Kim Gordon è (molto) meglio di ‘Supersex’ | Rolling Stone Italia
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Kim Gordon è (molto) meglio di ‘Supersex’

Dalla serie Netflix che ripercorre 'i dolori del giovane Rocco' a Kim Gordon, che invece di fisime e patimenti non ne ha mai voluto sapere

Kim Gordon è (molto) meglio di ‘Supersex’

Foto: Paul Natkin/Getty Images

Alberto Piccinini: Ma niente, sto andando avanti una puntata dopo l’altra di Supersex per capirci qualcosa. Intanto ho capito qual è il segreto delle serie tv: se vai a dormire alle 3 dopo la quarta puntata o alle 3 e 45 dopo la quinta cosa cambia? E a quel punto dieci minuti della sesta che male ti possono fare? Sogno una semiotica dell’attenzione e del pisolino, l’avrà mai scritta qualcuno? Barthes, Greimas, i grandi? Mi sa di no. Prima di cominciare avevo letto l’osannante Carzaniga da Berlino, quindi la pensosa critica del Guardian, poi il più cinefilo e misurato Marco Giusti però pazzo di Gaia Messerklinger, l’attrice che nella serie fa Moana. Ma come Moana, era meglio la malinconica Violante Placido della vecchia serie, oppure l’algida Gaia? Boh. Vedo che Gaia da ragazzina ha partecipato a un curioso video di Moby OhYeah regia di Matteo Bernardini dove si fa la parodia patinata di due porno vecchio stile, il ragazzo della pizza e il carwash, regia di Matteo Bernardini, carino me l’ero dimenticato magari l’hanno presa per quello anche perchè adesso fa Il paradiso delle signore. Comunque secondo me il primo crollo la serie ce l’ha quando rifà la prima inquadratura di Fantastica Moana, esordio hard del 1985 con Rocco, Pontello e Moana, regia di Riccardo Schicchi, nel parchetto di Torpignattara dove vado a correre la mattina. Cose mie vabbè, però già che erano le 4 del mattino che male ti fa rivedere Fantastica Moana rubato a un sito porno in versione restaurata? Come ricordano i cultori di queste cose il film racconta il delirio telepatico di Gabriel Pontello, l’originale Supersex, che desidera Moana fotografata su un enorme felliniano cartellone rosso con talmente tanta mentale ossessione che quando lui scopa gode anche lei, a distanza. Capolavoro, che te lo dico a fare. E ho capito finalmente alle 5 del mattino che Rocco Siffredi non è il re del porno ma colui che ne ha accompagnato la mesta decadenza: dai sogni felliniani sovversivi di Riccardo Schicchi – possibile che ogni volta che lo rifanno in tv dev’essere una specie di caricatura? Qui l’attore Vincenzo Nemolato – ai pornoparodia anni ’90 tipo Tharzan, Dr. Rocco e Mr. Sodo, fino alle ospitate tv e ai gonzo che annunciano l’arrivo del porno online cioè la vera bomba atomica, la fine di qualsiasi valenza sovversiva del sesso.

Giovanni Robertini:Devo confessarti che non ho mai creduto neanche nel porno intelligente femminista contro il patriarcato, con tanto di sceneggiature e dialoghi consapevoli e inclusivi. Quindi di una serie dramedy sui tormenti del povero Rocco ne avrei fatto volentieri a meno, benché scritta da una donna. Immagino le riunioni del team di produttori Netflix: “Il sentiment su un biopic di Siffredi è ottimo, i nostri analisti marketing suggeriscono di non usare la parola porno nel titolo, basta sesso, chiamate un intimacy coordinator che va di moda, occhio alle polemiche delle femministe, paratevi il culo in qualche modo, contemporanei ma non woke”. Sono gli stessi paraculissimi produttori Netflix che hanno recentemente messo sulla piattaforma Nuova Scena, il talent sul rap, cringiata suprema forse già nelle intenzioni oltre che nel risultato. La puntata finale ha decretato la vittoria di Kid Lost, rapper campano ripulito: buoni sentimenti al posto di balaklava e mitra, vittimismo e voglia di rivalsa tipo fiction Rai, e il lieto fine dell’uscita metaforica dal ghetto grazie ai 100k del premio finale. Troppo fake anche per Spotify o Sanremo, spero che i ragazzini non ci caschino. Ho appena finito di leggere il libro di Ian Penman, pensoso e radicale critico pop di NME, The Wire e del Guardian su Fassbinder. È un saggio sulla cultura e l’arte degli ultimi decenni del secolo scorso a partire dalle opere del regista tedesco, ed è scritto per frammenti, aneddoti e aforismi. Ne ho sottolineati un sacco, e uno mi sembra perfetto per i produttori Netflix: “All’epoca non esisteva una cultura, come dobbiamo dire oggi, in cui ogni tuo minimo pensiero o sogno, ogni tua minima azione, nasceva già con attaccato il cartellino o la bandiera giusta. All’epoca cercavamo di distruggere l’io, non di definirlo”.

Alberto Piccinini:Se vuoi applicare questa cosa al porno si potrebbe dire che il porno politico di Schicchi e Moana voleva distruggere l’io abbattendo ogni soglia del pudore e del privato, invece il Rocco Siffredi maturo con la sua contabilità di misure, prestazioni, partecipanti, anticipa il porno contemporaneo delle etichette hard blonde skinny 18 anal, quella roba lì che simbolicamente recinta e chiude il discorso. È per questo che ascolto da ieri il nuovo album di Kim Gordon The Collective, una bomba indie-trap ispirata al romanzo di Jennifer Egan La casa di marzapane, con il rispetto che si deve a un monumento dell’arte contemporanea. Nel videoclip I’m a man c’è una decostruzione del maschile con un tocco da vecchia avanguardia (regia di Alex Perry, l’attrice è Coco Gordon Moore). Segnalo una conversazione tra Kim Gordon e Chloe Sevigny pubblicata di recente da Interview (Chloe e Kim per questa rubrica stanno al livello di Fantastica Moana, anche oltre), dove Kim Gordon racconta di avere conosciuto il beatmaker del disco Justin Reisen in un ristorante di Los Angeles fighetto e molto stretto. “Nel tavolo vicino al nostro c’erano un tipo e la sua tipa che parlavano della loro vita sessuale. Ci siamo guardati e ci siamo messi a parlare insieme. Lui diceva che suo fratello era un produttore, aveva lavorato con Sky Ferreira (…) Dopo un po’ mi è arrivato un dm”. Capito che scena? Ifix Tcen Tcen. Senza tutte le fisime e i patimenti di Borghi, Netflix e Supersex.

Giovanni Robertini:Quello che c’era da dire su Kim Gordon l’hai già detto. Il suo orgoglio boomer è la nostra unica speranza. E pure il suo radicalismo. Nell’intervista su Rolling al Maurizio Zoja dice: “Da parte mia il pop non lo considero proprio, non ci penso mai e non è il mio mondo. Quella dei Grammy non è la mia idea di successo: per me è come se certe cose succedessero in un Paese straniero”. Una frase da vecchi tromboni, che detta però dalla musa di una generazione alternativa suona come un monito di Mattarella, un richiamo ai valori della Costituzione. Poi sarà Taylor Swift forse a salvarci da Trump, e non Kim, ma questi sono dettagli.

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