La guerra in Ucraina vista dalla bolla | Rolling Stone Italia
Società

La guerra in Ucraina vista dalla bolla

I reportage dei giornalisti e l’autofiction degli influencer, le pastiglie di MDMA contro le pastiglie di iodio, il mondo senza social e le distopie musicali ucraine: la nuova puntata della rubrica di Robertini & Piccinini

La guerra in Ucraina vista dalla bolla

Foto: UKRINFORM/Ukrinform/NurPhoto via Getty Images

G.R.: L’altra sera sono uscito, un’amica bartender mi ha invitato nel nuovo locale dove lavora, un ristorante e cocktail bar baltico. Nella lista il Soviet Mary, un bloody mary rivisitato con l’aringa affumicata essiccata e il distillato di rafano, era stato sostituito dall’Ukrainian Mary. Ecco Milano, ho pensato, ma non giudico, è così e basta. Poi sono andato alla presentazione del libro di Valerio Mattioli sulla musica di Aphex Twin, Autechre e Boards of Canada: sala gremita, ti ho mandato le foto? Cappelletti con visiera larga neri, bomber scuri, jeans stretti, quasi tutti uomini: l’estetica rave nostalgica è inquietantemente attuale, pareva un battaglione delle milizie bielorusse. Leggenda vuole che Aphex Twin custodisca in giardino un carro armato e un sommergibile, ma è folklore post hippie, e forse solo ieri ho sentito così tangibile l’aria di un pacifismo senza se e senza ma, senza sferzate di realpolitik. C’erano segnali di fricchettonismo post umano, pastiglie di MDMA contro pastiglie di iodio, l’algoritmo assordante della techno contro la narrazione emotiva del racconto della guerra su Tik Tok, nelle stories su Instagram, nei podcast.

A.P. Non hai tutti i torti sul battaglione bielorusso. Io come sai da qualche giorno sto in fissa con Dj Korolova. Olga Korolova. Ne ho scoperto l’esistenza proprio in un pezzo di Rolling Stone. Stava a Kiev, ma raccontava di essere partita col figlio piccolo per la Polonia dove si è rifugiata. Il marito è rimasto a combattere, lei la sera in un locale mette tecno ucraina. Si chiama dj Korolova ma pure dj Daqueen. Da qualche anno è una delle dj più famose al mondo, non lo sapevo, colpa mia. Allora sono andato a vedere i suoi video. È molto bella – di una bellezza algida, iperreale, instagrammatica se posso dire –, si fa riprendere frontalmente da una telecamera mentre accompagna con dei piccoli gesti di danza il suo set. Dietro ha i panorami: Goa, il mar Morto in Israele, non so dove in Argentina – queste tipiche cartoline da cafe del mar. E ho trovato un suo video di 40 minuti pure a Kiev sulla terrazza di un grattacielo: comincia di notte con la vista della luci della città e arriva alla luce dell’alba. Struggente. Korolova suona melodic techno e progressive house – leggo – cioè roba molto zarra e nondimeno con una sua gentilezza stilizzata, una specie di teatro kabuki. Cosa che a me è parsa proprio l’unico antidoto a questi giorni bui.

Korolova - Live @ Kyiv, Ukraine, 4K / Melodic Techno & Progressive House Mix

G.R. A proposito, tra le chiacchiere della bolla culturale milanese, in pieno Book Pride risuonava più e più volte un solo nome: Cecilia Sala. La conosci vero? La giornalista inviata di guerra, ex Vice, ex Santoro, ora Il Foglio, un podcast per Chora e un profilo Instagram da 313mila follower, che più influencer di così levati. Quindi ci sta che nella bolla ci sia un misto di invidia e stima, di sospetto e interesse. Come sopra, sospendo il giudizio, anche se non riesco a capire se oggi ci sia una differenza tra il reportage e l’autofiction, tra “ti racconto la guerra” e “ti racconto di me che sto andando a vedere che succede in guerra”.

A.P. Mah. Guarda io sono il primo a storcere il naso di fronte agli inviati dei telegiornali vestiti come soldati, l’elmetto e il giubbone con scritto sopra Press, le note spese, i mi sentite studio sono in onda e tutto il resto. Però a volte mi sembrano vagamente più comprensibili. Lo spettacolo della guerra è inevitabile. Cosa sarebbe stata la nostra letteratura senza Omero e la guerra di Troia, scusate tanto la retorica. Anche le miserie e le furbizie dello storytelling sono inevitabili, ma a me le storie della Storia non mi convincono tanto. Un mondo in cui sono tutti “ragazzi” e “ragazze”, dove è tutto un muoversi nell’estremo come uno dei quei reality sui ciccioni o sugli allevatori di tigri, dove le azioni individuali smettono di avere un qualche valore politico per essere gesti narrativi, boh io ho qualche dubbio. Chissà perché mi viene in mente la vecchia polemica contro La Storia di Elsa Morante che tutta la sinistra di allora fino a Pasolini giudicò kitsch, in cattiva fede, troppo lacrimevole eccetera. Questa è vita, è guerra e non letteratura, ma sui podcast vorrei ripensarci un po’. Poi al tempo della Morante i social non c’erano. Leggevo un editoriale stamattina su Domani: Usciamo dai social, basta con la logica binaria. Una schwa del pensiero, tipo.

