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Leggere il romanzo di Fabrizio Corona è come andare in gita alla Minitalia

La malattia per i soldi, il carcere, storie pazzesche di dive, politici, paparazzi e imbucati. ‘Come ho inventato l’Italia’ racconta la storia vera o verosimile di un narcisista: è il libro più potente che leggerete quest'anno

Foto: Archivio Mondadori via Getty Images

Un adorabile figlio di puttana. Ecco con chi avrete a che fare nelle 456 pagine di Come ho inventato l’Italia, in uscita per La Nave di Teseo. L’autore non è uno Strega, non è uno che di solito trovate nelle pagine culturali di un quotidiano ma anzi in cronaca, ovvero Fabrizio Corona, «l’incarnazione del berluscononismo» come si autodefinisce, il nemico giurato dei colti, della Morale, del buonsenso, il cattivo esempio, quello che non vorreste mai che vostro figlio diventasse. E lasciatevelo dire: è il libro più potente che leggerete quest’anno.

Sono secoli che negli ambienti letterari senti gli editor confabulare sul come mai nessuno in Italia abbia scritto una storia alla Ellroy. Perché da noi certe cose non si possono fare, ci si pugnala alle spalle ma poi si deve mantenere nei rapporti quel politically correct che crediamo ci assolva. James Ellroy invece è famoso perché racconta il marcio dell’America attraverso i suoi protagonisti più celebri, scoprendo le loro bassezze. Sinatra in odor di Mafia, Kennedy dipendente dal sesso, Hoover sadico. Per la massa sono miti, ma nel loro privato sono uomini con le loro debolezze.

Corona fa la stessa operazione raccontando se stesso tramite i suoi rapporti con gli altri, riflettendo tutte le nostre contraddizioni nei volti di Ilary Blasi e Barbara D’Urso, passando per Signorini e tutti ma proprio tutti i nomi della tv, della politica, della cronaca. Se l’Italia degli ultimi vent’anni ha una storia, la sua sintesi è il volto di Corona. La sua prosa è velocissima, lucida e comica. Il libro va giù che è una bellezza e dopo ogni pagina ne vorrete solo leggere un’altra. È un romanzo, sì, come lo è anche la vita vera del suo protagonista che vi darà ai nervi, vi farà venire voglia di dissociarvi dai disastri che combina ma al tempo stesso vi spedirà l’adrenalina a mille. Non conta se quello che c’è scritto dentro sia vero o verosimile, siamo immersi in una vita che per i mortali ne contiene decine, con le conseguenze disastrose che questo comporta e che noi non avremmo il fisico di subire (amori spezzati, pianti, malati di celebrità che ci rimangono sotto, amicizie finite male, raggiri, pugni in faccia e denunce).

Non a caso, autoproclamatosi dio sin dalla prima riga, Corona parla con noi come se fossimo sudditi e diventa trasparente, compie una dichiarazione di forza che allo stesso tempo è il manifesto della sua fragilità. È un narcisista totale («Ero ciò che avevo sempre voluto essere: La notizia»), bugiardo ma al tempo stesso in grado di dirti la peggiore verità («Sono una creatura mitologica, mezzo Dio e mezzo merda»), malato di soldi («Il denaro contante è la mia malattia più grande. La prova provata di quanto vali, del credito che ti attribuiscono le persone»), soprattutto di un’ambizione senza confini («Arresto= – libertà + popolarità»). Eppure per quanto cada in basso, per quanto raggiri o usi le persone, per quanto soffra delle sue stesse gesta, le persone che ha attorno non sono mai e poi mai migliori di lui. Lui ha bisogno degli altri per essere Dio, gli altri di lui per credere in qualcosa.

Corona è un Re Mida modificato, riesce a trasformare qualsiasi occasione in soldi e la gente si avvicina a lui per questo, perché vuole che gli imprima la sua mano sulla fronte e che la renda famosa. Sanno tutti del casino in cui si vanno a mettere, ma non vogliono pensarci guidati solo dalla testarda volontà di brillare, almeno un pochino, nell’Olimpo accanto agli dei del nostro tempo: i divi. Lui li spara su Chi, li lancia, gli fa rifare le tette e il look, li indottrina e su ognuno di loro fa una cresta clamorosa. Alcuni lo reggono, altri si schiantano, lui vola alto sopra gli eventi uscendone sempre muscoloso e a torso nudo. Ed è tutto così folle e veloce che ha perfettamente senso.

Così scopriamo di quando stava con Belen e vendeva a sua insaputa le paparazzate che organizzava («Belen l’amavo davvero ma per me nell’amore rientra il guadagno. Ho fatturato cinquecento mila euro in due mesi. Lei non ha mai visto un soldo») o di come ha tenuto in piedi una relazione “mediatica” con Asia Argento solo per vendere alcune esclusive. Che stronzo, pensi. Sì, ma da leggere è uno spasso senza precedenti.

I racconti sui suoi schiavetti fanno morire dal ridere, le telefonate trascritte al compagno di cella che ha ucciso la zia sono memorabili, i racconti della madre lo rendono simile al cugino matto che a Natale fa divertire la famiglia. Se c’è una grande storia di ambizione Italiana oltre a quella di Berlusconi che merita la pena di essere tramandata è quella di Corona.

C’è qualcosa di shakespeariano in lui, qualcosa anche di picaresco. La vita è una commedia e tutti siamo attori. Tutti recitiamo, tutti abbiamo un prezzo. Alcuni di noi lo ammettono, altri si raccontano le favole. Corona è l’esempio vivente che con la volontà puoi ottenere tutto e che in questo Paese dove non funziona niente, dove tutto va a rotoli ed è corrotto, le cause non sono ancestrali, ma umane. Se Corona è il Male tutti gli aspiranti famosi, gli imbucati, i presentatori di Sanremo, i politici, gli influencer, i wannabe, le veline, tutti sono suoi adepti. Di fronte a lui che è la nemesi del buonismo, nessuno si salva, specialmente i suoi persecutori.

In Italia non vai in carcere manco se ammazzi qualcuno e ve lo spiega anche uno studente al secondo anno di giurisprudenza che le sue pene sono sproporzionate. È assurdo pensare che Corona abbia passato pomeriggi nelle carceri con Olindo Romano, Alexander Boettcher, assassini, banditi e che dei poliziotti gli abbiano spezzato i denti. Se succedesse a un altro saremmo indignati, ma se succede a Corona giriamo la testa perché sotto sotto pensiamo che se lo merita. Già ma perché se lo merita? Perché qualcuno dovrà pur pagare se questo paese fa schifo, no?

La risposta è in quella mappa confusa di tatuaggi in cui ne manca solo uno, quello con scritto “Guai”. Sulla sua tomba dovranno scriverci che era un gran procacciatore dei suddetti. Mirabolanti, spettacolari, spassosissimi guai. Forse da morto lo perdoneranno, forse un futuro Sorrentino scriverà un gran film da questo romanzo strepitoso, l’unico che ha raccontato l’Italia degli ultimi vent’anni senza moralismi.

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