Le nostre popstar sono diventate indistinguibili dalle loro imitazioni | Rolling Stone Italia
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Le nostre popstar sono diventate indistinguibili dalle loro imitazioni

Ormai per capire il pop italiano basta la Gialappa’s. Con Guzzanti/Venditti che osserva tutti dall’Olimpo, una delle migliori pagine di critica musicale di ogni tempo. Non è un buon segno, ma almeno si ride

Le nostre popstar sono diventate indistinguibili dalle loro imitazioni

Annalisa

Foto press

Giovanni Robertini: Sarà stata la botta di sole dopo giorni di pioggia, o una reaction emotiva post-Conclave, ma ieri mi sono trovato sulla mia Dacia a pompare A me mi piace di Alfa, quasi-cover di Me gustas tu di Manu Chao, che compare come featuring dalla fine del mondo (cit. Papa Francesco), molto più che un semplice peccato di Siae – con i tormentoni ci si pagano le vacanze! – o un guilty pleasure per noi Boomer e Gen X. «Manu / Aquí, presente! / Come fa, amico mio? / ¿Qué pasa con la calle en Genova?». Il pezzo inizia così, con un dialogo a ritmo, un piccolo brivido: Andrea De Filippi in arte Alfa è del 2000, probabilmente era dai nonni o con una babysitter quando i genitori andarono al concerto di Manu Chao a Genova durante il G8 del 2001, come racconta in un’intervista a La Repubblica. Un altro mondo è possibile, quanti ricordi, poi Alfa ha fatto il liceo classico, si è iscritto a un corso alla Bocconi ma l’ha mollato per ritrovarsi, come abbiamo visto qualche giorno fa sul palco del Primo maggio, osannato da migliaia di ragazze e ragazzi. Un po’ Ed Sheeran de noantri, molto Jovanotti, il suo volontario strafalcione “a me mi” del titolo sembra un omaggio alla licenza poetica di “sono fortunato perché non c’è niente che ho bisogno”… Tutto torna, ma c’è di più: Alfa è il figlio che tutti vorrebbero avere, un bravo ragazzo che non mette paura come i trapper, niente VVS ma un duetto a Sanremo con Vecchioni, l’aria da Papa boy, da scout laico, nipote ad honorem di Gramellini, Carofiglio, De Gregorio, di quasi tutta La7, mezzo Salone del libro e mezza platea dei David di Donatello. Ora, resuscitando dal nostro inconscio Manu Chao – e insieme a lui anche l’odore dei lacrimogeni e le botte del G8 – è pronto a fare da colonna sonora a qualche convention del PD, fosse in Schlein lo chiamerei come testimonial per il voto dei giovani ai prossimi referendum, me gusta la cittadinanza, me gustas tu.

Alberto Piccinini: Va bene Alfa e i bravi ragazzi che vanno in paradiso, ma non dimentichiamo il povero Tony Effe. Perché deve pagare lui per tutti? Neppure la fidanzata incinta, neppure palleggiare con Francesco Totti al Circo Massimo sembrano avergli restituito lo smalto che s’è giocato a Sanremo. Un po’ mi dispiace. La pallonata sul faccione del sindaco Gualtieri? Banale, nemmeno simpatica. Le buche a Roma sono fuori moda, la comunicazione social del sindaco è un kolossal alla Super Mario, io gli avrei consigliato di non sfidarlo, però questo è un altro discorso. Certo, l’ultima idea di attaccare due strofe alla Tony Effe a Espresso macchiato di Tommy Cash tre giorni prima dell’Eurofestival è diabolica. Comincia citando Berlusconi che fa rima con Bocconi (dove manderà sua figlia Priscilla), vestito come un avvocato del quartiere Prati mica come un trapper di Atlanta. Al solito. “Sono un vero italiano, un gangster”, difatti. Un po’ come quei film e romanzi in cui si indaga la normalità della mafia, tipo Teresa Ciabatti o Iddu, e si finisce per ribadire la mafia della normalità che ci sta attorno. Capisci? La normalità e basta è il vero eccesso: dai vecchi cialtroni di Sordi e Gassman ai nuovissimi mostri, Tommaso Cerno e il Ministro Giuli. Poi ci sarà da riflettere a lungo sul latte con Pan di Stelle come metafora del dopo. La prossima volta.