G.R.: Ma te lo immagini un mondo senza Facebook e Twitter, senza Ikea, Google, Spotify, Apple e Microsoft? Sembra una di quelle distopie tanto hype un paio d’anni fa, col comandante russo Putin che porta la sua scassatissima flotta fuori dall’Occidente. Oppure una retromania accelerata e nichilista. Mi viene in mente un pezzo di un’intervista allo scrittore Michele Mari di qualche anno fa, aspetta che lo recupero, era sul sito del Tascabile:

«A me solo la parola “social” fa vomitare. Io sogno un mondo di gente silenziosa triste e implosa, un mondo autistico dove non ci siano happy hour, feste di laurea, feste di compleanno, feste aziendali, cazzeggi, risse, ubriachi. Fondamentalmente come modello di vita ho la DDR di Honecker, un mondo depresso dove tutti hanno la Trabant o la bici, dove non ci sono SUV, non ci sono stronzi, dove tutti i depressi tornano a casa la sera alle sei, si chiudono dentro col coprifuoco, si mangiano una minestra di cavolo e sentono Brahms. Mi sembra la cosa più vicina alla mia idea di paradiso».

A.P. Povero Brahms, non gli ha mai voluto bene nessuno. Nel frattempo non ho smesso di ascoltare techno ucraina, cioè di cercarla in giro per la rete. La techno è legata alla distopia, agli immaginari scuri e apocalittici. Insomma è l’inferno. C’è un musicista di Kiev, Bodya Konakov, che si fa chiamare Alien Body e ha dedicato un pezzo al mega aereo da trasporto Antonov distrutto dai russi. Lo ha chiamato “sogno” in lingua ucraina. Ripete la parola fino all’infinito con l’autotune su una base ambient. Ho sentito anche una certa Dimitrevna – se ho capito è una star dell’X Factor ucraino – che su una base di suonini elettronici canta la canzone antica sul soldato che parte per il fronte e saluta la mamma. “Non mi maledire – dice – non so neanche dove mi trovo/ Muoio in terra straniera e nessuno mi scaverà la fossa”. Uhm. Sai cosa? Che l’inferno vero sarà sempre più brutto di quello che possiamo immaginare, temo. E allora ho pensato a Shostakovich. Dimitri. Perseguitato dallo stalinismo al punto di vivere per tutta la vita nel terrore di essere arrestato. Inizia a scrivere la Sinfonia n.7 nella Leningrado assediata dai nazisti. Poi scappa. Scrive il famoso “tema dell’assedio”, un bolero di quasi venti minuti con un basso ostinato e un crescendo fino al parossismo. Tipo techno. Bellissimo. Finisce la guerra e tutti si aspettano che Shostakovich componga un monumento alla vittoria, un peana di cori e tromboni e radioso futuro. E invece no. La Sinfonia n.9 è una roba a metà tra una sinfonia di Mozart e una musica da circo. Perché lo fa? Perché è quello che veramente pensa. È una diserzione silenziosa, beffarda. Perché te lo sto raccontando? Boh.

G.R.: Questa settimana ho fatto fatica ad ascoltare i dischi nuovi di Tommaso Paradiso, Bresh, Dargen D’Amico. Sono tutti proiettati a una primavera post pandemica messa in pesante stand by dalle notizie dal fronte, ci vorrebbe una lunga tregua per ascoltarli bene. E meno tempo davanti al computer o alla tv a seguire che succede, come mi rimprovera Antonio Scurati in un pezzo sul Corriere. Da bravo boomer lo scrittore dice che assistiamo mollemente a uno spettacolo televisivo dai nostri divani, mentre “nel medesimo istante si uccide e si muore”. “E ci riscopriamo sgomenti e indifferenti”. Ma che, mi devi davvero venire a fare la morale? Non basta stare di merda, no? Allora sai che c’è? Te lo faccio vedere io che cosa posso fare dal mio comodo divano. Chi finanzia e sponsorizza la Champions? Gazprom. E che c’è martedì? Liverpool – Inter. Ecco, la mia sanzione, il mio boicottaggio: martedì faccio zapping tra Floris e Berlinguer. Che tanto si sa che perdiamo.

A.P. Fermati! La notizia è che la Uefa dopo aver annullato la finale di Champions a San Pietroburgo, ha stracciato il contratto di sponsorizzazione con Gazprom. Non so dove andranno a prendere i 40 milioni che garantiva Putin al nostro giocattolo preferito, il calcio, ma la Champions è salva. Tutti davanti al tv martedì. Inter Liverpool. Tanto perdete lo stesso.

Altre notizie su:  Boomer Gang opinione