La fila del supermercato: racconto di un orrore possibile | Rolling Stone Italia
Società

La fila del supermercato: racconto di un orrore possibile

Un uomo con i guanti si gratta la faccia con un dito. E parte un assurdo telefono senza fili tra le persone in coda dietro di lui: se non cambiamo atteggiamento, questo giorno di ordinaria follia potrebbe diventare realtà

La fila del supermercato: racconto di un orrore possibile

Foto: Getty Images

NB: questa è un’opera di finzione. E speriamo con tutto il cuore che rimanga tale.

Un uomo dal collo sottile, in coda per la cassa del supermercato, si gratta la faccia con un indice guantato.

Fuori, al di là delle vetrate, lo sta guardando una signora, capelli bianchi e cotonati, appoggiata al suo carrellino della spesa. “Certo”, dice la signora, “che quello non è il miglior modo per coprirsi uno starnuto”.

“Chi ha starnutito?”, le chiede il ragazzino con la visiera, 90 centimetri dietro di lei, in fila sul marciapiede.
“Quell’uomo con la cravatta” dice la signora, “e si è coperto così”, rizza l’indice davanti alla faccia.

“Avete sentito?”, il ragazzo si volta verso le retrovie della coda, “un tipo con la cravatta, là dentro, ha mollato un gran starnuto infetto e si è coperto così”, tende il braccio e il mignolo al di sopra della testa.
Gli occhi della fila si levano verso quelle tre corte falangi come a osservare un enorme asteroide infuocato che si avvicina al pianeta a velocità supersonica.

“Com’è fatta la cravatta?” fa una tizia, in dodicesima posizione, con la sciarpa fucsia avvolta attorno alla faccia.
Tutti si concentrano sulla signora in prima posizione, qualcuno mima con la mano la cravatta davanti al petto.

La signora assottiglia gli occhi, non è sicura di aver capito, ma per non saper né leggere né scrivere grida: “Sì, ha la cravatta”.

La sciarpata dice: “Ci scommetto, è quello che ha sempre la cravatta regimental e Il Sole24Ore sotto braccio”.

“Cioè?” le chiede il rider di Deliveroo, evidentemente in pausa, dietro di lei, e con un passo riduce la distanza da 95 a 85 centimetri.

La sciarpata fa: “Un radical chic del cazzo”.

“Ha la cravatta regimental?” urla il rider alla signora cotonata.

“Cravatta regi che?”, chiede lei.

“Regimental” ripete il ragazzino con la visiera.

“Ah”, dice la signora, fingendo di sapere cosa significhi.

Intanto nella fila una voce baritonale, un sottofondo tellurico, fa: “Bisognerebbe pestarli a sangue, questi stronzi, poi vediamo”.

Con un dito la signora cotonata sposta gli occhiali in su, oltre la gobba del naso, e guarda dentro di nuovo. Poi si rivolge ancora alla fila: “La cravatta non la vedo, c’è il riflesso, ma ha appena tirato fuori dal carrello una bottiglia di champagne”.

“Che vi dicevo?” la sciarpata scuote le spalle.

