Perché è importante leggere le memorie di Virginia Giuffre, tra le vittime più note di Jeffrey Epstein | Rolling Stone Italia
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Perché è importante leggere le memorie di Virginia Giuffre, tra le vittime più note di Jeffrey Epstein

'Nobody's Girl' è uscito in lingua inglese il mese scorso, e ha già provocato un terremoto mediatico (e non solo) attorno a Donald Trump e alle sue presunte relazioni con il finanziere. Ecco che cosa racconta

(da USA) Virginia Giuffre

Virginia Giuffre

Foto: Cassie Basford

Quando Virginia Giuffre denunciò pubblicamente il milionario Jeffrey Epstein, accusandolo di averla aggredita sessualmente e di averla costretta a vivere una relazione di sfruttamento quando era ancora adolescente, si ritrovò improvvisamente catapultata in un mondo di cause legali, deposizioni e attenzione mediatica.

La sua prima causa, presentata nel maggio del 2009 sotto lo pseudonimo Jane Doe 102, accusava Epstein e la sua storica collaboratrice Ghislaine Maxwell di averla manipolata e sfruttata a partire dai 16 anni — «approfittandosi di lei e compromettendo profondamente la sua vita» per diversi anni. Da quando l’immagine pubblica di Epstein è crollata, trasformandosi da ricco uomo di società a figura al centro di gravi accuse, i ricordi dolorosi di Giuffre sono diventati un caso internazionale. Come accade a molte vittime di situazioni simili, Giuffre ha combattuto a lungo con fragilità e problemi di salute mentale — aggravati dall’enorme esposizione mediatica.

Il 25 aprile 2025, la famiglia di Giuffre ha annunciato che la 41enne era morta nella sua casa in Australia, suicidandosi. Negli anni precedenti, Virginia aveva lavorato a un memoir che raccontava tutta la sua vita — non soltanto il periodo oscuro legato a Epstein e Maxwell. Ora pubblicato postumo, Nobody’s Girl ripercorre il cammino di Giuffre: dall’infanzia in Florida fino all’impegno come attivista internazionale a sostegno delle vittime. E, per la prima volta, la sua storia viene raccontata interamente con la sua voce.

Dopo anni di indagini federali, cause civili e interviste pubbliche, Giuffre è diventata uno delle sopravvissute a Epstein più attive, fornendo anche a pubblici ministeri e inquirenti testimonianze e prove chiave per arrestare Epstein e Maxwell. Nel 2019, Epstein è stato accusato di associazione a delinquere e traffico sessuale, ma è stato trovato morto nella sua cella, apparentemente suicida, mentre era detenuto in una prigione di Manhattan. Nel 2021, Maxwell è stata condannata per traffico sessuale, associazione a delinquere e trasporto di minore con l’intento di praticare attività sessuale illegale e sta scontando una pena detentiva di 20 anni.

nobody's girl virginia giuffre

Foto: press

Il libro, Nobody’s Girl, è stato completato solo pochi mesi prima della morte di Giuffre. Nella prefazione, la sua collaboratrice Amy Wallace ha rivelato che, prima di morire, Giuffre aveva inviato a lei e alla sua addetta stampa, Dini Von Muffling, un’e-mail in cui chiedeva che il libro fosse pubblicato anche nel caso le fosse successo qualcosa. «Il contenuto di questo libro è cruciale, perché mira a far luce sulle falle sistemiche che permettono il traffico di persone vulnerabili attraverso i confini», si legge nel messaggio di Giuffre. «È fondamentale che la verità venga compresa e che le questioni legate a questo tema vengano affrontate, sia per un senso di giustizia che di consapevolezza. Nel caso della mia scomparsa, desidero assicurarmi che Nobody’s Girl venga comunque pubblicato».

Pubblicato il 21 ottobre negli Stati Uniti, Nobody’s Girl affronta in modo scomodo e diretto le circostanze e la disperazione che possono rendere le vittime di abusi sessuali dei bersagli — e il coraggio che ha permesso a Giuffre e ad altre vittime di Epstein di parlare, finalmente. Dall’infanzia segnata dagli abusi a un lavoro a Mar-a-Lago, fino alla paura di ritorsioni, ecco cosa emerge dal memoir.

