La vera sostituzione etnica è quella tra terroni del nord e terroni del sud | Rolling Stone Italia
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La vera sostituzione etnica è quella tra terroni del nord e terroni del sud

Dizione inquietante, dieta bergamasca, stile di vita celodurista: perché la vera terronaggine italiana oggi trionfa da Firenze in sù

La vera sostituzione etnica è quella tra terroni del nord e terroni del sud

Foto: Picture Post/Hulton Archive/Getty Images

Mio padre così siciliano da essere quasi fenicio, mia mamma un prodotto tipico delle valli bergamasche.

Sono un esperimento genetico, un X-Man peninsulare, un mutante dotato di poteri sovraregionali che nessuno scienziato pelato o filantropo potrà mai arginare e utilizzare a fin di bene.

Da un lato, la peggior dizione meridionale mai udita nell’emisfero boreale, voce di una personalità bigotta e contraddittoria; dall’altro, l’innato talento nel maneggiare sapientemente la nobile arte del parlare (e fare tante altre cose) con la bocca ancora piena di cansonsei alla bergamasca, sputando resti di cibo in grado di coprire distanze siderali, stelle comete con scie al sapore di burro e salvia.

Sono super partes, anzi, inter partes: posso asserire con cognizione di causa che oggi il vero terrone (nel senso più bello e positivo del termine, quindi non rompete i coglioni) è del Nord.

Attenzione, non ho detto AL Nord, ho detto DEL Nord. Non parlo di emigrati, infiltrati, integrati, arricchiti, ripuliti, ma di gente autoctona.

Oggi noi meridionali ci siamo rammolliti, non siamo né carne né pesce né pizza né cannolo, siamo una statuetta di Pulcinella da presepe napoletano, una pupazzo in ceramica di uno con la lupara e la scritta “mafiusu siclianu”, un pasticciotto salentino venuto male mangiato dietro il Duomo. Da Firenze in sù ammorbidiamo il nostro accento, cercando di nasconderlo, fingiamo di rispettare le file (vergogna), a volte arriviamo a pulirci gli angoli della bocca col fazzoletto prima di bere per non lasciare tracce di pasta cu sucu sul bicchiere. È la sconfitta dell’orgoglio terrone, la fine di un caposaldo, la Caporetto di cumpà e quagliò.

E pensare che proprio filologicamente le cose si erano messe bene: “minchia” is the new “cazzo”, “ficcare” ha più effetto di “ciulare”, “suca” è meglio di “fuck you”. E invece no.

Uno dei più grandi errori è quello di identificare Milano con il Nord. Che errore. Milano sta al Nord Italia come New York sta agli Stati Uniti = non c’entra un cazzo. Il Nord, quello vero, quello che conta, è Brescia, Bergamo, il Veneto, quei posti lì, con una vera anima peculiare. Luoghi dove la gente non ha perso e non vuole perdere la propria anima più verace, cattedrali del celodurismo più radicale. È li che la vera terronaggine italiana oggi trionfa.

“Terrone”, “ignorante”: oggi nel gergo comune queste parole hanno una connotazione spesso positiva. Sono sinonimi di “spregiudicato”, “autentico”, “cazzuto”, “gagliardo”. “Hai visto che bella la nuova Ferrari? Mamma che terronata!”, “Minchia che gol di potenza che ha fatto Ibra, che terronazzo”.

E noi terroni originali? Abbiamo perso il treno. I terroni del Nord non speculeranno su Apollineo e Dionisiaco ma, Al di là del bene e del male, gli uomini tutti d’un pezzo oggi sono loro. Il “ce l’ho duro” che trionfa sul “Io ce l’ho profumato”, il decisionismo che trionfa su una galanteria meridionale ormai molle. L’avvinazzato che fa il pieno di grappa alla griglia(ta) di partenza scala le cime della Val Seriana come un capriolo e poi alza la coppa “Salamella” mentre il Totuccio siculo col ventre molle guarda le partite sul divano con la maglia della salute unta. Ma come? E il mito del maschio del Sud, l’uomo che non deve chiedere mai, il divoratore di teste di polipo con gli occhi neri e quella bocca da baciare? Finito, caput. Pensa che oggi se non fai almeno lo sforzo di fingerti sensibile ai temi femministi le fighe non ti si cagano nemmeno.