G.R.: Su nuovi mostri e normalità ci deve essere un podcast, o forse la normalità è l’idea stessa di podcast. Colpa nostra se anche un ex collega di MTV come Ale Cattelan, durante una puntata del suo podcast Supernova con ospite Salmo, sembra quasi vergognarsi di fargli una domanda da “giornalista”. Del resto se gli esempi sono i giornalisti che vanno in tv, ha ragione lui, addio spirito critico, meglio la chiacchiera, il «conosciamoci meglio», il «dai, raccontami quella volta che…». Provo un nuovo spaesamento ascoltando Tintoria, BSMT e le altre decine di podcast con ospiti vip, come origliare una conversazione in prima classe sul Frecciarossa Milano-Roma, Tizio e Caio sanno perché è stato eletto un Papa americano, perché c’è tanta violenza tra i ragazzi, perché Trump, perché Sinner, perché Adinolfi. E via via che ascolto capisco di non sapere nulla, meglio così. Quando sento Elio podcastare che «se usi l’Auto-Tune, ammetti di non essere in grado di cantare», non ho più voglia di mandargli il pdf di Auto-Tune Theory di Kit Mackintosh (Nero edizioni), solo di dimenticare chi sia Elio. Insomma, se ti podcasti ti cancello, come terapia funziona.

A.P.: Altroché. A proposito di dimenticare, dice il Ministro Giuli che la sinistra ha sostituito i comici agli intellettuali. Come se per 10-20 anni la tv berlusconiana non avesse avuto l’ossessione di chiuderli, i comici. Sterminarli. Ma aspetta, ci arrivo. “Perdona i miei peccati come ha fatto Gesù / come hai fatto con le altre”, hai presente? Uno dei vertiginosi versi del nuovo singolo di Annalisa, Maschio, lei in versione lesbo-chic però rinnegata in prima serata ad Amici, leggo. Ma come? E “Te lo giuro su Maria / l’amore cieco è una bugia”, proprio il giorno in cui il Papa nuovo invoca la Madonna di Pompei e recita l’Ave Maria dal balcone (tipo Springsteen che attacca Thunder Road)? Come tormentone ha scritto sopra: “Carrà”, “ballo di gruppo”, “Gay Pride”. Soprattutto TikTok. Però facci caso, da quando esiste TikTok le parole delle canzoni sono incomprensibili. “Se fossi nella tua camicia o anche più giù / mi diresti pervertita o peggio fai tu”. Ho provato a capirci qualcosa, mi sono arenato subito. Chi parla? Lei o lui? Lui che bacia lei o lei che bacia lei-lui? Annalisa chi si crede di essere? Roberto Bolaño? Richard Brautigan? Poi ho capito. I comici. Lei è Annalaisa la megalomane che ha creato il pop, la parodia di Brenda Lodigiani e della Gialappa’s dalla quale è indistinguibile. Ormai per capire il pop italiano basta la Gialappa’s. Achille Lauro pallida imitazione del suo imitatore Giovanni Vernia (“sta bolletta è indecente / quando l’apro muoio giovane”). Max Giusti tornato ai vecchi fasti di Malgioglio con il suo Renato Zero che si pente d’ogni peccato commesso in vita. Quasi come il Guzzanti/Venditti dei tempi nostri che compare ancora tra i reel e osserva tutti dall’Olimpo, una delle migliori pagine di critica musicale di ogni tempo. I comici. Non credo sia un buon segno, ma almeno si ride.

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