Lunga vita al Leoncavallo e a tutti gli spazi sociali | Rolling Stone Italia
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Lunga vita al Leoncavallo e a tutti gli spazi sociali

Il corteo indetto a Milano per la giornata di ieri ha contato 50.000 presenze e ha lanciato un segnale importante: il Leonka c'è, è vivo e vegeto, e lotta alla testa di una serie di istanze sociali che stanno, finalmente, emergendo

corteo leoncavallo milano

Il corteo del 6 settembre 2025 a Milano

Foto: Angelo Junior Avelli

Ieri c’era il sole a Milano. Per una data che si annunciava essere davvero importante e per nulla scontata per il Leoncavallo, gli spazi sociali di mezza Italia e forse anche per la sinistra in generale nel nostro Paese. Dopo lo sgombero di giovedì 21 agosto, il Leoncavallo aveva scommesso su una risposta di popolo, lanciando un corteo nazionale a Milano per questo sabato 6 settembre alle ore 14 con ritrovo in Porta Venezia. Le aspettative non sono state disattese, all’appello hanno risposto più di 50 mila persone. Una manifestazione corposa a cui si sono presentati diversi centri sociali da Roma, Bologna, Venezia, Napoli, Torino, ai quali si sono aggiunti sindacati, associazioni, comitati, organizzazioni studentesche, cooperative del terzo settore, collettive, reti politiche nazionali come il Social Forum dell’Abitare, i Giovani Palestinesi, la Rete No DL Sicurezza “A pieno Regime” contro la repressione, le forze politiche della sinistra più radicale (Alleanza Verdi Sinistra, Rifondazione Comunista, Potere al Popolo) attori, musicisti, scrittori, registi legati alla storia del Leoncavallo e che hanno fatto la storia del Leoncavallo (Bebo Storti, Renato Sarti, Claudio Bisio, Paolo Rossi, Gabriele Salvatores, Cosmo, solo per citarni alcuni).

Era dai tempi dello sgombero del Cox18 del 2009 che a Milano non si vedeva una folla così per un centro sociale, complice anche la fase, le guerre, il governo più a destra della storia repubblicana. Questo dato non è di sicuro casuale, già allora quando toccò allo stabile in Via Conchetta la reazione fu ampia e immediata e permise al collettivo di rioccupare il vecchio stabile all’epoca, ma questa è un’altra storia…

Stavolta la situazione è parecchio diversa. Intanto il Leoncavallo ha alle spalle una vicenda giudiziaria intricata, che crea un precedente complicato anche per altre occupazioni autogestite. Ricordiamo infatti che il Ministero degli Interni è stato condannato a risarcire la famiglia Cabassi, nella figura giuridica del Prefetto, per non aver eseguito lo sgombero e il giudice si è rifatto sull’Associazione delle Mamme Antifasciste del Leoncavallo, la quale presidentessa, Marina Boer, è stata condannata a pagare un risarcimento di 3 milioni di euro per il mancato sgombero alla società immobiliare che possiede l’immobile di via Watteau 7.

Secondo punto: il Leoncavallo, presidio culturale, già da tempo stava lavorando al riconoscimento del proprio valore sociale da parte delle istituzioni e da anni chiede di trovare una soluzione emersiva. È dai tempi della Giunta Albertini che iniziarono le prime interlocuzioni, bloccate poi dal vicesindaco Riccardo Decorato, anche se è con la Giunta di Giuliano Pisapia che lo spazio pubblico autogestito ha ottenuto un tavolo di discussione vero e proprio, che in seguito si è arenato. Ora, dopo tre giunte di centro-sinistra a trazione Partito Democratico, l’attualità ha reso necessaria un’accelerazione, in tal senso, essendo rimasto il Leoncavallo senza sede.