Qua e là nella coda montano mugugni come le prime bolle dell’acqua sul fuoco: “bastardo”, “la gente muore”, “lui beve champagne”, “tanto che gliene frega”, “clinica privata”, “la finanza”, “l’hanno fatto apposta, “pezzo di merda”.
La voce baritonale dice: “È ora di finirla”.
Il rider grida: “Ma la mascherina ce l’ha?”
La signora scuote la testa.
Un uomo in calzoncini, circa a metà della fila, dice: “Sono esaurite, magari non l’ha trovata”.
Il rider misura l’uomo dalla testa ai piedi – scarpe da ginnastica, felpa, fascia attorno alla testa – e fa: “Come minimo tu sarai appena andato a correre”.
“No” dice l’uomo, “mi piace vestirmi così”.
“Sì, col cazzo, io mi spezzo la schiena sulla bici, rischio contagi a casa di voi stronzi, e tu vai a fare la tua corsetta di merda”.
L’uomo in calzoncini finge di non avere sentito: lo sguardo verso l’ingresso, allunga il collo e urla: “Brutto stronzo!”
“Sì, brutto stronzo!” gli fa eco qualcuno, “brutto stronzo” ripete anche il rider tornando al suo primo bersaglio.
L’uomo in felpa respira e l’aria di Milano gli pare straordinariamente fresca e buona.
“Nemmeno io ho trovato una mascherina” dice la sciarpata, “eppure, almeno per proteggere gli altri, una soluzione l’ho trovata”, si indica la bocca coperta dal tessuto fucsia.
La signora canuta non ha mai perso di vista l’uomo dal collo sottile. Che sta imbustando la spesa. Una busta di plastica non si apre. L’uomo soffia per separarne i lembi, ma niente. Allora si toglie un guanto e lo appoggia sulla cassa.
“Adesso si è pure tolto un guanto” grida la signora.
“Basta” ringhia la voce baritonale, “ora mi sono rotto i coglioni”. La voce appartiene a un cinquantenne in giubbotto jeans, gli zigomi sporgenti, che se ne stava rannicchiato dietro un bidone dell’immondizia in ventiduesima posizione. Apre il suo mini trolley, rovista dentro i sacchetti sul fondo della valigia, e sotto il sole di marzo luccica una pistola 9 x 21 millimetri.
Il tipo dalla voce baritonale rifila un calcio nervoso al mini trolley, che finisce sotto il cassonetto, e si avvia a grandi falcate verso l’ingresso del supermarket.
La gente gli libera il passaggio. Qualcuno con spavento, qualcuno con curiosità, qualcuno senza riuscire a nascondere un vago piacere.
“No, aspet” dice l’uomo in calzoncini. Quello con la pistola gliela punta in fronte e allora lui si fa da parte e abbassa lo sguardo.
Nessuno fiata più.
Quando vede il tipo armato, l’addetto alla sicurezza che presidia l’entrata al di là delle porte automatiche sta per mettere mano alla cintura, ma è troppo tardi. “Dammela qua” dice il baritono indicando, con la propria, la pistola dell’addetto. “Ok”, dice lui, “ma sta’ calmo”, gliela allunga e quello se la infila nelle mutande.
Una madre, il figlio di otto o nove anni a manina, grida con la voce violenta e stridula di una ghiacciata sull’asfalto: “Andrà tutto bene”.
Il baritono rivolge la canna verso il tizio con la cravatta.
“E il guanto?” gli dice.
“Me lo rimetto subito” fa quell’altro trafficando con la mano tremante.
“E la mascherina?”
“Erano esaurite”.
“Non si trovano, è vero” dice la cassiera, e il baritono le rompe il naso con una gomitata.
Torna con sguardo e pistola all’uomo con la cravatta. “E lo champagne?”
“È franciacorta” il minacciato forza un sorriso deforme.
“Cambia un cazzo” dice quella faccia appuntita dietro la pistola.
L’incravattato scuote la testa, strizza gli occhi, balbetta: “Questo vino mi” dice, “mi pia-piace”.
“Io non ho neanche i soldi per l’acqua minerale” fa il baritono.
Con movimenti scattosi quell’altro estrae dal portafoglio una banconota da 50, guarda il tizio con la pistola, poi ne estrae anche una da 100. “Pre-prenda”, gliele allunga.
Il baritono le afferra con la sinistra e se la caccia nella tasca dei pantaloni.
Quasi quasi se ne andrebbe. Ma il suo sguardo si ferma sul collo sottile che spunta dal colletto incravattato: la pelle diafana, si vedono le vene pulsare, il tutto dà un’impressione di fragilità, si potrebbe staccargli la testa con un cricco, quel pomo d’Adamo come un brufolo da schiacciare, il tutto è fastidioso, moribondo, da finire.
Il tizio dal collo fragile, con un filo di voce, fa: “Le do altri cen”.
Bum! Gli si apre un buco rosso in mezzo alla fronte.
Il baritono infila la pistola nella tasca destra ed esce tra paia di occhi richiusi e di mani alzate verso i ventilatori che continuano imperterriti a diradare i germi nell’aria.

Altre notizie su:  opinione