Sperimentata per la prima volta come anestetico sul campo di battaglia durante la guerra del Vietnam, la ketamina è utilizzata come farmaco dagli anni Settanta per uso umano e veterinario in diverse aree del mondo. Nel XXI secolo la sostanza ha però conosciuto una nuova vita: prima come droga ricreativa, poi come potenziale trattamento per la depressione.
Il punto di svolta arriva nel 2006, quando uno studio del National Institute of Mental Health americano evidenzia i suoi effetti antidepressivi nei pazienti resistenti ai trattamenti tradizionali. Da allora la ricerca è esplosa e, con essa, le cliniche specializzate, spesso nate ai margini della medicina ufficiale. Nel 2019 la Food and Drug Administration ha approvato l’esketamina — un derivato della ketamina — in forma di spray nasale. Nonostante ciò, l’uso psichiatrico della ketamina rimane in larga parte non regolamentato e il farmaco viene sempre più spesso somministrato per trattare depressione, ideazione suicidaria e dolore cronico. In questo contesto, molte cliniche vendono esperienze olistiche più simili al mondo del wellness che a protocolli medici. Il rischio è che la ketamina venga banalizzata, promossa come un rimedio rapido contro lo stress, mentre i suoi effetti – anche psichici – possono essere profondi e imprevedibili.
Negli ultimi anni, negli Stati Uniti si è parlato con insistenza della ketamina, in un contesto già segnato dalla diffusione incontrollata di sostanze nate come farmaci da banco. Un caso emblematico è quello dell’attore Matthew Perry, morto nel 2023 a causa degli effetti acuti della ketamina che gli era stata somministrata illegalmente dal suo medico (e l’indagine giudiziaria relativa al suo decesso non è ancora terminata). Nel corpo di Perry sono state rinvenute anche altre sostanze, e l’attore soffriva di problemi coronarici. Dopo l’arresto del medico coinvolto, l’amministratrice della DEA Anne Milgram ha dichiarato in un’intervista alla CBS che l’agenzia intende perseguire con maggiore determinazione gli operatori sanitari che tradiscono il rapporto di fiducia con i pazienti prescrivendo farmaci in modo eccessivo o non necessario.
Allo stesso tempo, il processo di normalizzazione dell’uso terapeutico della ketamina è stato portato avanti da figure pubbliche rilevanti come Elon Musk. In un’intervista con Don Lemon nel marzo 2024 ha dichiarato di assumerne piccole dosi, circa una volta ogni due settimane, come trattamento prescritto per la depressione, anche se, secondo persone a conoscenza delle sue abitudini, l’imprenditore ne farebbe uso con molta più frequenza e spesso in combinazione con altre droghe.
Un recente articolo della rivista americana Slate racconta in modo dettagliato la crescita vertiginosa del settore della ketamina terapeutica negli Stati Uniti, mettendone in luce anche le molte storture. L’autrice, Taylor Prewitt, descrive cliniche come la Kuya Wellness di Austin o la Nushama Psychedelic Wellness Clinic di New York come luoghi che assomigliano più a spa di lusso che a centri medici: armadietti, corridoi poco illuminati, vasche fredde, saune e sale dedicate al rilassamento. Alcune strutture adottano un’estetica da caffetteria new age, con poltrone a gravità zero e “Moon Pods” ispirati al mondo psichedelico; altre offrono infusioni di ketamina nello stesso ambiente in cui si effettuano trattamenti estetici come il Botox. Per cifre che vanno dai 2.000 ai 5.000 dollari, molte di queste cliniche propongono una “ketamine membership” di due mesi, che include accesso illimitato a saune, vasche fredde, sessioni di galleggiamento in deprivazione sensoriale e, naturalmente, ketamina. Attualmente si stima che negli Stati Uniti esistano tra le 500 e le 750 cliniche di questo tipo, un numero in costante aumento. Secondo le proiezioni, il settore potrebbe raggiungere un fatturato di 6,9 miliardi di dollari entro il 2030.
La ketamina, come già accennato, è stata approvata dalla Food and Drug Administration (FDA), ma non per il trattamento della depressione. Tuttavia, i medici possono comunque prescriverla off-label per questo scopo: si tratta di una pratica legale e diffusa negli Stati Uniti, che consente l’utilizzo di un farmaco per indicazioni diverse da quelle ufficialmente approvate, a patto che il paziente fornisca il proprio consenso informato. Questa modalità di prescrizione non è dunque regolamentata e limita la disponibilità di dati relativi a quante persone ricevano il trattamento, in quali dosi e con quale frequenza si verifichino problemi di sicurezza. Lo ha spiegato alla rivista americana Salon il dottor Gerard Sanacora, psichiatra della Yale University e studioso degli effetti della ketamina. Sanacora sottolinea come esista una preoccupazione concreta legata al potenziale di abuso. Pur non essendo pericolosa quanto l’ossicodone o altri oppioidi, la ketamina può generare danni fisici, con effetti collaterali significativi sulla vescica e su altri organi. Fortunatamente, invece, dal punto di vista tossicologico la ketamina è ritenuta più sicura di molte altre sostanze, dato il suo basso potenziale di dipendenza che riduce la possibilità di causare gravi sintomi di astinenza fisica.
Tra infusioni abbinate a vitamine anti-age, sessioni di yoga, musica ambient e tè adattogeni, il rischio concreto è che la ketamina venga banalizzata, promossa come una soluzione rapida, consumabile in ambienti rilassanti e “wellness-oriented”, priva di effetti collaterali o conseguenze a lungo termine. In una società come quella statunitense, dove l’uso di farmaci psicoattivi, in particolare antidepressivi, è estremamente diffuso, questo processo è particolarmente preoccupante.
L’idea che un anestetico dissociativo venga trattato come un rimedio da centro benessere contribuisce a svuotarne la complessità clinica, riducendolo a un prodotto commerciale da consumare e dimenticare. A tutto ciò si aggiunge un evidente problema di accessibilità: i trattamenti con ketamina hanno costi elevati e non sono coperti dalla maggior parte delle assicurazioni sanitarie. Di conseguenza, si profila il rischio che una terapia potenzialmente utile si trasformi in un privilegio riservato a chi può permettersela economicamente. Medicalizzare il disagio psichico attraverso un farmaco ancora poco compreso, sottratto al controllo pubblico e inserito in un mercato guidato da logiche di branding, slogan e storytelling commerciale significa esporre i pazienti a una nuova forma di vulnerabilità.