Il sindaco Sala, nel frattempo, interpellato dalla stampa, nelle scorse settimane, ha risposto ad alcuni giornalisti, a proposito del Leoncavallo, riconoscendo il suo «alto valore sociale e culturale per la città», almeno a parole, indicando nel bando di un capannone in via San Dionigi, zona Porto di Mare, una soluzione plausibile. Lo stabile pubblico in oggetto è di proprietà del Comune di Milano, i cui costi di bonifica dall’amianto ammonterebbero a 3 milioni di euro, e tale cifra risulterebbe essere a carico del vincitore del bando, anche se sarebbe previsto uno sconto, per il relativo esborso, dal canone d’affitto. Non proprio un vero affare insomma.

Il centro sociale attraverso l’Associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo intanto sta partecipando al bando, dopo aver presentato una manifestazione d’interessi. Soluzione, quest’ultima, che non sembra proprio aver scaldato i cuori di nessuno, visto gli ingenti costi di spesa, la posizione e le attuali condizioni dell’edificio. Per questa ragione il Leoncavallo ha lanciato una campagna civica di crowdfunding per sostenere le spese. Certo stupisce che il sindaco in pectore Beppe Sala, da una parte, e la vicesindaca Anna Scavuzzo con delega all’urbanistica, dall’altra, siano disposti a versare per l’operazione dello stadio di San Siro 36 milioni di euro alle squadre, mentre al Leoncavallo vanno comminati i costi di bonifica. Due pesi e due misure.

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Foto: Angelo Junior Avelli

Non è un caso che il fil rouge della giornata di mobilitazione convocata dal Leonka mettesse in primo piano oltre al tema degli spazi sociali anche quello del diritto alla città, criticando il modello di sviluppo attuale e le scelte politiche attuate da questa amministrazione in materia di urbanistica, fatte oggetto di numerose inchieste giudiziarie da parte della Procura di Milano nella famosa vicenda del “Salva-Milano” che hanno sprofondato il centro-sinistra meneghino – e non solo – in una profonda crisi politica, comportando disaffezione e malumori nel proprio elettorato.

Questa situazione ha alimentato un fervido dibattito pubblico sulla governance del territorio e sull’inadeguatezza delle scelte politiche fatte in precedenza dalla classe dirigente democratica, decretando la loro incapacità di rispondere in maniera efficace e convincente al caro affitti e all’emergenza abitativa, divenuto ormai un fattore strutturale della città neoliberista. Proprio in questo contesto andrebbe riconosciuta e valorizzata, secondo i movimenti di lotta per la casa, studenti, sindacati, centri sociali e partiti della sinistra radicale, l’importanza delle esperienze di autogoverno degli spazi liberati e autogestiti, come laboratori di formazione politica e di partecipazione civica, un bene comune facilmente accessibile e alla portata di tutti in cui si svolgono attività culturali, mutualistiche e di welfare comunitario.

La giornata, dunque, è iniziata presto. Con alcuni attivisti che si sono ripresi simbolicamente lo spazio di via Watteau, l’ex sede del Leoncavallo, con un’azione dimostrativa davanti all’ex cartiera della famiglia Cabassi. Alle 12 in punto, in Piazza Duca D’Aosta, gli spazi sociali di Milano si sono dati appuntamento per un pre-concentramento, prima del corteo principale, davanti a Stazione Centrale, lanciando un corteo dei centri sociali e degli spazi liberati, che sarebbe poi confluito in quello principale delle 14, rivendicando, con uno spezzone proprio e un corteo unitario dei centri, l’importanza della pratica dell’occupazione come meccanismo di sottrazione dal basso alla rendita fondiaria, come antidoto esplicito alla speculazione finanziaria.

Il corteo da lì si è poi mosso verso le 13, per dirigersi verso il Pirellino, cantiere per cui Coima SGR è indagata, insieme al suo dirigente Manfredi Catella e a Stefano Boeri, architetto di grido, pizzicato nelle intercettazioni a fare dichiarazioni poco etiche sui clochard (non in relazione a questa vicenda) e a dispensare consigli al Sindaco e all’ex Assessore all’Urbanistica del Comune di Milano – dimessosi recentemente perché indagato – Giancarlo Tancredi, oltre ad alcuni membri della Commissione Paesaggio. Le azioni si sono concretizzate con l’esplosione di alcuni petardi, una colata di vernice rosa dalle impalcature, contro le zone rosse e l’insicurezza per le strade a causa della violenza di genere patriarcale, per poi calare alcuni striscioni dall’alto con la scritte “Contro i padroni della città” sopra il sottopasso in Melchiorre Gioia.

