Io, musicista apartitico, chiedo una firma per bloccare la deriva fascista | Rolling Stone Italia
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Io, musicista apartitico, chiedo una firma per bloccare la deriva fascista

Parte da Stezzema, luogo dell'eccidio del 1944, una proposta di legge contro la propaganda fascista e nazista. È il momento di prendere posizione e contribuire a scongiurare il peggio

Io, musicista apartitico, chiedo una firma per bloccare la deriva fascista

Questo è un articolo di natura politica. Dubito che verrà letto da molti, proprio per questo motivo. Comprendo la necessità del disimpegno, e la pratico anche io quando ne ho voglia, ma qui c’è di mezzo qualcosa che va fermato. E io cerco solo di contribuire a questo qualcosa invitando la gente a una firma collettiva (volete uno slogan a buon mercato? “Una firma ferma”), dovuta e necessaria da parte di tutti coloro che sanno di non voler regredire alle forme autoritarie che in Europa e nel mondo mordono per affermarsi sempre più. Una mascherina indossata non è come una prigionia per un dissenso espresso. Neanche un lockdown è paragonabile: un qualsiasi carcerato vero sarebbe in grado di raccontare il suo sdegno per un accostamento tanto improprio.

Sulla base di questa differenza eclatante vi invito a leggermi dunque, passando ovviamente per un po’ di narrazione, che come molti avranno forse compreso è lo scopo principale per cui scrivo qua, cercando di offrire la piacevolezza della lettura (è solo una speranza) a chi ama leggere le cose scritte in un certo modo, per brevità: non semplice, ma affabulatore. Ecco perché i miei articoli sono così lunghi in un luogo (la rete) in cui la brevità è altamente consigliabile: è un rischio che conosco e che mi assumo, perché così amo scrivere e così c’è chi mi ama leggere. A ognuno il suo stile. E a ognuno le sue piacevolezze. In questo caso, prima di arrivare al dunque, leggerete: dei Marlene a-politici, del concetto dell’arte per l’arte, delle torri d’avorio, delle scopate comuniste, dei gruppi punk dell’hardocre degli anni ’80, in particolare dell’anarco punk dei Crass e simili, della compilation Materiale Resistente, patrocinata dal CPI di Ferretti, Maroccolo, Zamboni & Co., di ballonzolii d’adipe e gocce di sudore sotto il sole. E poi il succo dell’articolo, che vi lascio come finale da scoprire.

Ho sempre nutrito un certo disinteresse per l’impegno politico in arte. Un disinteresse forse snob, forse immaturo, forse incosciente, di sicuro incentrato su una mia sensazione ben precisa (non oso usare la parola “credo”), ovvero l’idea ben famosa dell’arte per l’arte, che implica in maniera più o meno incisiva il distacco sovrano (ops, che termine ambiguo, e che immagine desueta, quasi da vergognarsene) dalle contingenze sociali e dalle loro implicazioni per l’appunto politiche. Un’attitudine, per dirla breve, che riconduce all’altrettanto famosa torre d’avorio in cui in realtà mi sono sempre ben guardato dal rifugiarmi, perché nonostante le apparenze e quello che ho detto fino qua io sono sempre stato un uomo collocato sufficientemente a sinistra da non dimenticarmi mai del mondo e delle sue difficoltà, fra le ingiustizie delle sperequazioni e i malesseri dei disagiati. E non solo non me ne sono mai dimenticato dall’alto di un attico che non ho mai avuto, come il radical chic che non sono mai stato, ma ho avuto, fra la più parte dei miei amici intimi e conoscenti, persone di estrazione piccolo borghese (io pure sono di quel “partito”), se non anche proletaria. Quindi il mio distacco era più che altro un vezzo, perché mi piaceva simpatizzare per quel tipo di artista che appare sganciato dal mondo e ben sistemato nella sua bolla di ingenuità e creatività, o agganciato a esso (mondo) per le sole bagatelle della quotidianità.
Se dunque sentivo puzza di impegno politico a definire le motivazioni di un processo artistico, istintivamente accordavo meno simpatia all’artista in questione.

Era soprattutto la qualifica “comunista” che mi metteva un po’ in difficoltà (in questo momento penso a un regista sublime come Ken Loach, che ho sempre saputo di dover rispettare ma di cui non ho mai avuto molta voglia di vedere i lavori: quanti errori sa farti commettere il pregiudizio a volte!). La parola comunista non instillava certo in me quell’odio sempre più in voga e sempre più fomentato da algoritmi dispotici e politici spudorati, pericolosi e temibilissimi, ma mi restituiva un immaginario (tra t-shirt di Che Guevara e bonghi suonati al ritmo dell’hashish) che dal concetto di militanza in avanti mi allontanava dalle mie fascinazioni, perse tra frasi letterarie costruite col fasto di una scrittura talmente compiaciuta di se stessa da essere giocosamente fuori dal mondo, e note di chitarra (ah, i Sonic Youth!) che amavano esibire di se stesse la futile, sublime gloria di incastri e stridori meravigliosi.