Giuffre afferma di aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza come vittima di abusi sessuali
Pur raccontando il periodo con Epstein e Maxwell, Nobody’s Girl ripercorre anche le esperienze che, secondo Giuffre, l’avrebbero resa particolarmente vulnerabile allo sfruttamento. Stando al suo racconto, avrebbe trascorso gran parte della sua infanzia subendo abusi sessuali da parte del padre, Sky Roberts, e di un caro amico di famiglia (Roberts ha negato pubblicamente le accuse più volte. In una dichiarazione inclusa nel libro, ha scritto di non aver «mai» abusato di Giuffre, di non averla «mai toccata sessualmente» e di non aver «mai nemmeno saputo cosa stesse succedendo con Epstein» fino all’uscita delle prime notizie online).

Secondo Giuffre, però, quei primi traumi la portarono a ribellarsi a scuola, iniziando con l’assenteismo e finendo con l’abuso di droghe e alcol. Quando aveva 15 anni, i genitori la mandarono a Palm Beach in un programma per adolescenti problematici chiamato Growing Together (la struttura è stata chiusa nel 2006). Giuffre descrive quell’ambiente come duro, crudele e opprimente, un luogo segnato dalla disciplina corporale che la spinse a scappare diverse volte.

Il primo lavoro di Giuffre al Mar-a-Lago di Donald Trump fu come addetta agli spogliatoi
Dopo essere fuggita più volte da Growing Together, il padre finì per ritirarla dalla scuola alternativa e le permise di tornare a casa. Nel 2000, scrive, iniziò a lavorare come addetta agli spogliatoi al resort Mar-a-Lago — di proprietà dell’allora futuro Presidente Donald Trump — dove guadagnava 9 dollari all’ora.

Fu in quel periodo che Giuffre racconta di aver incontrato per la prima volta Maxwell. Nel suo memoir, Giuffre scrive che mentre lavorava nel resort iniziò a interessarsi a un futuro come massaggiatrice. Un giorno, mentre era alla reception della spa, dice di essere stata avvicinata da Maxwell, che aveva notato il libro di anatomia preso in biblioteca e pieno di appunti. Dopo qualche minuto di conversazione, Giuffre racconta che Maxwell le disse che un uomo facoltoso della zona stava cercando una massaggiatrice che potesse viaggiare con lui. Aggiunge che Maxwell la invitò a casa di Epstein per un colloquio. Lì, scrive Giuffre, sarebbe stata vittima delle loro prime violenze.

«È così che ha inizio il periodo della mia vita che è stato analizzato e vivisezionato più di qualunque altro», scrive Giuffre in Nobody’s Girl. «Sì, ho subìto degli abusi. Il mio corpo è stato usato in modi che mi hanno provocato danni profondi. Ma le ferite peggiori che Epstein e Maxwell mi hanno lasciato non furono fisiche, bensì psicologiche».

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Un’immagine tratta da ‘Nobody’s Girl’, dove Giuffre è ritratta adolescente, all’incirca poco prima di conoscere Maxwell ed Epstein. Foto cortesia di Penguin Random House

Epstein e Maxwell portarono Giuffre in numerosi viaggi internazionali per “accontentare” uomini famosi
Gran parte della testimonianza di Giuffre — ampiamente ripresa dai media — ruota attorno ai mesi trascorsi in viaggio all’estero con Epstein e Maxwell. Giuffre racconta di aver ottenuto il suo primo passaporto nel 2001, su indicazione di Maxwell, che la aiutò a scattare le foto e a compilare i documenti della richiesta. Il primo viaggio risale all’autunno del 2001 e prevedeva tappe nella casa di Epstein a New York e poi sulla sua isola privata, soprannominata “Little Saint Jeff’s”.