Dice: “Eh ma noi qui al Sud abbiamo valori che al Nord vi scordate. E poi il cibo, il calore della gente, la bellezza dei posti, la cultura”. Minchiate. Non è più così. Non proprio. La cultura e l’identità noi terroni originali le stiamo lasciando per strada. Ci siamo accorti che il Sud è trendy al momento e la parola d’ordine è solo fatturare. Si costruisce con gli stessi criteri che usa un bambino quando gioca con i Lego, va bene ovunque, che sarà mai. “Ma hai visto quanto costa un panino là sopra a Meelano? E noi i piccioli non li dobbiamo fare? E che siamo, fessi?”. Solo che sembra si risparmi sulle uniche cose che contano: la qualità e l’autenticità. Copiamo (male) modelli che con noi non c’entrano nulla, prendendone solo il peggio. Oggi è più facile mangiare del buon pesce a Milano che a Trapani. Specialità Siciliane, Specialità Napoletane, Calabresi, Pugliesi: tutte specialità, e via di postacci di plastica finto-riviera romagnola con gigantografie di polli allo spiedo e vedute panoramiche di cannoli sui muri a 10 metri da cattedrali normanne e chiostri benedettini dalla bellezza commovente. E vabbè chissenefrega, che sarà mai.

Qualche mese fa ero a casa mia, al mare. Un giorno decido di andare a fare una corsetta. Il canto dei flutti, gli scogli dorati al tramonto, una bellezza che ti si ficca negli occhi con prepotenza. E poi? E poi doveva essere jogging ed è diventata corsa a ostacoli di monnezza, una gincana tra rifiuti di ogni tipo. Salto in lungo, se sbagli non perdi, ti fai solo un bel pediluvio di merda. A 30 metri dal mare. Ma che minchia fate? L’orgoglio terrone dove è in questi casi? Se il terrone del Nord ti vede buttare una carta per terra di fronte a un rifugio montano ti impallina il culo, ti strangola con la sciarpa, ti piglia a colpi di ossobuco in testa.

Eh ma i tempi stanno cambiando, basta con questi clichè, hai visto che bella Palermo? Come è bella oggi Palermo! Sembra la Barcellona di 20 anni fa oggi Palermo! Ok, figa Barcellona, e Palermo dove è finita intanto?

Abbiamo perso. E come ci ha fatto male poi quella sorta di territorialismo anti-Nord e quel “razzismo al contrario” in piena fase critica Covid. Quando il polentone era l’untore, quando “statevene al Nord a godervi la nebbia, non veniteci a infettare”, “ben vi sta, visto cosa succede a sentirsi i primi della classe?”, “guarda che schifo sui Navigli senza mascherine”. Quando all’improvviso alcuni di noi meridionali sono diventati i maestrini della correttezza e della regolarità, i neo professorini del Regno delle due Sicilie, con la bacchetta in una mano e nell’altra l’Euro da dare al posteggiatore abusivo dal quale ci si fa sodomizzare l’ego ogni santo giorno.

E come se non bastasse, il capolavoro dell’imbecillità: i terroni del Sud che votano Salvini, roba da matti, oltre ogni barzelletta.

Potrebbe essere lo spunto per un adattamento del film The Believer, una pellicola di qualche anno fa dove un Ryan Gosling non ancora superstar faceva la parte di un giovane ebreo neonazista che decide di piazzare una bomba in una sinagoga. Nella mia versione il protagonista sarà un terrone del Sud, fervido sostenitore della Lega che cerca di far carriera nel partito, la cui missione culminerà nel gesto eclatante, un vero attentato di matrice terronistica: si farà esplodere durante la cerimonia di un battesimo nell’entroterra siciliano nascondendosi all’interno di una cassata gigante e gridando un attimo prima di far saltare l’ordigno: “AGNEDDU E SUCU E FINIU U VATTIU!!!”. Ricotta ovunque e titoli di coda.

“La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi non viene dalle stelle
Alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena potete stare a galla
E non è colpa mia se esistono carnefici, se esiste l’imbecillità
Se le panchine sono piene di gente che sta male…”

Up Patriots to Arms – Franco Battiato

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