Con alcuni dei miei più cari amici del me diciotto-ventenne ironizzammo una volta su due tipe di Cuneo, che dalla testa ai piedi, secondo il nostro occhio un po’ troppo malizioso, esibivano una estetica di sinistra (saprete di quelle parole fulminanti di quel genio di Gaber, quando indicava ciò che è di destra e ciò che è di sinistra, elencando una sfilza di oggetti, situazioni, cose e modi di essere da collocare di qua o di là, con la precisione del vero artista). È sempre stato un luogo comune ben preciso, e secondo me da certi punti di vista suffragato dai fatti e da altri piuttosto inconsistente, quello di una qualche differenza fra l’esser donna di sinistra e l’esser donna di destra, in molte cose incluso l’ambito erotico (vi prego, non scalpitate), e noi quella volta ironizzammo su quelle due pensando alla loro scopata, che altro non poteva essere, nella nostra mente irriverentemente frivola, se non una scopata comunista (credetemi, non c’era dietro a tutto ciò niente di strutturato: era una affermazione istintiva e giocosa, gratuita e priva di pregiudizi reali o preconcetti idioti, che non ci avrebbe certo impedito di scoparcele se per qualche motivo ciò avesse dovuto e potuto succedere). Ma ecco, era per dire…

Mi rendo conto mentre scrivo che fui però un fervido ammiratore del punk anarcoide e militante. Non c’era forse il comunismo di mezzo (chissà, ora non ricordo bene le varie tipologie di gruppi), di sicuro c’era l’anarchia, che è pur sempre una militanza che viene prima delle esigenze meramente artistiche… Ho ascoltato molto i Crass, i Flux of Pink Indians, i Subhumans, i Conflict, i Rudimentary Peni, i Dead Kennedys, gli MDC, i Discharge, e dunque questa parrebbe una piccola contraddizione rispetto alle parole soprastanti, ma io so bene cosa mi attraeva, molto più che l’ideale anarchico: quel senso di disperato nichilismo esistenziale che promanava dalla più parte di essi (e in tema di nichilismo esistenziale si dovrebbe poi andare alle magnificenze di band successive come i Flipper, i Minor Threat, progenitori dei Fugazi, gli Hüsker Dü, i Germs, i Membranes, i Black Flag, i Fear, i Faith, i Void… ma poi da qui bisognerebbe proseguire per includere le varie diramazioni e successivi sviluppi, procedendo con gli anni e le tendenze, e poi accennare al glorioso punk italiano… eccetera).

In ogni caso: i miei eroi (i soliti noti, che lo sono ancora e ormai penso sia inutile ripeterli) li si poteva tranquillamente collocare nella torre eburnea, e di certo non ci sarebbero stati male, almeno nell’immaginario di chi lì li voleva mettere e vedere.

Credo che tutte queste cose abbiano legittimato l’immagine dei Marlene corrispondente e conforme: ovvero di una band sul suo satellite personale, un po’ sganciata dalle contingenze e sicuramente aliena alle sconcezze della politica. Ci piaceva quell’immagine, e ci piaceva la pretesa di narrare e musicare dinamiche, diciamo, di natura esistenziale, approfondendole in un contesto di natura eminentemente poetica (che non vuol dire fare poesia, sia chiaro), fra afflati sospirati, urla di frustrazione, esibizioni spudorate di derive erotiche, descrizione minuziosa di disagi, affanni e ansie, e il compiacimento di riflessività in pericoloso equilibrio tra posture filosofeggianti e autoreferenzialità metatestuale, fra ricerca candida e ingenua della bellezza e sussurri paciosi d’amore. Niente intromissioni politiche, niente slogan, niente accuse a fazioni opposte. Eppure, attenzione, con ben radicato in noi il senso civico dell’esibizione dell’appartenenza, ogni volta che serviva, il caso più esplicito essendo la nostra partecipazione al Materiale Resistente, compilation di chiara matrice partigiana fiera oppositrice del fascismo e delle sue aberrazioni. O le nostre decine e decine di performance live ai vari festival dell’Unità.

