Aveva quindici anni la prima volta che si è messo dietro il banco del Mercato Crespi di viale Monza; tagliava i giornali con cui incartare la frutta e la verdura e preparava i sacchetti a peso delle patate. Era il 1975 e la famiglia di Ciro era emigrata dal Sud in una Milano radicalmente diversa da quella odierna. Restano però gli occhi acquosi di Ciro e le sue mani incallite, testimoni di una rabbia e uno sconcerto a cui è impossibile replicare.
«Il mercato era un luogo completamente diverso decenni fa», mi spiega. «Eravamo dieci, dodici commercianti: il droghiere, la pescheria, il banco dei surgelati, tre salumieri. Poi, con il passare del tempo, c’è chi ha lasciato e chi è morto, svuotando lo spazio, ma il Comune non si è mai curato di noi. Figurati, l’ultimo intervento che ha interessato il pavimento e il controsoffitto risale a quindici anni fa. Nessuno ci ha mai considerato veramente fino ad adesso».
Un “adesso” che arriva quando, dopo la vendita in primavera di quindici mercati (tra cui il Crespi) alla società So.ge.mi, il 15 ottobre quest’ultima ha fatto pervenire agli esercenti ancora presenti una lettera di sfratto entro il 31 dicembre, senza alcun preavviso o dialogo, definendoli occupanti indebiti. «Se vado via di qua perdo tutto quello che ho investito in questi anni. Anche la soluzione di spostarci da qualche altra parte per me è impossibile. Dove vado? Al mercato di Rombon? A Gratosoglio? La mia clientela viene qui da una vita intera; ho visto bambini diventare adulti, mamme diventare nonne. Tre generazioni sono passate davanti al mio banco».
Lo sfratto e il futuro del mercato, però, non toccano solamente chi vende e chi acquista. Nei decenni passati tanto quanto in tempi molto più recenti, il Mercato Crespi si è infatti costituito come spazio ibrido, uno di quelli che secondo il lessico della Geografia moderna chiameremmo “luoghi”, posti cioè unici, non standardizzabili, la cui storia per il quartiere (e non solo) confluisce tanto nella mitologia quanto nella pratica quotidiana.
Il Crespi, oltre a essere un bene storico della città – data la sua nascita nel 1933 –, nel tempo è diventato infatti uno di quei luoghi in cui le relazioni di spontaneità, prossimità e reciprocità affiorano da sé ben oltre l’inquadramento economico, lontane anni luce dal meccanismo sordido del consumo. Di certo agli antipodi dei mercati patinati (che mercati, poi, non sono più) come quello alla Stazione Centrale, ma anche profondamente differente dagli altri mercati comunali della città, il Mercato Crespi è stato da sempre il cuore di quell’arteria multietnica e multicultrale che è viale Monza, che sperde piazzale Loreto in direzione delle montagne. Ben prima che qualcuno inventasse l’etichetta di NoLo, aprendo così la porta agli investimenti per la gentrificazione e all’aumento indecoroso degli affitti, il mercato svolgeva già una funzione sociale chiave in quella zona un po’ di frontiera che, una volta, si chiamava semplicemente Pasteur.
«La prima volta che abbiamo acceso le luci sulla strada di sera già sembrava cambiato tutto» racconta Maurizio de La Cantinetta, il bar del mercato. Nel suo stallo, dal 2012 Maurizio ricorda la periferia della Milano di un tempo, quella vista prima dal banco del mercato rionale all’aperto di via Marco Aurelio, quando ancora vendeva biancheria, e poi dal suo bar. «Altro che NoLo e fighetti, nelle strade qui intorno, accanto alle persone comuni, si aggirava anche molta criminalità e, soprattutto la sera, la zona si trasformava in un posto mal sicuro, ai limiti del pericoloso. Il primo momento indirizzato verso un cambio di passo è stata proprio la battaglia che abbiamo combattuto con il Comune per estendere l’ora di chiusura oltre l’orario di mercato e restare aperti anche alla sera, prima fino alle 23 e poi, come ancora adesso, fino a mezzanotte». È così che gli interessi di Maurizio prima e di altri esercenti, poi, sono collimati con un’estensione della funzione sociale del mercato, che popolato, illuminato e vissuto anche alla sera ha iniziato a trasformare la composizione del quartiere integrando una diversa componente di utenza, anche più giovane della media delle persone che vengono a fare la spesa nell’arco della giornata.
