‘Mentre Los Angeles brucia’ di Fabri Fibra è il Blob dei nostri incubi | Rolling Stone Italia
Boomer Gang

‘Mentre Los Angeles brucia’ è il Blob dei nostri incubi

Nel nuovo dialogo tra boomer anche Donald Trap (non è un refuso), la baby gang che va a rubare da Baby Gang, Bello Figo e Hachiko, la cantante (o forse la IA) di cui non sappiamo niente, ma che sa tutto di noi

‘Mentre Los Angeles brucia’ è il Blob dei nostri incubi

Fabri Fibra

Foto: Foto: Francis Delacroix per Rolling Stone Italia. Outfit: Bomber Richmond, T-Shirt Dickies

Alberto Piccinini: Ripensandoci, forse non avrei fatto il tema della maturità sul rispetto – troppo cheap, al limite mi sarei preso la poesia di Pasolini. Ma nel caso avrei ricordato certi modi dire del vecchio hip hop: respect bro, «massimo rispetto» quando si salutavano gli amici come b-boy di Brooklyn, cappellino in testa, «belli massicci» faceva eco qualcuno. Se vuoi misurare il tempo che è passato fai conto che all’epoca bastava mostrare i muscoli, gli anelli, il catenone, insomma fare brutto per fare teatro. Chiaro che adesso tutto questo non basta più. Come la Glock e l’Opinel dei nostri amici trapper, che sparano e pungono per davvero. Come le Lambo e gli scooteroni pronti alla fuga e mica sempre ti va bene. «Il maranza» scrive l’antropologa Francesca Buscaglia nel notevole Etnografie trap «cioè il bullo di periferia è il prodotto di un mondo in cui la legge del più forte ha vinto e si è imposta come modello a tutti i livelli e a tutte le classi sociali, dalla finanza globale alle panchine dei quartieri».

Ecco che l’espressione «bullo del Medio Oriente» («bully of the Middle East») in bocca al maranza Donald Trump nel discorso dopo l’attacco all’Iran fa quasi sorridere. Ora impareremo il nome dei missili Tomahawk e soprattutto dei Mop – Massive Ordnance Penetrator, tipo band electro-doom, quelli che piombano 90 metri sottoterra – come abbiamo imparato il nome degli Scud e dei Patriot a suo tempo. “Questa è per tutti i subumani, su le mani subumani” cantava dieci anni fa Canesecco, un trapper minore romano. “Da quest’anno sai / che puoi chiamarmi Donald Trap”. Donald Trap. Che je voi di’? Era già tutto scritto. E trappato.

Giovanni Robertini: E anche il «Che vuoi fare? Rubare in casa del ladro?» detto da Baby Gang a un’altra baby gang che si era intrufolata in casa sua – ripreso e rimbalzato su ogni social – può entrare di diritto nella geopolitica featuring Caracciolo, lo spiegone di guerra per eccellenza. Tutto è metafora (di bully of the Middle East e maranza Trump, come dici tu), quando qui fuori ci stanno i missili. Per questa ragione il nuovo disco di Fabri Fibra, Mentre Los Angeles brucia (qui la nostra cover story), mi è sembrato meglio del previsto: i suoi sono telegiornali in rima, Blob dei nostri incubi, prima televisivi e ora social, scritti di getto come tweet, quindi politicissimi. A sto giro aggiunge pure l’autofiction, se l’è tenuta nascosta per anni, mica come quelli che si fanno la psicanalisi col singolo d’esordio: l’odio per il padre, le droghe, la provincia, i figli non avuti, e chissà se i suoi fan più giovani capiranno questo urlo un po’ grunge, ma la Generazione X approva. Insomma c’è guerra fuori perché c’è guerra dentro di noi, non se ne esce. Ma il suo meglio Fibra lo dà ancora con col cinismo di Mr. Simpatia, come in Tutti pazzi: “E il telefono ci ha reso tutti pazzi / E il telefono ci ha reso tutti nazi”, “Tutti a parlare del fascism / Ma sui social regna il fashitstorm / Chi compra ’sti vinili?/ La dittatura dello streaming”. Mi consola che non siamo i soli che vediamo phasci ovunque.

A.P.: Guarda alle volte. L’apparizione su Spotify di un nuovo singolo di Bello Figo che, come sai considero una vittima sacrificale avendo pagato per aver messo in ridicolo il razzismo di un paese intero, mi aveva appena distratto dai bombardamenti della notte e dallo squallore del Mondiale di calcio per club. “Lamine Yamal, tutti sanno che io sembro Lamine Yamal”, dice la canzone. E poi: “Nella vita faccio gol / nella vita faccio soldi / mia madre dorme tranquilla perché sono ricco”. Bello Figo è una specie di fool del villaggio globale, la sua comicità tautologica ha qualcosa di profondamente rituale e provocatorio quando tocca i bordi della razza. Ma non avevo ancora sentito niente. Sai chi è Hachiko? No, non il cane giapponese. Hachiko è l’artista di Memorie di una troia, album droppato su Spotify qualche giorno fa di cui ancora si sa poco e niente, cioè niente, a parte che si tratta di hyperpop porno LOL cantato in italiano con un’aggressività tardofemminista e un piglio da starlette di OnlyFans. Singolo di lancio Cocaina nella pussy, già primo nella Viral 50. Explicit lyrics, livello Pornhub, voce femminile, forse IA. Una via di mezzo, diciamo, tra Myss Keta, Michelle Comi e la Cicciolina di Muscolo rosso (respect). A me piace parecchio Carlo Conty: “Tutte le bitch amano Carlo Conty / Sanremo art director / Carlo Carlo insegnami il bon ton / facciamoci una botta sulle scale dell’Ariston”. Ma penso tutto sommato che l’operazione sia troppo perfetta per essere vera (parola del tutto desueta). Del tipo: non sappiamo niente di Hachiko, ma lei sa già tutto di noi. Ecco.

G.R.: Ma cosa ci interessa sapere degli altri? Te lo chiedo perché l’altra sera sono rimasto ipnotizzato dalla puntata di 100 minuti su La7, un reportage di Alberto Nerazzini sul mondo delle curve da stadio milanesi e i suoi legami con ‘ndrangheta ed estrema destra. Era tipo una serie HBO, televisione di alto livello, facce, storie, ritmo. Del resto Nerazzini non è un inchiestista di primo pelo, scuola Santoro (Sciuscià, ovvero il Santoro migliore) e poi Report della Gabanelli. Ma quello che mi ha colpito più di vederlo da lontano – le telecamere sono discrete ma a fuoco, mica come gli inviati predator di Rete 4 – mentre si butta nella manifestazione dei fascisti per Sergio Ramelli o si fa offrire una birra dai ceffi di Lealtà Azione, è il suo piglio disincantato, da boomer di sinistra che le ha già viste tutte e sa come gira il fumo, quasi un Montalbano contemporaneo, un Pepe Carvalho della tv, con la sua coppola radical, la barba e gli occhiali, l’equivalente dell’elmetto e della pettorina degli inviati di guerra. Nerazzini fa le domande a tutti, pure a Fedez, ma sa già che da nessuno avrà la risposta vera. Lui però continua, arriva fino alla fine, perché c’è un servizio da chiudere, e le carte della procura da sole non fanno share. Alla fine ringrazia sempre, anche quando un nazista gli punta addosso un pitbull o un camorrista lo minaccia: «Grazie, lei ha perso un’occasione per dire la verità, quando vorrà parlarmi sono qui». Gentile, ma anche sadico, perché delle verità di quelli non gliene frega nulla. Giustamente.