Ed ecco allora che in realtà i Marlene erano e sono ben collocati a sinistra, senza alcun fanatismo ma con la semplice rivendicazione di alcuni valori per noi fondamentali: stare sempre e comunque dalla parte dei più deboli, esercitare l’accoglienza, provare idiosincrasia per le barriere, cercare di garantire a chiunque la possibilità di esprimersi nella vita (ciascuno di noi nasce con un suo personale talento, l’importante è esser messi in condizione di trovarlo), difendere e promuovere i diritti civili e sociali per tutti, cercare sempre la via del dialogo per risolvere i conflitti fra individui o gruppi, rifiutare sempre e comunque la guerra, tutelare l’ambiente. Tanti dei valori or ora elencati presentano problematiche ben più complesse del semplice buonismo d’ordinanza, ma ciò non vuol dire rinunciare alla loro urgenza teorica e prioritaria, per la quale sempre combattere evitando la loro dismissione. Perché la loro dismissione porta nei luoghi pessimi degli autoritarismi, deriva ultima di passaggi intermedi che hanno nomi tipo sovranismi, populismi e compagnia bella.

Ebbene: all’epoca di Salvini al Papete, pronto, fra il ballonzolio d’adipe e le gocce di sudore al gin tonic, a chiedere agli italiani i pieni poteri, i Marlene esplosero di un senso d’allarme impaurito (il tizzone si era già acceso da tempo). Dal nostro punto di vista, dopo mesi di angherie di varia natura e di marca autoritaria (su tutti la Digos mandata nelle case dei cittadini a far togliere legittimi striscioni con su scritte parole altrettanto legittime volte a esprimere il dissenso nei riguardi dell’esponente della Lega, quando faceva la sua perenne campagna elettorale pagato dai soldi di noi tutti), la situazione era in serio pericolo. Ci esponemmo dunque sui social con post pieni di senso etico e civico, ad esempio digitando la nostra indignazione per casi deplorevoli come quello della Diciotti, dove esseri umani venivano lasciati a marcire su navi sporche e inospitali per pura propaganda politica (un fenomeno in voga di questi tempi, che non riguarda certo solo noi purtroppo… e meno male che Trump non c’è più: un cattivo esempio in meno). Venimmo attaccati da molti, e per quanto lo avessimo messo in conto la cosa ci ferì (non abbiamo lo stigma degli eroi). Fu piuttosto emblematico il caso di molti nostri fan (o meglio: alcuni) che ci vennero a dichiarare la loro delusione (chi con parole a modo chi con toni aggressivi e minacce di abbandonarci), dicendo che ci preferivano in quella versione che ho poco sopra tentato di descrivervi: avulsi, sganciati, distaccati, impassibili, indifferenti, alteri. Fortunatamente altri nostri fan fecero notare loro da dove provenivamo (culturalmente e geograficamente, essendo Cuneo e le sue valli culla di resistenza partigiana), e ricordarono loro Materiale Resistente, i concerti ai festival dell’Unità, le nostre versioni de Il partigiano e di Bella ciao (fatta con Skin proprio in quei giorni).

Non c’era verso di far capire le nostre ragioni: a noi interessava semplicemente far riflettere la gente e metterla in guardia. Non tutti sono fascisti dentro: molti sono semplicemente popolo manipolabile (non è una esternazione classista questa), e era in atto una vera e propria strategia di manipolazione che stava funzionando (e funzionava anche l’intimidazione: quanti dei nostri colleghi silenti in quel periodo… quanto paura di perdere pubblico… la cosa ci feriva altrettanto). Sono sempre stato del tutto favorevole al principio dell’alternanza: governi di destra e sinistra, più o meno moderati dall’una e dall’altra parte, sono, secondo me, il principio sano della democrazia, che si autocontrolla proprio in questo dinamismo. Ma l’ultra destra no, per nessun motivo: anche perché con essa al potere cesserebbe proprio quel dinamismo sano. E su questo desideravamo contribuire per la riflessione della gente, per aiutarla a non cedere a certe lusinghe scongiurando il peggio. Una sorta di dovere etico, laddove per contro molti (hater e sedicenti ex fan) venivano a ringhiare nelle nostre pagine, fibrillati dagli algoritmi, con il famoso “pensa a suonare” di impostazione trumpiana, importato in Italia intuite bene da chi. (Apro una parentesi: in America attori, registi, musicisti, letterati, e tutto l’estabishment culturale, mainstream o underground che fosse, non esitò a schierarsi pesantemente mettendoci la faccia per combattere il mostro coi capelli arancioni, e proverbiali furono molte affermazioni davvero molto forti. Qui in Italia, ahimé, non si può dire che accadde la stessa cosa. So di scandalizzare molti con quello che sto per dire ora, ma io vidi in Travaglio, Scanzi e Landini gli unici tre individui di grossa risonanza avere il coraggio di ingaggiare una lotta, che se fosse andata male li avrebbe magari condotti dritti dritti in prigione… Sapete com’è: il dissenso in un regime autoritario non va tanto per il sottile. Avete presente la Turchia? Vi invito a rifletterci su prima di shitstormizzarmi. E poi le Sardine… Per noi fantastiche, come fantastica è Greta Thunberg, a cui in qualche modo si è sempre mossa la stessa tipologia di accuse, in minuziosa osservazione delle righe della pelle del dito che indica la luna, posta là dietro, del tutto invisibile sullo sfondo nonostante sia in verità piena, rotonda, imperiosa, e chiara di quel chiarore lunare eterno e celeberrimo. Per inciso: non sono mai stato un fan di due in particolare di quei tre personaggi nominati, ma dall’epoca della lotta da loro ingaggiata divenni un ammiratore di quello che per me era il loro coraggio, con gratitudine).

