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No space for Bezos

Il multimiliardario Bezos e la bride-to-be Lauren Sánchez sono arrivati a Venezia. La Laguna sta riservando loro due tipi di accoglienza, ed entrambi parlano della direzione in cui sta andando la città

Jeff Bezos Venezia

Jeff Bezos e Lauren Sánchez a Venezia prima del loro matrimonio

Foto: Ernesto Ruscio/GC Images via Getty

È ormai chiaro che Venezia non può fare a meno del matrimonio tra Jeff Bezos e Lauren Sánchez, le ragioni sono così tante che si è pure coalizzato un fantomatico comitato del Sì che non si capisce bene se sia a favore del matrimonio o se proponga di sposare tutti insieme Jeff Bezos. A ora sappiamo che il generoso Bezos, padre di ogni spedizioniere, finanzierà anche delle ricerche sulla laguna. Per non parlare delle persone famose che, nonostante tutti ormai lo si sia diventati – basta cucinare qualcosa su Instagram – verrano a Venezia, portando stupore e meraviglia sulle facce degli astanti.

Insomma, tutto bene. E come tende a ricordare Arrigo Cipriani con la saggezza che lo contraddistingue, Venezia resisterà anche a questo. Del resto è la risposta che il buon Cipriani offre a qualunque abile cronista che lo interpelli sui più vari temi, dalla guerra in Medio Oriente, alla moda delle infradito in città, dalla fine delle auto termiche all’elezione del nuovo Papa: Venezia resisterà. E vabbè.

Tuttavia, per chiunque voglia provare a immaginare un uso meno servile della città, che non sia a chiamata del più grande magazziniere del mondo né al servizio di un turismo a basissima resa economica, attorno alla trasformazione di Venezia in un banchetto privato si è coalizzata un’opposizione che sembra contenere al suo interno molti dei movimenti civici e politici presenti in città. Movimenti che da tempo lottano contro un’idea che non solo impoverisce la città economicamente, ma che la deprime culturalmente e sopratutto socialmente, azzerando ogni spazio possibile per chi in città vive e lavora (e spesso lo fa non per il turismo, ma nonostante il turismo).

Alice Bazzoli, attivista del collettivo No Space for Bezos, ricorda non solo le contraddizioni che porta con sé Jeff, imprenditore di successo a tratti geniale, ma anche rappresentante di un’oligarchia statunitense che oggi abbraccia senza scrupolo alcuno le politiche reazionarie (per usare un eufemismo) di Donald Trump. Politiche che negano il cambiamento climatico, negano diritti civili e sociali e favoriscono gruppi di potere che di certo non sono a favore di un aumento delle condizioni democratiche negli Stati Uniti come nel resto del mondo. Bezos è anche questo, non solo la planetaria o il lenzuolo che in un giorno arrivano alla porta di casa (e oltretutto a un prezzo scontato). Va’ che roba.

Bazzoli, ventidue anni, fa parte di una generazione che mai come prima ha visto così tanti vecchi (e così tanto vecchi) al potere. Una resistenza a ogni forma di cambiamento e partecipazione al contemporaneo il cui spettacolo non è solo spaventoso, ma anche orribile nella sua conformazione fatta di vecchi bianchi spesso tinti e rifatti. Quando si parla di crisi dell’Occidente bisognerebbe guardare direttamente in faccia chi oggi rappresenta il mondo con cinquanta anni di ritardo e come se fossimo ancora negli anni Sessanta, polo a righe compresa. Roba che Richard Nixon lo rimpiangiamo tutti. Tutti tranne Alice Bazzoli ovviamente, anche perché il suo è un entusiasmo della ragione che non è frutto di un idealismo astratto, ma di una lotta quotidiana che a Venezia (come anche in altre città) parte dal diritto alla casa in laguna negato sempre più da una speculazione che prepara più case per chi vuole farci una vacanza che per chi la vuole abitare.

No Space for Bezos sta così dando forma a una prima vera opposizione cittadina da molti anni a questa parte. Una costellazione di molteplici gruppi che per una volta riescono a muoversi insieme dando corpo a una voce chiara e ben udibile. Qui non si tratta di essere a favore di un matrimonio o meno, ma di chiarire quale idea e quale tipo di città si vuole. Anche perché la frase «Venezia è la città dell’amore», offerta dal duo Zaia & Brugnaro, sembra, più che una visione di due amministratori pubblici, una battuta dei Fratelli De Rege.

