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Ora o mai più: la scuola è arrivata al punto di non ritorno

Insegnati mal pagati e demotivati, e ora anche il coronavirus. Se continua così la scuola pubblica non servirà più a niente: o un governo ci mette davvero le mani, oppure non possiamo lamentarci dell'analfabetismo funzionale

La categoria degli insegnanti è un argomento strano di cui parlare. Vessata, dimenticata, tollerata come problema cronico, è diventata una di quelle spine nel fianco con cui siamo abituati a convivere, tipo il riscaldamento globale. Ovvero: sai che il pianeta è in pericolo e che ci resta poco tempo per mettere le cose a posto, ma al tempo stesso non te ne curi. Ci penserà qualcun altro, ci sono cose più urgenti a cui dedicarsi, hai un sacco di problemi, ti dai mille giustificazioni. Nel mentre, l’inquinamento peggiora ogni giorno.

Così la scuola è ripartita dopo un’estate difficilissima, dovendosi adeguare a normative e regolamenti nuovi, al distanziamento, a decine di procedure di igienizzazione che bidelli e docenti hanno dovuto imparare, molto in fretta, mentre il mondo dei media li prendeva in giro per i banchi a rotelle.

Nonostante il paradosso di certe misure cautelari e una certa antipatia che la ministra Azzolina riesce ad attirare, le cose non sono andate poi così male. Milioni di ragazzi in classe e solo 1492 contagiati tra studenti e docenti nel mondo scuola. Un numero che il Ministero si è subito affrettato a diramare ma attenzione: questa cifra riguarda solo le prime due settimane di frequenza, dal 14 al 26 settembre, mentre sappiamo che per conoscere gli effetti del contagio e della sua curva, occorre un periodo di paragone più lungo.

Insegnare ai tempi del Covid non è proprio semplice. Si vive con le mascherine in dotazione quando ci sono (che comunque non sono le fighissime FFP2 o FFP3 ma le semplici mascherine chirurgiche a strati che proteggono gli altri in caso noi fossimo positivi, ma poco chi le indossa dal contagio), calcolando le distanze e coi libri sulle gambe, perché a volte non si ha più nemmeno la cattedra.

Il mondo della scuola è un piccolo stato, un settore in cui ogni giorno si muovono milioni di persone, un tassello della vita sociale del Paese che non poteva fermarsi a detta di tutti. Che poi, perchè? La verità è che le famiglie non avrebbero retto il colpo. I figli si fanno, ma educarli è un altro mestiere, anzi è proprio un mestiere e per fortuna noi abbiamo una scuola pubblica decente in grado di prendersi questo onere.

Nonostante tutto, se le cose dovessero andare così, ci si chiede cosa resterà della scuola pubblica. Ad oggi per diventare insegnante delle scuole medie o superiori, basta una laurea e un tot di esami in una serie di discipline stabilite da qualche tecnico. Nozioni, nozioni, nozioni e ancora nozioni, ma niente che riguardi lo studio della psicologia, della didattica, del materiale umano con cui si va a lavorare ogni giorno, ovvero gli studenti. Proprio in queste settimane inizieranno i concorsi che stabilizzeranno migliaia di docenti. Andatevi a vedere come sono strutturati, si tratta di quiz di puro nozionismo. Difatti ad oggi abbiamo insegnanti di Italiano che conoscono i paradossi del passaggio dal latino al volgare o la glottologia, ma che non sanno come comportarsi con un adolescente iperattivo o affetto dalla sindrome di Asperger (e sono tanti).

Così come non abbiamo insegnanti di sostegno. Si parla di 14.000 docenti formati per il sostegno e di 70.000 ragazzi che ne hanno bisogno. Questo significa che 56.000 alunni con bisogni speciali sono attualmente seguiti da docenti che si rimboccano le maniche, ma non sono formati, non hanno studiato l’autismo, le patologie più disparate che ormai vengono segnalate. Vi fa strano,ma è così. Pensate a chi ha un figlio autistico, come si sentirà? Perché poi il tema sono loro: adolescenti, preadolescenti, ragazzi e ragazze a cui un insegnante può cambiare drasticamente il destino. Chi non ricorda almeno un amico “rovinato” da un professore frustrato o un’altro che senza quel brillante insegnante di Filosofia non avrebbe mai preso la sua strada nella vita?

Invece noi cosa facciamo? Carichiamo gli insegnanti di obblighi e di tecnicismi, però poi gli diamo gli stipendi più bassi d’Europa. Il Papa persino si scandalizza e cerca di difendere gli “artigiani delle generazioni future” ma da decenni non viene fatta una vera riforma e nonostante le proposte di innalzamento di stipendio, nessun governo ha mai cacciato un soldo. La verità è che noi investiamo troppo poco nell’istruzione, 66 miliardi in un anno a differenza della Germania che ne sborsa 134, e alla fine l’effetto si sente.

Perché una persona dovrebbe studiare, specializzarsi, spendere decine di migliaia di euro di formazione, per poi andare a guadagnare quanto al call center? Parliamo di meno di 23.000 euro l’anno per i primi quindici anni di insegnamento per un insegnante della primaria che a fine carriera ne guadagnerà 34.000. In Germania si parte da 45.000 euro annui per concludere la carriera sui 64.000. Vi pare poco? Il risultato è che l’insegnamento è per molti un salvagente dalla disoccupazione, un lavoro che si può fare con il gas al minimo, tanto ci penseranno quelli bravi a farsi carico dei problemi.

Anche all’interno del corpo docenti ormai c’è rassegnazione. Nessuno che protesta più, gli scioperi li fanno sempre in meno perché ti vengono trattenuti dallo stipendio e con i registri elettronici, le assemblee, le riunioni con gli psicologi, le famiglie, il preside, le programmazioni settimanali, uno è sempre troppo stanco per mettersi di traverso. Insegnare è un lavoro vocazionale, come fare il medico. Immaginate un chirurgo cardiaco demotivato e mal pagato. Immaginatevelo bene. Gli mettereste volentieri in mano il vostro cuore? Ecco, lo stesso vale per gli insegnanti. Quelli che mettete loro in mano sono i vostri figli e non hanno forse diritto al meglio del meglio?

Ripeto, siamo fortunati a vivere in un Paese che garantisce un’istruzione pubblica di livello, ma se non cambiamo questa situazione vedremo i migliori talenti prendere altre strade, le scuole private scalzare le strutture pubbliche e un mare di futuri analfabeti funzionali che potranno accusare, in parte giustamente, uno Stato cocciuto della loro condizione.

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