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Il potere è sorveglianza: la lezione di House of Cards

Claire Underwood è cresciuta più del marito, allargando i suoi orizzonti alle nuove tecniche di propaganda, all’analisi dei big data e allo studio della manipolazione dell’elettorato
Robin Wright è in tv con la quarta stagione di "House of Cards". Foto: Nathaniel Bell for Netflix

Robin Wright è in tv con la quarta stagione di "House of Cards". Foto: Nathaniel Bell for Netflix

Si dice che House of Cards abbia svelato l’ipocrisia della politica. E infatti ha il pregio di avere aggiunto ai generi tradizionali della fiction uno spaccato della competizione politica che si avvicina al noir. Si tratta di un genere nuovo unito però, a mio parere, a una visione della politica vecchia, basata sull’intrigo più che sulle tecniche attuali di ingegneria sociale e propaganda. La serie esordisce calcando la mano sul crimine comune. La sua dimensione è quella che si colloca tra il tabloid scandalistico e il quotidiano giustizialista. Il suo immaginario, la costruzione del suo intreccio, si alimentano di tutti i tabù del perbenismo politico. Per incominciare, il protagonista ha una relazione clandestina. In realtà, la relazione è strumentale al suo bisogno di interagire con la stampa per ottenere i suoi scopi. Zoe, l’amante, trae dal rapporto col politico, una serie di scoop che la trasformano da giornalista anonima di cronaca a figura di prima grandezza del giornalismo politico. A sua volta Frank, attraverso Zoe, può mandare in stampa e rendere visibili, notizie più o meno vere, ma comunque finalizzate al raggiungimento dei suoi scopi. Frank usa quanti gli sono vicini, gestendoli affinché facciano per lui quello che non può permettersi di fare alla luce del sole. Li manovra, li inganna, li brucia. Sono loro che pagheranno il prezzo dell’ingenuità di aver creduto alla sua buona fede. E da un certo punto in poi Frank non si limita a usare le sue vittime. Passa all’eliminazione fisica. Peter Russo, Zoe e Rebecca, prostituta che ha visto troppo, verranno assassinati, superando quel limite di verosimiglianza che separa la fiction dalla realtà.

Frank recita sempre, tranne in tre casi. Condivide con la moglie il suo machiavellico disegno. Si lascia vedere nella sua vera natura dal capo del suo staff che non chiede spiegazioni e che è disposto a uccidere per lui. Ma, soprattutto, Frank è sincero con il suo pubblico. È lui stesso che, nei momenti di maggiore tensione guarda in macchina e si rivolge ai fan televisivi per spiegare e anticipare la sua strategia. Tutto quello che ho scritto sino ad ora fa di House of Cards un dramma sofisticato e intrigante, che smaschera il cinismo della politica, soddisfacendo contemporaneamente il bisogno del pubblico di identificare la politica con la casta e il malaffare. Ma, attenzione, sino all’attuale stagione le colpe della politica, quantunque dilatate fino all’omicidio, restano nell’ambito della delinquenza comune e del machiavellismo del protagonista.

Questa stagione segna una svolta e un avvicendamento. Per la prima volta Frank trova un avversario più forte di lui e per la prima volta si dichiara disposto a cedere le armi. Quest’avversario è la moglie, a cui propone un armistizio finalizzato alla conquista comune del potere. Di stagione in stagione Claire è cresciuta più del marito, uscendo dalla visione ristretta delle stanze del potere, dove il gioco politico si consuma con l’intrigo, per allargare i suoi orizzonti alle nuove tecniche di propaganda, all’analisi dei big data e allo studio della manipolazione dell’elettorato. È lei a incarnare il futuro oscuro della politica, dove il male non è l’omicidio dell’avversario, ma l’uso strumentale delle nuove tecnologie. Claire sostituisce le tecniche paramafiose dello staff di Frank con le conoscenze di una nuova spin doctor. Usa strumentalmente i tabulati dei motori di ricerca per raggiungere il suo pubblico, conosce il peso elettorale di una semplice immagine. E assomiglia sempre di più a Hillary Clinton. Ricordo di aver letto, all’epoca della competizione con Obama, che Hillary raggiungeva i suoi potenziali elettori, ancora inconsapevoli, sulla base dei consumi materiali, rilevati con sondaggi o accedendo ai motori di ricerca. La sociologia ci ha insegnato che neppure i consumi sono neutri, ma esprimono orientamenti politici profondi e latenti. Non solo, Assange e Snowden ci hanno fatto capire che il potere è oggi, prima di tutto, sorveglianza. Incrociare le nostre ricerche sui network, i nostri acquisti con la carta di credito, le nostre comunicazioni, rappresenta una forma di controllo così assoluto che neppure il più violento dittatore, armato solo delle armi della crudeltà e della paura, potrebbe sognarsi di gestire.

Questa intervista è stata pubblicata su Rolling Stone di novombre.
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