La lunga estate calda dell’attivista moderno | Rolling Stone Italia
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La lunga estate calda dell’attivista moderno

Ogni mattina sui social, come sorge il sole, un wannabe militante si sveglia e sa che dovrà pubblicare story e tweet su temi “importanti”. Tra indignazione e asterischi, sicuri che tutto ciò sia utile alle buone cause?

La lunga estate calda dell’attivista moderno

Foto: Clay Banks on Unsplash

Ogni mattina sui social, come sorge il sole, un attivista moderno si sveglia e sa che dovrà pubblicare story e tweet su temi “importanti” più veloce degli altri, o sarà irrilevante. Ecco, lo sapevo, ho sbagliato già dalla prima frase, rifaccio. Ogni mattina sui social, come sorge il sole, un* attivista modern* si sveglia… un attimo: che si fa quando c’è di mezzo un potenziale apostrofo? Come devo comportarmi con ’sto benedetto asterisco? Gesù, sono solo all’inizio e sto sudando: è lecito stuprare la nostra grammatica per non incorrere in accuse sessiste/fasciste/razziste da parte di un attivista moderno? Ebbene, sappiatelo, non mi avrete: quest’articolo adopererà il maschile e il femminile come insegnano i vecchi sussidiari, e chi non è d’accordo può allertare la buoncostume. Non vi temo, attivisti moderni, sebbene aumentiate di giorno in giorno e stiate trasformando il mondo in un gigantesco campo minato dove commettere un passo falso e rimanere privati d’una gamba è un attimo.

Chi sono gli attivisti moderni? Bella domanda. L’attivista moderno – o attivista da divano che dir si voglia – sfugge alle classificazioni demografiche: può avere venti come quarant’anni, venticinque come trentacinque. L’orientamento sessuale non è una discriminante, figuriamoci, così come la formazione scolastica o il ceto. L’attivista moderno è come il risciò in Romagna: un trend trasversale in cui prima o poi inciampano pure gli insospettabili, lasciando quelli rimasti a piedi (quelli che non salgono sul risciò e quelli che non intasano l’internet con contenuti socialmente utili) un po’ increduli, un po’ basiti, un po’ sgomenti. Tutti – be’, dai, quasi tutti – annoveriamo tra i nostri contatti almeno un attivista moderno. In molti casi era una persona fino a pochi mesi fa piuttosto tranquilla, che vantava una scarsa presenza sui social e un’avversione sistematica al coinvolgimento nel dibattito pubblico. Gli eventi recenti hanno poi scosso la sua coscienza trasformandolo in un novello psicopoliziotto con un unico obiettivo: la denuncia delle ingiustizie, vere ma specialmente presunte, che ci vedono complici; nonché l’esibizione costante del proprio impegno civile e della propria poliedricità. Tante cose si possono dire dell’attivista moderno, tranne che non sia un tipo eclettico. Passa con disinvoltura da post dove ci spiega «come essere attivamente antirazzisti» a riflessioni sull’arretratezza delle distinzioni basate sul sesso biologico, «un sistema che ha la stessa valenza dell’oroscopo»; recensisce film, documentari, serie tv (che non sono mai brutti o trascurabili tout court, ma tutt’al più «importanti», specie se scritti o diretti da donne), ed è informatissimo circa le emergenze (carestie, locuste, guerre, terrorismo, piogge di rane, invasioni di ippopotami) che sconvolgono i fragili equilibri internazionali.

L’“attivista della giungla” interpretata da Mélanie Thierry (nella foto con Jonathan Majors), leader di un gruppo di sminatori pacifisti, in ‘Da 5 Bloods – Come fratelli’ di Spike Lee

L’attivista moderno non è un influencer – sia mai! –, quanto un divulgatore di contenuti creati da lui stesso e dalla rete di attivisti moderni che segue e sostiene. Il che non è un fatto di poco conto e spiega come mai in un’unica giornata si venga bombardati da più parti dal medesimo post (perdonatemi, contenuto) condiviso dalla maggioranza degli attivisti moderni. Che aggiungono sempre un commento, un invito alla lettura, una gif o parole d’incoraggiamento nei confronti del coraggioso lavoro svolto dai colleghi. E dato che non vogliono limitarsi, da fini linguisti quali sono – asterisco escluso – ricorrono a termini (chiaramente) in inglese per portare a galla istanze che fino a ieri non avevano turbato il sonno di nessuno. Catcalling, smartploitation, gerontocracy, fake positivity, allyship, incel, misgendering: nella lista ho inserito un termine totalmente a caso, sapreste dire qual è? Bene, anzi: male. Tra un po’ non lo saprei riconoscere manco io. L’attivista moderno, va da sé, si circonda di attivisti moderni, e insieme si auto-fomentano e montano, montano, montano, manco fossero albumi per una morbidissima torta. Sono una specie di cricca virtuale, gli attivisti moderni, che ogni giorno, con precisione chirurgica, ridefiniscono i confini dell’indignazione pubblica. S’interessano di parecchie cose, e viene spontaneo domandarsi di che campino concretamente, alla luce del tempo investito nel mastodontico sforzo di divulgazione gratuita. Ma d’altronde «i nostri corpi non sono strumenti di produzione per un sistema capitalista. I nostri corpi sono luoghi di liberazione» (che fatica, chissà che diavolo significa), quindi deduco che il lavoro, quello vero, sia un costrutto fascista, razzista eccetera eccetera, non degno d’essere menzionato se non per sottolineare puntualmente la disparità salariale tra uomini e donne.