Il 28 giugno No Space for Bezos promette un blocco nei canali e nelle principali fondamenta dove sarà previsto il passaggio dei promessi sposi. L’obiettivo è chiaramente dimostrativo, ricorda Alice Bazzoli: «Ma non credo che tutto si spegnerà dopo il 28, anzi l’idea è di continuare a vederci, discutere insieme e approfondire un dialogo non solo con realtà strutturate, ma con tutte le persone che oggi vivono a Venezia».

La visione è totalmente contrapposta a quella offerta dall’amministrazione cittadina negli ultimi due mandati, ma pure diversa, allo stesso tempo, da quella di una sinistra istituzionale, oggi ridotta a una depressa e stanca forza politica capace di esprimere un unico sentimento: la rassegnazione. No Space for Bezos offre un’opposizione radicale: opposizione a «una turistificazione massiva e alla sua monocoltura e a un’idea di città che possa essere svenduta di volta in volta al miglior offerente, calpestando i diritti di chi ci vive e di chi si trova con sempre meno servizi fondamentali».

Certo, a tutto questo si può opporre la trita domanda, E allora che si fa? Oppure la sempre in voga E allora il PD? Stabilito che il PD non fa nulla e a malapena sopravvive, intanto appare importante e non da poco costruire una base che produca una coscienza critica in una città che chiaramente non solo non merita di ridursi a parco giochi, ma che non ha la forma e la storia di un parco giochi. Venezia è un organismo complesso, una struttura storica e artistica la cui tutela passa prima di tutto da una consapevolezza che ha nella cittadinanza e nella sua capacità di viverne le calli (e i campi) un presidio irrinunciabile.

Nel momento in cui il mondo sembra preferire l’uso della forza a quello di ogni ragione, e la violenza pare l’unico elemento risolutore di qualunque conflitto, provare a ricostruire le ragioni di una convivenza che sia inclusiva, accogliente e democratica porta con sé una necessità e un’urgenza evidenti. Criticare e opporsi è il modo migliore per dare corpo a un fare che sia in forte e stretta relazione con il proprio sé e con il senso di un vivere che non sia solo il vacuo inseguimento di un’ambizione narcisistica.

Quello che No Space for Bezos sta mettendo in campo, seppur con tutte le contraddizioni che questi movimenti portano in corpo, è aprire la città a un confronto e grazie a Venezia trasformarlo in un dibattito globale che sta rimbalzando sui giornali di mezzo mondo. La posta in gioco non è certo la ridicola esibizione mondana e volgarotta di un uomo ricco di denari, anche di idee certo, ma evidentemente dotato di poca, pochissima fantasia, ma restituire una voce pubblica a chi ha smesso di credere a una possibilità diversa di vivere e di stare nel mondo.

Con i venti di guerra sempre più vicini, scomposti e confusi, è quanto mai necessario rinsaldare un rapporto sociale di convivenza e di conoscenza reciproca. Qui non è messo in discussione o impedito il matrimonio tra Renzo e Lucia, ma la ghirba di ognuno di noi e ogni occasione di discussione è da cogliere subito al volo. Brugnaro dice di vergognarsi di questo movimento, ognuno del resto ha la sensibilità che ha e la dialettica che può. Se Brugnaro prova questo sentimento per No Space for Bezos è perché non ne capisce le ragioni e il senso, facendo evidentemente parte di chi scambia l’attuale movimento del mondo con il lasciare andare alla deriva ogni cosa, tanto tutto va sempre bene. Non è così, le cose stanno andando male e in alcuni casi anche malissimo.

Intanto il brusio nelle calli veneziane è sempre più evidente e tutto quello che oggi è minoranza può diventare un giorno anche maggioranza, ma sopratutto può essere il motivo di una discussione possibile aprendo un’alternativa dove prima c’era solo una triste rassegnazione. Tra l’ascoltare supini ore di delirio di Donald e il discutere con Alice, mi sembra chiaro che la seconda opzione non sia solo più gradevole, ma anche più fruttuosa. Dare spazio e respiro alle seconde e minoritarie opzioni è oggi fondamentale, perché come scriveva Italo Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». E sempre viva gli sposi!

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