Giuffre afferma che Maxwell ed Epstein presentassero quei viaggi come vacanze organizzate per lei, ma in realtà veniva “prestata” a uomini famosi vicini a Epstein. Durante gli spostamenti, Maxwell tratteneva il suo passaporto, impedendole di allontanarsi dal gruppo. In occasione di un viaggio a Londra nel 2001, Giuffre sostiene di essere stata presentata al principe Andrea, al quale sarebbe stato detto che lei aveva 17 anni (Andrea ha sempre negato le accuse e nel 2022 ha raggiunto un accordo extragiudiziale con Giuffre. Nell’ottobre 2025 ha rinunciato ai titoli reali e si è ritirato dalla vita pubblica).

La celebre fotografia che ritrae il Duca di York insieme a Giuffre rischiò di non essere mai scattata. Giuffre portava con sé una fotocamera usa e getta Kodak FunSaver e, dopo l’incontro con il Principe, avrebbe chiesto a Epstein di fare uno scatto dei due, così da poterlo inviare a sua madre. L’immagine è tuttora considerata una delle prove più significative del caso Epstein. Giuffre afferma di non aver mai riavuto l’originale dall’FBI.

«Dopo il nostro rientro in Florida, portai le macchine fotografiche usa e getta a uno sviluppo in un’ora vicino a casa mia, a West Palm Beach. Grazie al sistema del negozio, che segnava la data sul retro di ogni stampa, posso dirti con esattezza il giorno in cui ho tenuto per la prima volta tra le mani la foto con me, il principe Andrea e Maxwell: 13 marzo 2001», scrive Giuffre. «Mostrai la foto, formato 10×15, al mio ragazzo. All’epoca eravamo semplicemente sollevati che fossi tornata a casa sana e salva; non avevamo idea del clamore che quello scatto avrebbe scatenato anni dopo».

Nel libro, Giuffre afferma di essere stata violentata in tre occasioni dal principe Andrea. In un altro episodio, racconta di essere stata brutalmente aggredita da un Primo Ministro molto noto, rimasto senza nome nel racconto, e di essere stata lasciata piena di lividi e ferite. L’esperienza fu così scioccante che Giuffre divenne convinta di non poter mai sfuggire a Epstein: pensava che uno dei suoi conoscenti l’avrebbe uccisa, oppure che si sarebbe tolta la vita.

Giuffre sostiene che le fu chiesto di avere un figlio per Epstein e Maxwell
In quello che definisce uno degli ultimi momenti prima del crollo definitivo, Giuffre scrive di essere stata con Epstein e Maxwell, nel 2002, sulla loro isola, quando venne messa alle strette. Epstein le chiese di avere un figlio per lui e Maxwell. Non aveva capito se l’intenzione fosse usare gli ovuli di Maxwell o se il bambino sarebbe stato biologicamente suo, ma la proposta era chiara: un accordo che Giuffre definisce nel libro una sorta di ancella moderna, con una casa, tate a disposizione 24 ore su 24, ma con l’obbligo di viaggiare su richiesta di Epstein e la rinuncia completa a ogni diritto genitoriale.

Giuffre racconta di aver già avuto complicazioni mediche dovute agli abusi subiti, tra cui una gravidanza extrauterina che — le dissero i medici — avrebbe reso difficile avere figli in futuro. Ma più della sua salute, a preoccuparla era il destino di un’eventuale prole: «Epstein e Maxwell mi avevano imposto così tante richieste alle quali avevo acconsentito, annullando me stessa pur di compiacerli. Ma questa proposta avrebbe messo in pericolo un’altra vita: un bambino indifeso», scrive Giuffre. «Era troppo. Oggi mi rattrista rendermi conto di quanto mi sia stato più facile trovare la forza per difendere un bambino non ancora concepito, piuttosto che me stessa».

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La famosa foto del Principe Andrea con Virginia Giuffre e Ghislaine Maxwell, scattata del 2001. Foto cortesia di Penguin Random House

Le accusatrici di Epstein hanno temuto per la propria vita per anni dopo aver parlato pubblicamente
Quando il caso Epstein arrivò al centro dell’attenzione mondiale, con il suo terzo arresto nel 2018, erano ormai passati quasi dieci anni dalle prime denunce di Giuffre e delle altre donne — denunce che per molto tempo non vennero prese sul serio. Nel 2008, Epstein si dichiarò colpevole davanti alla giustizia statale per accuse che includevano il reclutamento di minori a scopo di prostituzione. Tuttavia, gli fu concesso di lasciare il carcere durante il giorno per lavorare e, dopo appena 18 mesi, fu rilasciato. Inoltre, un accordo federale di non-prosecution negoziato dai suoi avvocati impedì per anni alle altre vittime di farsi avanti — una protezione legale che venne annullata solo molto tempo dopo.

