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Nulla è più sacro, nemmeno i giochi da tavolo

Lo Sgargabonzi non chiede tanto: ma solo che si rispettino le due regole in croce di 'The Crew: Missione negli Abissi'. Naturalmente, tutto va a farsi benedire. E allora anche lui inizia a giocare sporco
gioco da tavolo

Credits: Ashmolean Museum/Heritage Images via Getty

Possiedo una collezione di più di tremila giochi da tavolo. Non ne gioco mai uno due volte consecutive ma amo alternarli. Eppure, da quasi un anno, gioco quasi esclusivamente a The Crew: Missione negli Abissi, capolavoro di Thomas Sing, quindi penso sia il momento di parlarvene.

 

Inizio dicendo che in The Crew non si gioca uno contro l’altro, ma tutti cooperando per vincere sul gioco. La meccanica su cui si basa è semplicissima ed è quella dei cosiddetti trick-taking, ovvero i giochi di prese come Hearts, ma pure i nostrani Briscola, Beccaccino, Maraffone e via discorrendo.

 

Le carte del mazzo sono divise in quattro semi, ognuno con un set che va da uno a nove. Poi ci sono quattro carte sottomarino numerate da uno a quattro, che sono le briscole.

 

Il giocatore di turno cala una carta, poi in senso orario ognuno risponderà con una propria dello stesso seme. Se non l’avrà potrà calare qualsiasi carta, sottomarino compreso. Chi ha giocato la carta più alta del colore originario, vince la mano. Unica eccezione: se sono stati giocati uno o più sottomarini sarà quello di valore più alto a vincere le mani.

 

Ma appunto, dicevamo, non c’è un vincitore ma si vince o si perde tutti. Il gioco infatti è suddiviso in trentadue missioni di difficoltà crescente. Prima di ognuna si rende palese un determinato numero di carte missione, a seconda del livello raggiunto. Ogni giocatore, vista la propria mano, se ne accollerà una o più. Le missioni sono di diverse tipologie. Fra le più semplici ci sono quelle che ti chiedono di catturare una certa carta o non aprire mai una presa con un determinato. Altre possono chiederti di vincere un esatto numero di prese, una presa di sole carte dispari, collezionare tutte le carte di almeno un colore, vincere più prese del capitano (ovvero quello che possiede il sottomarino da quattro), ottenere tutti i nove, non ottenere nessuna carta da uno, vincere con un cinque una carta da sette, eccetera. Le missioni possibili sono un centinaio e, contando che si intrecceranno tra di loro, le combinazioni possibili sono infinite.

 

L’ambientazione è abbastanza posticcia, ma siamo formalmente in una spedizione sottomarina e quindi si gioca in religioso silenzio. L’unica comunicazione possibile, una volta per round, consiste nel mostrare una carta ai compagni di gioco e indicare con un apposito segnalino se questa è la più alta, la più bassa o l’unica del relativo colore.

 

Quello che rende The Crew così entusiasmante è il fatto che, a fronte di un regolamento semplice e senza sbavature, ne esce un gioco tesissimo e ansiogeno. Quando tocca a te scegliere quale carta giocare, hai davvero l’impressione di dover scegliere quale filo tagliare per disinnescare una bomba. Oltretutto è un gioco che non vinci con un calcolo matematico, ma grazie anche al sesto senso, alla lettura del pensiero degli avversari, decriptando dalle mosse la loro mano. Il metagioco al tavolo è alto e ogni partita tira l’altra. A latere: è un gioco che trovate a quindici euracci schifosi.

 

È richiesta solo una certa disciplina, perché è importante giocarlo correttamente. Può capitare che un giocatore suggerisca più o meno involontariamente le carte da giocare o riveli che carte ha in mano. Al primo errore del genere io tendo a invalidare la partita e ricominciare. Stessa cosa per chi gioca una carta che non può giocare (il gioco ha due regole in croce!) o comunica una carta senza che ricada in una delle tre categorie legali (la più alta, la più bassa o l’unica di un colore, come ho peraltro già scritto).

 

Al mio amico Eddie, disciplinatissimo, gli cade regolarmente una carta di mano e pure lì io invalido come un pazzo, pure se gli altri dicono di non averla vista. C’è gente che a un certo punto si trova in mano una carta in meno rispetto agli altri e subito dà la colpa al mazziere che le avrebbe distribuite male. E invece no, perché quasi sempre si scopre che ha giocato due carte pensando fossero una sola, perché gli si sono appiccicate le bustine causa condensa delle mani tenute a coppa. Poi si gioca in senso orario come ogni gioco al mondo, ma evidentemente c’è gente cresciuta a pane e Uno, e io assisto annichilito mentre calano la carta dopo il giocatore alla loro sinistra. Pure lì invalido come se non ci fosse un domani, per esasperare i giocatori attenti e metterli contro quello distratto, con la speranza che quest’ultimo avverta la pressione, si senta sbagliato proprio come persona, abbandoni con una scusa la partita e se ne vada affanculo a morire nel pack come gli eschimesi.

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