Incubo ad alta quota: e così squillarono i cellulari | Rolling Stone Italia
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Incubo ad alta quota: e così squillarono i cellulari

Esiste qualcosa di più irritante di chi parla al telefono in continuazione, magari ad alta voce, nel sedile a fianco al nostro sul tram, in metropolitana, in sala d’attesa? Finora no. Poi è arrivato il primo via libera dall'Europa per le telefonate in volo

Incubo ad alta quota: e così squillarono i cellulari

Foto: Omar Prestwich on Unsplash

L’impressione è quella di essere nell’affollato privé (non così) esclusivo di quella discoteca che piace alla gente che piace, e invece no: qui più che il cameriere con le bocce di Dom Pérignon e le candeline a fontana, s’aspetta che il numero che ci hanno dato all’accettazione ore fa lampeggi finalmente sul monitor della sala d’attesa, chiamandoci all’azione e scuotendo i nostri culi quadrati.

Tra di noi non parliamo, ma sappiamo come ci sentiamo tutte: smarrite, impotenti, a dir poco scoglionate. C’è chi sbuffa, chi guarda il soffitto, chi si alza a fare due passi, chi si lamenta e agisce, chi invece si rassegna (che gli vuoi dire, è la legge delle visite mediche in un ospedale). E poi c’è quella lì: la tizia che come tante altre ha il cellulare in mano, sì; ma non per fare scrolling sui social in un religioso silenzio. No; lei parla. Lei telefona.

Nel giro di pochi minuti noialtre sappiamo quando sarà la pizzata di classe dei suoi figli, il regalo che farà alla cognata per Natale (“Una sciarpa o una crema per il corpo, e via andare”), il menù della Vigilia per il quale è in atto una bella discussione con la madre (“Pesce, mamma. Le lasagne il 25”), e ovviamente da quanto tempo aspetta, quale ginecologo, per quale problema. Potessimo, pagheremmo il triplo quel già carissimo luminare della medicina che ci deve fare il pap test, pur di non sentire cos’altro di intimo ha da rivelarci indirettamente questa donna. Il suo turno arriva quando ormai la chiamata è finita, e i messaggi vocali ascoltati a volume altissimo hanno iniziato a spazientire anche chi sembra entrata in una fase zen.

Ma a situazioni come questa, in fondo, ormai ci siamo abituati. Questo è stato solo uno dei tanti episodi di una giornata qualunque, in cui un’altra persona decide che la propria vita privata debba essere di dominio pubblico, ma soprattutto possa interferire con il nostro sacrosanto diritto di farci i fatti nostri. Perché in metropolitana c’è il tizio seduto di fianco a noi che per dieci fermate urla parole incomprensibili, mentre inquadra sé stesso e accidentalmente noi in un lunga chiamata di Facetime; perché in pullman la musichetta snervante del giochino che intrattiene l’anziana che va a fare le analisi alle 7 del mattino in una buia mattinata feriale di dicembre, è solo quello che ci capita oggi, ma forse anche domani; perché il viaggio in treno con quello che fa una “call” in cui parla del prossimo “meeting” e di cosa gli ha detto la tizia di “HR” (leggi: human research) per quella nuova “position”, è il prezzo che paghiamo tutti da quando i cellulari sono diventati parte integrante del nostro essere animali sociali.

Solo che finora pensavamo fosse tutto lì. Che persino il massimo della sopportazione richiesta per far fronte alla necessità di alcune persone di sfruttare un piano telefonico di chiamate e internet illimitato, fosse in fondo qualcosa di gestibilissimo, finché inscritto nel quadro della quotidianità di un viaggio in metropolitana, o di una sala d’attesa gremita di gente. E invece no, perché è arrivata la notizia che con una certa probabilità anche in aereo ci toccherà questo strazio; nelle tratte europee, quantomeno.

A darci la batosta è stata proprio la Commissione Europea, che a fine novembre ha stabilito che i paesi dell’Unione Europea dovranno assegnare delle frequenze della rete 5G per l’utilizzo dei cellulari (ma anche tablet e via dicendo) durante i voli aerei. Chiamare quell’amico che non sentiamo da dieci anni e riallacciare i rapporti nel corso di una tratta Roma-Berlino, sarà però possibile solo se enti come l’EASA (Agenzia europea per la sicurezza aerea) e, in generale, i test effettuati anche dalle compagnie aeree, accerteranno che non sussiste alcun pericolo di interferenza tra le frequenze dell’aeroplano e quello dei dispositivi mobili, per esempio in fase di atterraggio. Rischio che adesso ci fa ancora inserire la cosiddetta modalità aerea sui cellulari, ma che in realtà sopra il territorio europeo pare essere minimo, dato che le frequenze utilizzate per il 5G sono al di sotto dei 3,8 gigahertz, quindi lontane dai 4,2-4,4 gigahertz dei radioaltimetri (gli strumenti che misurano la distanza degli aeromobili dal suolo). In ogni caso, ipse dixit: entro il 30 giugno 2023 le istituzioni dovranno darsi da fare per rendere tutto ciò possibile; e noi persone comuni, per prepararci all’ennesima buona dose di pazienza.

Anche mia figlia di due anni lo capirebbe: l’eventuale via libera da parte della Commissione Europea (e degli enti preposti a garantire la sicurezza in volo) a usare i cellulari in aereo, significherebbe dare subito la possibilità alle compagnie aeree più aggiornate in questo senso di fare un ulteriore passo avanti rispetto alle altre; e ai passeggeri di godere di un servizio in più che, più che passatempo, è pane quotidiano. Dacci oggi il nostro social con tanto di influencer, le news online, le chat aperte pressoché con chiunque, e persino i gruppi di Capodanno su WhatsApp. Eppure ci sarà sempre chi dice il contrario, ed è il classico che vuole essere controcorrente, o ha dormito nell’ultima buona decina d’anni. O forse non ha ancora capito com’è cambiata con i cellulari la nostra percezione del tempo, e la crescente difficoltà che noialtri abbiamo ormai a raccogliere l’invito alla noia (e via ad altre considerazioni che erano interessanti giusto quella decina d’anni fa, quando tizio metteva la testa sul cuscino). Tanto che alla fine conviene già portarsi avanti e mettersi il cuore in pace: pure il viaggio in aereo, tra cafoni e suonerie improponibili, non ci lascerà più scampo.

Brace yourself, summer is coming. E con il caldo, anche la possibilità che il fastidio di oggi per un bambino di due anni che strilla là in fondo, o per un adulto che qui davanti abbassa tutto lo schienale per stare più comodo, diventi qualcosa di ridicolmente preferibile al ritrovarsi la tizia della sala d’attesa o quello della chiamata Facetime, l’anziana con il giochino a massimo volume o il dirigente con il vocabolario anglicizzato, malauguratamente passeggeri del nostro stesso volo. Al punto che il nostro incubo ad alta quota non sarà più quello di finire in una scena alla Final Destination, con tanto di aeroplano spezzato, fiamme e inevitabile tragico epilogo, ma invece quello dell’ennesimo cellulare che, nell’ultimo posto che pensavamo sicuro, comincerà ancora una volta a squillare.