Ed è proprio tra questa componente che in relazione alla notizia di sfratto e al contestuale silenzio iniziale di So.ge.mi sul fatto è nato un Comitato (il cui nome esteso recita per la salvaguardia del valore umano, sociale e poetico del Mercato), il quale, proprio come tutto ciò che accade negli spazi del Crespi, si è formato a partire da un’associazione spontanea di persone, molte delle quali neppure si conoscevano. Tale Comitato si è posto fin da subito come intermediario in questo scacchiere che vede attori e ruoli molto differenti tra loro e come organo di informazione rivolto alla cittadinanza.
A un primo confronto convocato dal Municipio in cui sono state rese note le intenzioni di So.ge.mi, infatti, è seguita un’assemblea pubblica organizzata dal Comitato stesso nella quale, davanti alle istituzioni, hanno potuto prendere parola non solo i cittadini, ma le molte realtà che innervano la vita sociale della zona e del mercato; da altri Comitati, come Abitare in via Padova che con il movimento Chiediamo casa sta portando avanti da anni la lotta contro il caro affitti in vista di una città più vivibile, fino agli esponenti del progetto OFF Campus del Politecnico di Milano che proprio nei locali del Mercato aveva innestato una delle sue sedi.
«La nostra presenza qui, dal 2020, è stata possibile grazie alla volontà di sviluppare l’ibridazione delle funzioni dei mercati coperti grazie a una delibera del comune del 2017 dell’allora Assessora Tajani. Prima del nostro insediamento avevamo già lavorato molto in quartiere con il risultato di produrre scenari e progetti sul futuro del Mercato, che abbiamo nel tempo condiviso con Comune e Sogemi. È stata offerta la nostra disponibilità a lavorare insieme per capire come costruire un mercato che non abbia solo una ristrutturazione datata 2026, ma che possa essere un modello innovativo di esempio per come un progetto possa guidare la coesione sociale. Ci siamo insomma messi a disposizione per condividere le nostre conoscenze, ma siamo stati inascoltati e per questo confidiamo nella possibilità che la voce che si è alzata grazie al comitato possa portare a un confronto più proficuo e situato», dicono Davide Fassi e Irene Bassi.
Il coro degli inascoltati si accresce, e nonostante la sordità di So.ge.mi a qualsiasi tipo di stimolo, l’azione del Comitato è proseguita in queste settimane attirando la stampa locale e nazionale, costituendosi peraltro come uno dei tanti esempi di azione civica per il diritto alla città.
Ciò che si teme, infatti, è la trasformazione del Mercato Crespi in una sorta di centro commerciale o quantomeno della sostituzione di quanto presente ora con grandi brand e franchising, già presenti, per esempio, al mercato di via Rombon, il primo a essere aperto da So.ge.mi dopo la ristrutturazione. E se è vero che la società difende e rivendica il suo operato dal momento che ha restituito alla città un luogo come il mercato Rombon, chiuso da dieci anni, è altrettanto vero che non tutti i mercati sono uguali e non lo sono nemmeno le dinamiche che ne determinano l’esistenza all’interno dei quartieri. Per questo motivo appare sostanzialmente chiaro a tutti (tranne al presidente di So.ge.mi, Cesare Ferrero) che la vicenda del Mercato Crespi debba essere condotta con grande attenzione e ascolto di chi già vive quello spazio.
