Per favore, niente canzoni su Osimhen | Rolling Stone Italia
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Per favore, niente canzoni su Osimhen

Chiacchiere fuor di retorica nei giorni in cui non possiamo non dirci napoletani, come il Berlusca: bello lo scudetto instagrammabile di Napul3, ma la città rivoluzionaria di Maradona e Careca era un’altra cosa

Per favore, niente canzoni su Osimhen

Victor Osimhen festeggia lo scudetto nello stadio di Udine

Foto: Andrea Staccioli/Insidefoto/LightRocket via Getty Images

Giovanni Robertini: Come te lo sei vissuto questo scudetto del Napul3? Io sono rimasto ore a guardare in loop il video del vascello pieno di tifosi che attraversa le strade di Mugnano, ho tolto l’audio originale – muzak e petardi – e ho messo il nuovo disco di Brian Eno e Fred again.., Secret Life, un po’ ‘na palla a dire il vero, sembra una ninna nanna di James Blake, leggo ora che lo stronca pure il Guardian. Meglio l’Eno originale o il Fred again.. che fa zompare tutto il Coachella coi bassi della dubstep insieme a Skrillex e Four Tet, un terzetto di nerd che sono stati ore ciondolando con la birretta in mano davanti a migliaia di persone chiacchierando tra di loro sul prossimo disco da mettere. Ed è così che mi sento pure io davanti ai festeggiamenti di piazza con le bandiere, i caroselli e le maglie di Maradona: ai party è sempre meglio essere i dj.

Alberto Piccinini: Hai ragionissima. Difatti mi sono giocato il briciolo di azzurro che ho nel cuor per via di un’antica residenza in città e ho fatto il dj anch’io: ho messo su l’album di Geolier da capo a fondo mentre da Rete 4 gridavano con la bava alla bocca contro il reddito di cittadinanza (come se i soldi li pigliassero dalle tasche loro). Due orologi d’oro/Diego Armando Maradona, lo stesso grumo narrativo di denari, famiglia, galera, pistole, turbocapitalismo cialtrone che è oggi Napoli – il nostro Compton, il nostro Bronx, ma che dico sono il Bronx e Compton che hanno imparato tutto da Napoli – però impacchettata e rivenduta ai ragazzini di buona famiglia e a quelli di famiglia meno buona, ai turisti Airbnb e alle pizzerie che si sono mangiate il centro storico un tempo più pericoloso del pianeta. Certo, si gentrifica ogni cosa. Per questo mi sono piaciuti tantissimo i festeggiamenti a Rozzano mandati in diretta Instagram da Paky (mi pare di averteli girati). Mi ricordavano quelli degli immigrati marocchini agli ultimi mondiali, la Napoli che abbiamo tutti nel cuore, la casa dove nessuno è straniero, l’altro mondo sempre possibile.

GR: Non voglio dire che non sono contento per questo scudetto meritatissimo, ci mancherebbe. Però trovo insopportabile la retorica che lo accompagna. All’inizio c’ero cascato – Mare Fuori, Geolier, il revival degli Almamegretta e dei 99 Posse grazie alla serie Netflix dal libro della Ferrante, e Liberato naturalmente – poi leggo il pezzo di Saviano sul Corriere: “vittoria contro i gruppo imprenditoriali del Nord”, “la sensazione di essere sempre ultimi perché nati svantaggiati” e vedo invece Napoli una città come le altre, più instagrammabile forse, ma lontanissima da quella rivoluzionaria di Maradona e Careca. Sbaglio?

AP: Sono abbastanza boomer da ricordarmi lo scudetto trent’anni fa. Un po’ mi manca la dimensione cosmologica di allora. Mi spiego. Nei primi anni ’90 la sfida era il Milan di Berlusconi contro il Napoli di Maradona, cioè due idee di mondo apparentemente opposte. Sappiamo com’è andata. Berlusconi ha vinto. Ma ha dovuto mimetizzarsi da napoletano. Si è appoggiato al vecchio sistema di potere della città, camorra e tutto quanto, e in più s’è giocato tutta la sua reputazione personale tra la “fidanzata” Noemi Letizia e le canzoni di Mariano Apicella. Quando ieri da un letto d’ospedale ha scritto “sono un napoletano nato a Milano” non è stato fantastico? Lui c’era. Di oggi non saprei cos’altro aggiungere. Segnalo la triste intervista di Matteo Renzi a Luciano Spalletti, uscita qualche giorno fa. Non era nemmeno un’intervista, e a un certo punto Spalletti cita Schopenhauer. Poi non dubito che ci siano centinaia di canzoni e intere sinfonie scritte su Osimhen e Kvaratskhelia di cui per fortuna non sapremo mai niente, che è l’unico modo perchè le cose restino vere. “Nun fa sape’ o juoco”, come dicono i dj filosofi di Napoli Segreta.

GR: Per finire, mi ha intristito la notizia della chiusura di Vice, che poi era la versione accelerata, up to date, del gonzo hunterthompsoniano di Rolling Stone frullato con l’estetica lo-fi di Harmony Korine, dal rap, dalle ragazzette American Apparel fotografate dall’ormai innominabile Terry Richardson. Con un forte imprinting di giornalismo all’americana erano riusciti a trovare un modo di raccontare il mondo, la guerra, la società, trovandosi spesso in posizioni scomode, ma dalla parte della ragione. Erano di sinistra, anche se non sarebbe stato cool dirlo. Poi, boh, la borsa, la crisi, la media company, investimenti sbagliati, kaput. Mi piace pensare che abbiamo dilapidato al bar i billions guadagnati, anzi che li abbiamo bruciati in un falò/performance dopo una serata psichedelica, come fecero i KLF quando diedero fuoco a un milione di sterline.

AP: Ti cito Geolier di nuovo “Fatto nu milione / poi l’aggio miso a ggiro / Basta cu ‘sti sordi, so volgari e imbattibili”. Rip Vice. Lunga vita a il manifesto.

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