Non fu che dopo l’uscita, nel 2018, di una serie di interviste raccolte dal Miami Herald che l’opinione pubblica iniziò a rendersi conto che la scarcerazione di Epstein avrebbe potuto rappresentare un potenziale errore giudiziario. Ma prima di allora, le vittime di Epstein — compresa Giuffre — raccontarono di aver temuto per la propria incolumità.

Nel 2015, Giuffre scrive di aver visto un’auto sconosciuta arrivare davanti alla sua casa in Colorado e puntare i fari verso l’abitazione per diversi minuti. In Nobody’s Girl, Giuffre racconta di aver affrontato la situazione armata, puntando un fucile contro il veicolo per quasi cinque minuti, finché l’auto non se ne andò. L’episodio la spinse a trasferire la famiglia di nuovo in Australia, ma intimidazioni e assedio mediatico continuarono anche lì.

Anche dopo aver lasciato Epstein, Giuffre dice di aver subito altre forme di abuso
Come memoir, Nobody’s Girl evidenzia il netto contrasto tra gli anni dell’orrore vissuti con Epstein e Maxwell e l’amore che Giuffre riuscì a costruire in casa propria per i suoi tre figli. Giuffre attribuisce in parte la forza di lasciare Epstein alla relazione con il suo ormai ex marito, Robert Giuffre, conosciuto durante un viaggio in Thailandia. Nel libro, Giuffre descrive Robert come un compagno segnato dal peso della sua storia, ma determinato — almeno all’inizio — a far funzionare il rapporto.

Tuttavia, nella prefazione, Wallace — coautrice del libro — rivela che Giuffre sarebbe stata vittima di violenza domestica durante il matrimonio. Accuse che richiamano quanto Giuffre aveva dichiarato nell’aprile 2025 a People. «Sono riuscita a lottare contro Ghislaine Maxwell e Jeffrey Epstein, che mi hanno abusata e sfruttata», dichiarava allora. «Ma non sono riuscita a sfuggire alla violenza domestica nel mio matrimonio fino a poco tempo fa. Dopo l’ennesima aggressione fisica di mio marito, non posso più restare in silenzio».

Il team legale di Robert ha rifiutato di commentare sia al Times (UK) che a People, citando le leggi australiane che limitano dichiarazioni durante procedimenti in corso. Contattati da Rolling Stone US, i legali di Robert hanno definito le accuse «non comprovate», aggiungendo: «Poiché la vicenda è in mano alla magistratura australiana, Robert e i figli hanno un margine molto ristretto per rispondere alle tante affermazioni infondate. Tutto ciò che desiderano è ricordare Virginia come una moglie e una madre amorevole».

Uno degli ultimi desideri di Giuffre era una maggiore tutela legale per le vittime di abusi
Nel corso della sua vita adulta — segnata da numerose cause legali contro Epstein e i suoi collaboratori — Giuffre si è dedicata anche all’attivismo in difesa di altre vittime di abusi e sfruttamento. Nel 2015 fondò un’associazione no-profit per sopravvissuti, inizialmente chiamata Victims Refuse Silence, poi ribattezzata Speak Out, Act, Reclaim o SOAR.

«Desidero anche un mondo in cui i colpevoli provino più vergogna delle loro vittime, e in cui chiunque sia stato sfruttato possa affrontare i propri abusatori quando si sente pronto, indipendentemente da quanto tempo sia passato», scrive nel capitolo conclusivo di Nobody’s Girl. «Se questo libro ci avvicinerà anche solo di un centimetro a una realtà del genere — se riuscirà ad aiutare anche una sola persona — allora avrò raggiunto il mio obiettivo».

Da Rolling Stone US