Ma quale armocromia, viviamo in un mondo Postalmarket | Rolling Stone Italia
Questione di styling

Ma quale armocromia, viviamo in un mondo Postalmarket

Precipitata nella fogna del dibattito italiano, armocromia is the new scarpa di D’Alema. Roba da sicure, il contrario dello stile. E poi: in che senso uno di sinistra si deve vestire da operaio? Pare di stare in un catalogo: chi veste male, pensa male!

Ma quale armocromia, viviamo in un mondo Postalmarket

Elly Schlein

Foto: Antonio Masiello/Getty Images

Alberto Piccinini: Sono troppo incazzato guarda, mi sono svegliato così male che mi pare di vivere in un catalogo Postalmarket, hai presente? No? Vabbè. Faccio una premessa: sono convinto che sulle scarpe di D’Alema (fatte a mano) e sui cachemire di Bertinotti la sinistra abbia perso tre quarti della sua egemonia culturale negli anni ’90-’00, egemonia conquistata peraltro a suon di cinema, musica, teatro di livello mon-dia-le nei decenni precedenti. Antonioni. Rossellini. Tutti elegantissimi. Mi segui? Ora: la prima cosa che abbiamo consigliato a Elly, noi vecchi boomer snob, è stata quella di farsi aiutare da un coach. Ma diosanto, prenditi una ex stylist di MTV, le abbiamo conosciute tutte, erano compagne, fluide, simpatiche. Prenditi un’amica di un’amica, chiedi a uno che ha un negozio di vestiti usati. E invece no. Armocromia. La cui efficacia, per quanto mi riguarda, mi suona analoga ai miracoli della Madonna di Trevignano, un kolossal di proporzioni felliniane che lèvati (ma ne parliamo un’altra volta). E infatti, precipitata nella fogna del dibattito italiano, armocromia is the new scarpa di D’Alema.

Giovanni Robertini: Siamo d’accordo, l’armocromia è una boiata pazzesca, roba da sciure, come la dieta metodo Dukan o il feng shui da tinello. È il contrario dello stile, e mi stupisce che questa triste storia avvenga a Bologna, e non – come sarebbe più facile immaginare – a Roma Nord o Milano Centro. I punkabbestia della Montagnola, Andrea Pazienza, Lucio Dalla, il 1977, i ravers del Link, Isola Posse, Guccini, C.P. Company, insomma tonnellate di eleganza, reference di stile da far invidia agli inglesi, e invece… signora mia, l’armocromia.

 

 
 
 
 
 
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AP: Ma poi, porca paletta, i sindacalisti degli anni ’50, comunisti con un pugno chiuso grosso come un cocomero esploso dal sole di Puglia, mica si vestivano da contadini. E neppure da operai. No. Si vestivano bene. Benissimo. Strafighi, cravatta e tutto, perchè non si doveva morire operai, si doveva vivere da padroni di sé e del mondo. E scusa la poesia fuori luogo. Ma io non ce la faccio. Se quel clown di Mario Giordano scrive “contrordine compagni, via le bandiere rosse”, le “nuove Frattocche in via Montenapoleone” e, ovviamente, “da domani via la tuta blu, al tornio con trench pastello” vabbè. Se una deficiente de Il Primato Nazionale dice che Elly sembra uscita da una “spaghettata da Acrobax” sticazzi. Acrobax è un posto bellissimo tra l’altro, tutto graffitato da Blu. Ma io non posso tollerare che su La Stampa Simonetta Sciandivasci faccia un’intervista a Oliviero Toscani sulla personal shopper di Elly e attacchi il pezzo così: “Via l’eskimo, avanti il trench”. Domanda: “Cosa c’è di male nell’eskimo?”. Eskimo? Io ho in armadio un eskimo originale degli anni ’70, blu, ma è la cosa più snob che ho, lo metto soltanto per le grandi occasioni. E porto una giacca da operaio francese alle volte. Lo sai, siamo stati nella vita dark, rockabilly, ravers, preppy, vestiti bene, male, a cazzo. La nostra marca preferita oggi è Universal Works, che rielabora appunto vestiti da lavoro. Ma noi siamo snob, questi sono scemi. In che senso uno di sinistra si deve vestire da operaio? È come quell’altro saltimbanco di Senaldi che va in tv a sbraitare contro il comunismo. Comunismo quale dove perchè? Appunto mi pare di vivere in un catalogo di Postalmarket. Chi veste male, pensa male!

GR: Ah, Nanni Moretti! Molto commentate le sue camicie nel nuovo film, ma manco un siterello che ci dica dove le ha comprate, come si fa di solito con gli outfit dei rapper. Del resto, che cambia? Nanni e i dissing, Nanni swag, Nanni e i tormentoni pop, Nanni in para, in ego trip, Nanni king del cinema tra film banger (Ecce bombo, Il sol dell’avvenire) e film conscious (La messa è finita, Sogni d’oro), ma soprattutto Nanni vero e indiscusso capo di tutti i boomer, col parka nell’armadio e le Clark ai piedi. Chissà se qualche brand di moda ha mai osato chiamarlo come testimonial o proporgli di firmare una capsule, sono sicuro che sarebbe stato un successo, tipo Yeezy di KW.

AP: Ah, Moretti. Una volta l’ho incrociato a comprare i maglioni in un negozio di via Cola di Rienzo, ma chi non è di Roma non può capire la crepuscolare tristezza. Era la vigilia di Natale. Ma non ho finito ancora, scusa. Già che siamo su Rolling Stone non voglio far passare liscia la risposta di Elly alla seguente domanda “Parliamo di musica: c’è qualche canzone, qualche band che ti aiuta a darti la carica?”. Tu che avresti risposto? O meglio, cosa le avresti consigliato di rispondere? Chi diavolo sono i Rural Alberta Advantage, gruppo di poveretti canadesi country dopolavoristi sconosciuti al mondo che ha avuto 8 su Pitchfork nel 2009 e 4 su Ondarock nel 2017? Cosa vuol dire? Che la sinistra merita di fare la fine dei Rural Alberta Advantage quando cantano “forse dovremmo provare / ad andare in bici fuori città / e io ti amerò”. L’ho sentita, è la sua preferita. Disperazione. E comunque per finire: benissimo la scelta di Vogue, ma l’intervista è un disastro. È esasperante, non c’è una domanda vera, una scoperta, una sorpresa, non una battuta. Sono quasi certo che le risposte se l’è riscritte lei, tipo attore italiano che la se tira, in quella salsa di politichese che è – lo ripeto – è la vera debolezza di tutta la questione. È la morte del giornalismo, questo è davvero grave. Agevolo citazione dalla biografia su Linkedin di Federico Chiara che firma il pezzo: “Più che fare storytelling, mi piace definirmi uno story-coach“. Auguri.

GR: Allora sai che ti dico? Meglio Salvini al concerto di Max Pezzali, che abbiamo già rivalutato a tempo debito. Preciso: abbiamo rivalutato Pezzali, non Salvini, per lui non c’è mai stata speranza. Eppure anche Matteo al liceo si metteva le Clark con la giacca di velluto, poi è successo qualcosa… non vorrei fosse stato già il virus dell’armocromia e lui sia stato il paziente zero.

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