete finora ignaro ringrazia. Quanta confusione, quanta manipolazione, quante stupidaggini.
2) Oggi (nel frattempo siamo al 16/5) noto le parole che Bruce Springsteen ha utilizzato di fronte alla sua platea a un suo concerto recente: «La maggioranza dei rappresentanti eletti ha fallito nel proteggere il popolo americano dagli abusi di un presidente incapace e di un governo canaglia…», così le prime. Il suo discorso fra un pezzo e l’altro («Pensa a suonareeee!»: chissà in quanti avranno immaginato dentro di sé lo slogan antico del loro presidente incapace) ha definito con precisione l’abisso al cui orlo quel continente si trova sospeso, e potendosi permettere di non temere le intimidazioni e il boicottaggio fascista e i licenziamenti proditori operati ai danni di tanti lavoratori e figure professionali da quella amministrazione, complice la sua posizione di cantautore ricchissimo, mi dà la sensazione che i musicisti possano tornare a fare una cosa che hanno sempre fatto, senza timori: sarebbe un bel segnale. E garantisco: queste cose dette da me hanno il loro carattere di straordinarietà, perché non ho mai amato i musicisti cosiddetti impegnati e non ho mai amato il Boss. Ma i tempi sono pessimi, e si può sempre cambiare idea. Va da sé che immagino il can can nei commenti… Non ricordo il sito da cui ho tratto l’informazione, ma erano almeno un migliaio. Pensate potessero essere i commenti di persone tutte entusiaste? La risposta purtroppo è no, e lo dico senza averli letti, in conformità con la Grande Decisione.
3) Qualche settimana fa mi sono imbattuto in queste parole: «Nessuno dice più niente. C’è un vuoto culturale enorme. Basta dire una cosa intelligente e ti rispondono che sei comunista». Parole di Marracash, epigrammaticamente perfette. In quello che viene chiamato «vuoto culturale enorme», dove solo un manipolo di miei colleghi dice le cose come stanno, preferendo, i restanti, un silenzio spiacevole, questa frase mi è risultata emozionante e potente, liberatoria, oltre che, come ho scritto, epigrammaticamente perfetta. (Questo odio tout court per i comunisti è davvero uno spasso. Io stesso ho in parte subito nel corso del tempo alcuni aspetti salienti e deformi della narrazione antagonista e capitalista, ma il comunismo professato da Marx non è la penosa messa in pratica avvenuta in Russia, e l’idea alla base sarebbe in realtà molto, ma molto più favorevole a un buon 70% di accaniti oppositori che ogni tre per due lo invocano come arma offensiva contro chiunque dica… una cosa intelligente. Perfetti esemplari adatti allo sfruttamento capitalista, altrimenti detti utili idioti. Potere delle propagande, di cui siamo tutti o quasi vittime, ciascuno la sua a seconda della sua geolocalizzazione sul variegato pianeta terra. E mi sa che nella vita sono stato da qualche parte un utile idiota anch’io, e forse lo sono tuttora, visto che uso smartphone e social laddove i capitalisti ultra ricchi lo impediscono ai loro figli).
4) Oggi è martedì 20/5: come al solito i miei articoli vengono da me sdoganati definitivamente dopo giorni e giorni di pensamenti, cancellazioni, riletture (ogni mio articolo lo rileggo almeno una quindicina di volte), altre cancellazioni. Oggi, martedì, decido che quello che ho scritto è concluso: appongo il suggello al tutto e immagino che voi mi leggerete mercoledì 21 o giovedì 22 o venerdì 23. E quindi nulla: grazie per essere arrivati fin qua.