«A Rombon sono spuntati Mondadori, NaturaSì, ma anche Giannasi, che ricordiamo come un chiosco in corso Lodi, ma che è diventato un marchio di proprietà del gruppo Finiper e sta espandendo i propri punti vendita in tutta la città. C’è Bistrot Pedrol, marchio di proprietà di Tasty Life, gruppo che secondo Il Sole24Ore punta a un fatturato di 12 milioni entro il 2027. Non è questo il modello di mercato di cui abbiamo bisogno, non è questo il mercato che vogliamo» dichiara Paolo, uno dei rappresentanti del Comitato. «Desideriamo un mercato fatto di piccoli imprenditori, di persone che si dedicano con passione al proprio lavoro e a questo luogo, quotidianamente e personalmente, come già avviene».
Per questi motivi, continua Paolo, il Comitato sta portando avanti un’interlocuzione con le forze politiche per riuscire a ottenere un tavolo di coprogettazione di ciò che sarà il Mercato Crespi, partendo dalla discussione dei bandi che definiranno l’assegnazione degli spazi, ai fini valorizzarne la natura di luogo pubblico, per giungere fino alle regole che guideranno il nuovo mercato, oltre, chiaramente, a garanzie per gli attuali esercenti. «Il mercato Crespi in questi anni di abbandono da parte delle istituzioni è stato un laboratorio in cui la tanto sbandierata ibridazione è successa a fatti e non a parole. È successa perché questo luogo è diventato uno spazio di libertà e negli spazi di libertà succedono cose belle e preziose. E questa città ha un bisogno disperato di spazi di libertà», chiosa Paolo.
Nel frattempo, dalla società arriva tramite mail una definitiva proroga degli sfratti fino al 30 aprile; un tempo che può trasformarsi in una risorsa per chi propone un ragionamento e una condivisione di idee per ciò che verrà. Tuttavia i timori e le incredulità restano, come racconta Marco, il proprietario del panificio L’Impasto: «tutta questa vicenda mi lascia con l’amaro in bocca perché mi sembra che chi “comanda” non sa cosa comanda. Veniamo ridotti in un contenitore di cui siamo un contenuto – anche un contenuto attivo e piuttosto di qualità – , ma la sensazione che ho avuto è quella di interfacciarmi con persone non interessate neppure a tale contenuto, ma a una situazione per così dire esterna alla vita del luogo e vicina all’utile. Questa vicenda è piovuta dall’alto su di noi e sul quartiere. Sarebbe stato bello se So.ge.mi fosse venuta a parlare, a vedere, a chiedere chi siamo, cosa facciamo e cosa pensiamo, a voler chiedere anche a noi cosa vorremmo per il mercato di domani, invece che definirci occupanti senza titolo».
Marco racconta poi storie di clienti anziani e soli che al mercato vengono e stanno perché si sentono a casa, hanno un luogo dove stare e delle persone con cui parlare, sottolineando ancora una volta il servizio sociale che offre questo spazio: «In tempi difficili come la pandemia, non dimentichiamoci il ruolo di presidio e sostegno che abbiamo svolto. Io consegnavo anche solo un panino andando fino al sesto piano senza ascensore pur di essere d’aiuto. Noi siamo rimasti aperti in condizioni difficilissime, ma tutto questo sembra non lo ricordi più nessuno. Adesso si parla solo di utili e di proprietà, nel futuro di una Milano che non si capisce cosa sta diventando».
Milano in questi anni ha perso molte occasioni per mostrare un indirizzo che si allontanasse dall’idea della privatizzazione degli spazi e dall’espulsione ed emarginazione progressiva di chi non sta al passo con rapidità e consumi. Sotto la bandiera della norma e della sicurezza si persevera nella disgregazione di luoghi autonomi e di aggregazione, dando l’idea di voler cancellare ogni esperienza che si configuri come laboratorio di diversità, libera e diagonale rispetto a una omologazione delle esperienze, raccolte attorno a una riconfigurazione a senso unico degli spazi e al totem del brand e del consumo che, però, come contraltare producono isolamento e mancanza di cura.
Il discorso del Mercato Crespi è dunque un pezzo del discorso che riguarda gli spazi pubblici e gli spazi autonomi, che riguarda la città e la politica che la amministra, sperando che possa trasformarsi nell’occasione di una nuova rotta per una città che sia accessibile e veramente di tutti.