E allora cos’è quel qualcosa che sta accadendo e di cui vi parlavo in apertura? Che cosa si deve… fermare con una firma? Ci si ricollochi con la mente a Sant’Anna di Stazzema. Paesino della Toscana. Agosto del 1944. Un eccidio a opera dei nazi-fascisti: 560 fra donne, bambini e anziani. Quella strage è una delle più efferate della storia italiana legata a quel periodo nefasto. La guerra è la guerra purtroppo, e le efferatezze in guerra avvengono da ogni dove: non è necessario revisionare un bel nulla per arrivare a comprendere che le brutture delle guerre fanno danni terribili a destra e a manca, e le colpe e le innocenze si mescolano in una matassa difficile da districare. Però se si è antifascisti e antinazisti si ricordano con particolare brivido di orrore i soprusi subiti, e va bene così, e chi sta pensando alle foibe pensi alle foibe, e andrà anche bene così. Io so solo che nazismo e fascismo sono il male, così come è male, senza se e senza ma, qualsiasi regime autoritario. Bene: da Stazzema è nata una iniziativa lodevole, ovvero una raccolta di firme per arrivare alla proposta di una legge di iniziativa popolare contro la propaganda fascista e nazista, che è montante in rete e che fareste bene a sforzarvi di intercettare, per crederci e farvi venire il giusto timore.

Si può (si deve) andare nel proprio comune di residenza e firmare: chiunque ha a cuore questa cosa, si spaventi, pensi al peggio, e vada a mettere una firma per contribuire a scongiurare questo peggio. Esiste anche una pagina Facebook. Fatela girare, diffondete…

Perché, vedete, quando noi cominciammo a osare coi nostri post (si parla di due annetti fa suppergiù), sfidando lo shitstorm e beccandocelo, già sentivamo che quella parola “fascismo” non era fuori luogo. A nominarla però venivi tacciato di eccessi e sproloqui, subendo anche possibili derisioni o alzate di spalle (e mica solo da destra…): l’intellighentija faceva paragoni e tarava coi diversi pesi che ciascuna epoca porta con sé, e ironicamente sosteneva che il fascismo non poteva più tornare. (E io dentro me dicevo: beh, non volete chiamarlo fascismo? Comprendo. E forse avete ragione. Ma inventate allora un altro nome, che indichi qualcosa di assolutamente simile nella sua formale diversità). Ora, come potete vedere, il pericolo è percepito come reale, ed è diffuso: i rigurgiti ci sono e la propaganda è in atto (di pochi giorni fa un aberrante manifesto. Un comune si rende promotore di una iniziativa per sensibilizzare la gente a non essere indifferente («Odio gli indifferenti» diceva Gramsci). Se tenete alla libertà sono segnali da non ignorare.

Ripeto: l’alternanza al Governo per me è sana, ma fra una destra e una sinistra che siano umane e comprensive dei valori cardine delle conquiste dell’occidente. L’ultra destra no, no e ancora no. Abbiate sempre paura della privazione della libertà, e quando pensate a questo pensate al carcere (reale) in cui si finisce per aver espresso una opinione contraria. Non pensate al lockdown per un virus. Sono cose differenti, assai differenti.

Serve una semplice firma.

Fine dell’articolo politico.
Anzi no, beccatevi Ennio Flaiano: «Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, alacre, plagiatore, manierista. Non ama la Natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi: ma è cafone, cioè ha le spocchie dell’arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuol essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre. Le madri sono generalmente fasciste».

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