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Il senso degli influencer per la neve

Al primo ponte, eccoli tutti correre a Courma o St. Moritz. Credendosi di essere Chiara Ferragni, ma finendo per danneggiare posti e post. Ma se tutti fossimo ormai diventati un po’ così?

Foto: Alex Geerts/Unsplash

Suscita una tenerezza profonda, mista a un senso di disagio, chi non appena cade la prima neve, periodo che di solito per noi baüscia coincide col ponte di Sant’Ambrogio, sente questo bisogno, evidentemente incontrollabile, di geolocalizzarsi pubblicamente nei luoghi del jet-set montanaro. Questi che si precipitano negli hotel di lusso dei luoghi della mondanità alpina per consumare un qualcosa di instagrammabile, accompagnato da qualche hashtag tipo #cortina o #sanktmoritz per altro ridondante, visto che l’indicazione di dove si trovino viene già puntualmente inserita in cima alle immagini postate. C’è un qualcosa di inquietante e di profondamente misero in tutta questa corsa all’ostentazione sempre così affamata, sfacciata, su cui dovremmo davvero fermarci a riflettere.

Il fenomeno – sempre esistito probabilmente, ma con una eco inferiore grazie all’assenza di internet con tutte le sue declinazioni di aggregazione digitale – è indubbiamente amplificato e reso ancora più stucchevole dall’uso smanierato di questi social network che, pure meritevoli per tanti versi di tenere vicine la persone lontane, creare condivisioni altrimenti impossibili, opportunità per giovani brand, idee, nuova informazione eccetera eccetera, amplificano l’umana sfiga che porta molti, troppi di noi, a cercare una sorta di affermazione attraverso l’ostentazione malcelata, la disperata ricerca dell’altrui consenso e ammirazione.

E qui, a onor di puntualizzazione, non stiamo parlando di influencer, dove per influencer ci riferiamo però a gente che abbia il peso specifico di Chiara Ferragni, per capirci. A chi davvero campa e stracampa sulle sponsorizzazioni pattuite con brand di arcilusso che li cospargono di agi e vizi (ora si chiamano experience) in cambio di post che però davvero spostano le masse. Tra l’altro, per inciso, il mondo degli influencer è un atollo per pochi: scivoloso, insidioso e difficile, molto difficile da maneggiare, pena il ridicolo pronto ad abbattersi su di te con la sua spietata cattiveria per abbandonarti al pubblico ludibrio impaziente di bastonarti per tutta la fortuna esibita.

Il mondo degli influencer non è per tutti, bisogna tenerlo sempre presente nel deludente tentativo di emulazione che troppi di noi provano a mettere in pratica ogni giorno. E non è nemmeno per chi si sente di influenzare perché sotto al post delle padelle regalate inserisce l’hashtag #supplied. Quindi lasciamolo agli influencer, che, per quanto a loro volta stucchevoli a tratti, in effetti lo fanno di mestiere e ogni mestiere ha la sua dignità e perciò muti.

Per tutti gli altri, per i troppi che si sono eccessivamente ferragnizzati ma senza consapevolezza, oltre che seguito e fatturato, bisogna tenere ben presente che il risultato per loro rischia di essere dolorosamente penoso. Sto parlando di quelli che a tutti i costi Cortina, Courma e St. Moritz, quelli che non comprendono che – per quanto brutalmente classista sia questo discorso – certi posti, che un tempo erano per le élite quelle vere, possono essere frequentati da tutti, ci mancherebbe, ma non stuprati con grotteschi eccessi esibizionisti.

A certi luoghi un tempo si accedeva per privilegio ereditario e innato sin dalla culla, ci si cresceva e ci si identificava a tal punto da farli propri e da sentire il bisogno di proteggerli, preservarli, valorizzarli lasciandoli sempre un po’ uguali a se stessi con l’illusione di renderli eterni nella loro smodata classe e bellezza. Ora lì ci sono le boutique di alta moda prepotenti e fastidiose, mentre gli artigiani di un tempo sono scappati con le tasche piene portandosi via un po’ di quel fascino irripetibile e lasciando perlopiù la malinconia di quel che è stato e non torna più. Ma tant’è.

Gli arricchiti, i wannabe, gli scalatori sociali sono ben più antichi degli influencer, ci sono sempre stati e sempre si sono intrufolati nei sacri pantheon del benessere vero (che poi è quello che ci ha sempre tenuto a restare nascosto, peraltro). Però, forse, il fatto che non esistesse Instagram a enfatizzarne la presenza lasciava che la loro inadeguatezza si mimetizzasse di più e meglio. Oggi, è diverso. Oggi i tag regalano l’illusione che sia tutto possibile, e allora li vedi passare con gli abiti più griffati racimolati dall’armadio dagli hotel a 5 stelle dell’Engadina giusto per una foto e un caffè (che forse di più nemmeno possono permettersi), sentendosi in diritto di ingannare se stessi e gli altri con un racconto così fake che probabilmente non è credibile davvero nemmeno per loro, pieni dell’illusione di essere fighi per il solo fatto di essere passati da lì.

E quando poi, alla fine, una volta esauriti scatti e hashtag li immagini tornare mesti al loro mutuo cittadino divampa una malinconia straziante per quello che siamo diventati. Una massa informe di bugiardi sempre più soli, assuefatti all’apparenza che anche se inganna chissenefrega, l’importante è ingannare per bene. L’importante è tenere stretta stretta la bugia mentre rientriamo dalla vacanza vanziniana con le nostre macchine in leasing per cui dobbiamo risparmiare in vista della maxi rata finale.

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