L’attivista moderno non viaggia, non si diverte, non va in vacanza. O, meglio, evita di renderlo noto, poiché dedicarsi a tali attività renderebbe meno autorevole il suo attivismo. Peggio ancora, renderebbe egli stesso un privilegiato, dunque passibile del peccato mortale per antonomasia: il privilegio bianco. Nel corso della sua lunga estate calda, l’attivista moderno continuerà a denunciare abusi o prepotenze, magari da Capalbio, da Santa Teresa di Gallura o da un’isola greca: noi non lo sapremo mai, di certo però non abbandonerà la posizione orizzontale che tanto gli è cara e che gli consente una visuale a 360 gradi sulle storture che inquinano l’universo. Di certo, anche, non verrà meno il fuoco sacro che l’attanaglia appena incappa in una notizia sconvolgente, scioccante, rea di traumatizzarlo per almeno ventiquattr’ore – ossia la durata di una story su Instagram –, che sente il dovere morale di divulgare immediatamente sui propri canali. Chi se ne importa di verificarla, vuoi mai? Perdere minuti è cruciale ai fini dello sdegno, dunque tre, due, uno, ai posti, pubblica. Recentemente, un’attivista moderna aveva condiviso sprezzante un post che recitava più o meno «Google cancella da Maps la Palestina»: sono state ore di passione, durante le quali tanti, tantissimi attivisti moderni le sono andati dietro, finché qualcuno non le ha fatto notare che la news era vecchia, del 2016, e pure frutto, come spiegò allora il Guardian, di un «grosso equivoco». Fa niente, disse lei, che non rimosse le story ormai condivise (eliminare pallini concorre ad alimentare l’irrilevanza, aggiungo io) e non si cosparse il capo di cenere per aver concorso a diffondere una potenziale fake news. «È comunque un tema importante», puntualizzò, senza spiegare cosa fosse effettivamente importante: la questione palestinese? L’accuratezza di Google Maps? L’impossibilità di correggere story già pubblicate? La sua oggettiva naïveté?

Nella seconda stagione di ‘The Politician’, Zoey Deutch è una versione naïf di Greta Thunberg, sostenitrice “plastic free” del candidato al Senato di New York cui dà volto Ben Platt

Tendo a propendere per l’ultima ipotesi, ché degli attivisti moderni sono più l’ingenuità e la semplicità del pensiero a spaventarmi, in quanto capaci di smuovere e mobilitare le innumerevoli menti semplici che affliggono «l’intellighenzia pseudo-liberal», come la chiamano loro. L’attivista moderno vede soltanto la sua verità e non ammette contraddizioni, incoerenze o sfumature: si fa portatore di concetti facili, spendibili e presentabili, che mietono consensi presso chi non s’arrischia in ragionamenti complessi. L’attivista moderno, di fronte a un dubbio o a un disaccordo espresso dai non facenti parte della sua gang dell’attivismo, ha pronto il rimbrotto: razzismo! Fascismo! Sessisimo! Transfobia! Omofobia! E tu hai voglia a spiegargli che no, non sei affetto da nessuno dei suddetti morbi, che quel pezzettino lì ce l’aggiunge lui in maniera arbitraria, ma non ce n’è, non ci sente, lasciatevelo dire da una che in passato ha tentato, fallendo: non provateci nemmeno.

Talvolta, quando non ho nulla di meglio da fare, mi perdo a immaginare un ipotetico aperitivo o un’ipotetica cena tra attivisti moderni. Oltre a elencare le prossime vittime da mettere sul banco degli imputati (mi suggeriscono il settore immobiliare: master bedroom è una definizione che ha un retrogusto di schiavismo e colonialismo), tra loro ridono? E di cosa, avendo ormai soppresso tutto ciò di cui si potrebbe ridere? Non so se voglio addentrarmi lungo un terreno così scivoloso e insidioso, ma già che siamo qui lancio una proposta: anziché l’asterisco, perché non tornare a scrivere e parlare in latino? Potremmo ripristinare il neutro, far felice chiunque, risvegliare dal coma una lingua data per morta: non sarebbe una soluzione doppiamente, anzi triplicemente vincente? Ah no, che sciocca che sono, quasi dimenticavo: avete problemi pure con gli antichi romani.