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Il corteo arriva al Pirellino. Foto: Angelo Junior Avelli

Alle 15 il corteo dei centri, che nel frattempo aveva raccolto una massa critica significativa dalla stazione, di circa cinquemila persone, si è diretto verso i bastioni di Porta Venezia, per convergere finalmente al corteo del Leoncavallo. A questo punto la manifestazione è iniziata in direzione di via Regina Margherita, avanzando fino a davanti alla Prefettura in Corso Monforte, dove una sassaiola e una scarica di petardi è stata indirizzata contro le forze dell’ordine, come risposta diretta allo sgombero di via Watteau.

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Foto: Angelo Junior Avelli

Successivamente, in Piazza Cinque Giornate, due altri striscioni sono stati calati dall’alto di un’impalcatura con la scritta “Giù le mani dagli spazi sociali”. Il corteo si è poi diretto verso Porta Romana, per ripiegare verso il centro passando da via Larga, verso via Sforza e Piazza Fontana. Da lì il divieto di entrare in Piazza Duomo, da parte della Questura, considerando anche i numeri del corteo che raccoglieva decine di migliaia di partecipanti, si è smaterializzato, lasciando al Leoncavallo, agli spazi sociali e a tutta la loro comunità politica allargata la possibilità di “espugnare” la piazza, simbolo del centro della città.

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Foto: Angelo Junior Avelli

A questo punto è diventata una festa, in cui migliaia di persone di diverse generazioni e culture che si sono mescolate, forti anche della loro biodiversità, lasciando il segno di una risposta che era difficile immaginare prima per schiettezza e composizione. Una piazza che chiede l’assegnazione di uno spazio nuovo e adeguato per il Leoncavallo, con l’impegno di seguire con interesse anche la sua prossima metamorfosi, per una storia lunga cinquant’anni, che non sembra ancora destinata a finire – semmai a cambiar pelle e forma – come è già successo ad altri centri sociali in Italia e a Milano: sul piatto ci sarebbe un’assegnazione lunga una vita, per una convenzione di novanta anni.

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Foto: Angelo Junior Avelli

Sarà lieto fine? È lecito chiederselo e aspettarselo. Una cosa è certa, ieri non si è celebrato nessun funerale, il Leoncavallo è vivo e vegeto e lotta insieme a noi, mentre si è riscoperto capofila di una serie di istanze sociali che stanno emergendo: dall’affermazione del diritto all’abitare per tutte le persone, alla tutela degli spazi liberati e autogestiti, sino a fare da ponte – almeno idealmente – verso un modello alternativo di città con un governo più democratico e partecipativo.

Qualcuno ha scritto in questi giorni che difendere il Leoncavallo significa non soltanto proteggere un simbolo o accettare di officiare un rito collettivo, ma significa proteggere un’idea, che un altro mondo è possibile, per rilanciare una prospettiva di cambiamento e di azione condivisa sul nostro presente dentro a un orizzonte di proposta oltre la resistenza. Difendere il Leoncavallo e gli altri spazi sociali significa partire dalle città e da una visione alternativa e bioetica della realtà per sincronizzare le nostre coordinate valoriali su antifascismo, transfemminismo, giustizia sociale e ambientale.

Non abbiamo più spazio da perdere, dicevo qualche mese fa a proposito della città attuale. Quello di oggi è stato soltanto un altro tassello, nel puzzle che abbiamo da ricomporre, per diventare protagonisti nel nostro tempo, per rovesciare il governo e pretendere di più per le nostre vite. Allora dunque lunga vita agli spazi sociali e al Leoncavallo di Milano. Per un’altra città e un altro futuro.

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