Rolling Stone Italia

Il punto definitivo su lanzichenecchi e Alain Elkann

«In quel treno mi siederei accanto a lui e non certo a questi ridicoli leprecauni di cui non me ne frega un cazzo. E anzi, a Elkann gli offrirei pure i Tuc». Parla Lo Sgargabonzi

Foto via Getty

In queste ore, molti storici stanno scomodando il sottoscritto (che, per la cronaca, sarebbe pure al mare) nelle loro affilate disamine sull’articolo di Alain Elkann. Quello in cui il giornalista definisce ”lanzichenecchi” dei giovani casinisti incontrati in treno.

“Pare un pezzo dello Sgargabonzi”, scrivono gli storici ghignando indiavolati nella notte, certi che nominarmi li inserisca subito nel consesso di quelli che contano.

Vent’anni fa facevano lo stesso con Carmelo Bene. Nel Ventennio lo facevano con Alessandro Pavolini e poi si asciugavano la fronte imperlata come una Sprite sperando che Galeazzo Ciano li avesse notati e riportasse tutto al Duce che poi regalava l’agenda in pelle e la stilografica.

Ora sono io il loro porte bonheur.

Ma hanno ragione.

Ne ho scritti molti di racconti in cui indosso un Io narrante siffatto, acchittandolo a modino perché qualche luccio abbocchi, non cogliendo l’ironia e prendendomi sul serio.
Del resto mi sono sempre venute bene le recite dei parrucconi. Un’eccellenza? Saggio sul Teatro Contemporaneo, racconto dal mio libro cult Jocelyn Uccide Ancora, che nel 2018 cambiò la storia della letteratura umoristica (e non sono io a dirlo).

E chi mi conosce sa che sotto alla mia mimesi spietata, quando vesto i panni del leccatore di sugheri, dello scrittore a spasso per i navigli dell’esistere, ribolle il magma del sarcasmo, della parodia e della presa per il culo. Infatti coi miei lettori ci strizziamo l’occhio e ci capiamo al volo, mentre il nostro eterno nemico, il reverendo Baget Bozzo, ci è sempre caduto con tutte le scarpe.

Del resto la vulgata racconta come io sia il ragazzo meraviglia della satira, disciplina di cui ammetto di essere umile allievo e insieme severo sensei. Ed è notorio che sono uno che si farebbe ammazzare piuttosto che tenersi per sé una battuta su questa indecorosa classe politica (la peggiore di sempre), cieca, bolsa, veterofascista e che se ne frega dei giovani, delle donne e del clima. Gentiloni dimettiti.

E uno dice: sipario?

No, sipario il cazzo (sudato).

Tornando alla questione Elkann – come già detto – chi mi conosce coglie sempre la presa in giro dietro la mia mimesi stanislavskijana.

Ma è chi mi conosce DAVVERO bene che sa che dietro a quel substrato parodico e canzonatorio ce n’è uno ulteriore che palpita, il terzo e ultimo, quello a cui approdo e dimoro: la mia presa in giro è spesso del tutto farlocca. E’ quella la vera esca a cui abboccano i lucci. Leggasi: il terzo e ultimo strato è esattamente uguale al primo.

Mi piace semplicemente vedere come vi galvanizzate a pensarmi uno di voi, a farmi sbirciare la vostra miseria dietro le vostre patetiche missioni simpa per essere costantemente accettati dai vostri pari, quando io fondamentalmente la penso come Alain Elkann e pure peggio. E in quel treno mi siederei accanto a lui e non certo a questi ridicoli leprecauni di cui non me ne frega un cazzo. E anzi, a Elkann gli offrirei pure i Tuc. E se non l’avete ancora capito, cari storici, non capite veramente una sega.

“Ah ma pure questo è un layer”, diranno i miei piccoli lettori. No, vi giuro che non lo è.

E ora vi saluto, ché oggi gli unici layer che mi interessano sono quelli della torta millefoglie con cui io e la mia signora festeggiamo i 50 anni di matrimonio.

Bonus track: altra cosa che mi sta sui maroni è quella canzone di Calcutta in cui canta: “Deficieeeeenteeeee!!!”

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