Rolling Stone Italia

Il negazionismo climatico è la riprova che Internet ci vuole tutti idioti

Le balle costruite dai negazionisti a partire dalla metà del secolo scorso girano e si amplificano nelle camere dell’eco della Rete. La forza della ragione e della scienza contro le certezze incrollabili di chi è convinto di avere in tasca verità che il mondo non conosce

Foto: Roberto Cavalli

Questo mio nuovo articolo, come tutti i miei articoli, ha in mente una cosa ben precisa, ma per arrivarci parte da dove l’ispirazione mi ha concesso di trovare l’abbrivio. Dunque la prendo alla larga, conscio che per chi apprezza il mio modo di scrivere questo non sarà un problema. E conscio che per chi non lo apprezza sarà solo un ammasso di parole inservibile e ingombrante.

Due sono i “macro temi”, per così dire. Il primo è la frustrazione che si prova a ritenere di avere in tasca delle verità che “là fuori” il mondo non conosce, e di cui si vorrebbe metterlo a conoscenza per la salvezza di tutti. Ho intercettato spesso questo sentimento in chi voleva far capire al mondo, ad esempio, che al posto dei vaccini ci stavano iniettando un siero, e per onestà intellettuale ho provato a empatizzare con questo dispiacere (con la natura del dispiacere, non con la maggior parte dei motivi che lo originavano) nonostante io stia esattamente all’opposto di questa vulgata e di questo disagio a me alieni. E siccome per ragioni diametralmente opposte (che dirò) l’ho vissuto anche io, ho qualche titolo per farne cenno. Il secondo è l’obiettivo che mi ero preposto: parlare malissimo (ma con stile) del negazionismo del clima, che in questi ultimi mesi ha affilato le sue armi e affiliato tanta, troppa gente fra le sue compagini, in modo efficace e pericoloso. In mezzo a questi due “macro temi”, come sempre, svolazzano qua e là parentesi aperte e estensioni di pensiero in libertà, anche se pur sempre connesse a qualcosa appena scritto. Ovviamente i due “macro temi” sono a loro volta intimamente connessi, e l’uno porta all’altro con coerenza e totale consapevolezza.
Buona lettura.

Penso di saper interpretare piuttosto bene il sentimento di chi ritiene di avere delle consapevolezze e delle verità inaccessibili ai più. Ho passato momenti paranoici nel periodo Papeete e dintorni, quando appariva inarrestabile e quasi plebiscitaria l’ascesa di Matteo Salvini, che percepivo come pericolosissima. Leggevo libri (non link o post altrui) e mi informavo, ritornavo su cose già assimilate in passato, facevo paragoni e sentivo che stavamo rischiando di scendere negli abissi di un ritorno a certe bruttezze che avrebbero dovuto esser morte e sepolte dalle conquiste dell’umanità del mondo occidentale, più o meno dall’illuminismo in avanti (Salvini era un interprete attivo fra molti altri nel mondo di questa deriva). Chiamavo tutto ciò fascismo, e sapevo che una marea di intellettuali di rango, rispettabili e autorevoli, ci diceva, alcuni anche ringhiando contro la nostra compassionevole imbecillità di stupidi impauriti (penso a Cacciari, che rigurgita spesso la sua esasperazione), che il fascismo non sarebbe tornato (in sintesi perché i tempi erano/sono cambiati e non c’erano/ci sono più le condizioni sociali che lo partorirono… Suonava abbastanza comprensibile e sufficientemente rassicurante, e desideravo ardentemente credergli. Emblematica fu però quella volta che assistetti a una conferenza di uno storico – non era Barbero, e non ricordo più qual era il tema: alla fine, stupido e impaurito, andai da lui per chiedergli cosa ne pensava di quello che stava accadendo in Italia: confabulammo un po’, e lui disse suppergiù: «Non sarà tecnicamente fascismo, come sento dire, ma siccome è più o meno la stessa cosa gli si trovi pure un altro nome: dovremo pur chiamarlo in qualche modo»).

Fra i libri che lessi ne ricordo in particolare due: uno, scritto da un sociologo polacco (non mi sovviene altro, e non sono a casa per cercare il libro in questione), era (ed è) l’analisi della brutta piega che stava (sta) prendendo il modello liberale, evolvendo verso un liberismo elitario che faceva (fa) gioco facile per i populismi che si sarebbero presi la pancia della gente (se la stanno prendendo). Scritto dall’autore come a un interlocutore immaginario, a un certo punto un passaggio diceva più o meno così: “Amico mio, temo che entreremo in un periodo traumatico, dove le democrazie imperfette e i regimi autoritari prenderanno il posto delle democrazie. Lo si potrà sconfiggere nel tempo, ma per almeno una quindicina d’anni saremo costretti a stringere i denti e a sottostare a cambi di prospettive e abitudini che ci sconvolgeranno”. (Desidero sottolineare che detesto il capitalismo-liberismo cui siamo costretti a soggiacere in questa sua forma esasperata e prossima all’implosione, e so comprendere il nervosismo delle masse, di cui faccio parte con un nervosismo analogo. Unica differenza fra me a altri: io non vorrei sostituire la democrazia, vorrei guarirla).

Il secondo libro, Sindrome 1933, scritto da Siegmund Ginzberg, un giornalista e saggista nato in Turchia da famiglia ebrea (vedo alcuni di voi storcere la bocca), era (ed è) una disamina storica su come il nazismo fiorì in Germania, proponendo tremendi paragoni verosimili con quello che stava accadendo in quel momento in Italia e in Europa: punti di contatto inquietanti sciorinati da un autore che dimostrava di aver affrontato una bibliografia vastissima per sostenere le sue argomentazioni. Bibliografia ovviamente indicata a fine libro.

Ecco: in quel momento vivevo quel sentimento di cui ho detto in apertura, e mi sentivo imprigionato nella impossibilità di dire al mondo (per svegliarlo) dei rischi che si stava correndo. (Esattamente come chi si sforza di farci comprendere, che «non celo dicono!» e ne approfitta per darti della capra che non capisce nulla. La frustrazione, solo quella, è in tutto simile. La protervia grezza e gratuita ovviamente no). Sentivo l’inanità di ogni possibile sforzo, e temevo (solo a giorni alterni in verità) le shitstorm a cui sarei andato incontro se mi fossi addentrato coi miei Elzevirus in certe questioni. D’altronde pochi parlavano, la stragrande maggioranza dei miei colleghi era silente, e la percezione che una sorta di grossa intimidazione fosse nell’aria era in me costante.

Eppure dentro me fibrillava la sensazione di sentirmi fra i pochi a “sapere”, mentre il mondo là fuori, tra ignavia, paura, menefreghismo e sottomissione, procedeva trascinato dalla deriva, e qualcuno decideva di non andare a votare alle elezioni come forma di protesta, anch’essa del tutto inane. E dannosa. E purtroppo stupida. (Sei fra coloro che non hanno votato? Mi spiace, lo penso. Hai ovviamente il diritto di pensare che sia io il povero stupido).

La frustrazione che ne scaturiva era tanta, e temo in verità che finirò i miei giorni frustrato dal peggio che l’umanità sta dando e darà di se stessa, nonostante, come giustamente dice Nick Cave in Fede, speranza e carneficina, il mondo sia essenzialmente buono e pieno di amore. (Serve forse passare per un evento tragico per accorgersene in modo sostanzioso e tangibile, non solo meramente teorico e idealizzato, e tornare a vivere una vita più poetica e fiduciosa? A tutti gli effetti nel libro più e più volte Nick Cave racconta del lutto per la perdita di suo figlio come punto di svolta fatale, per mezzo del quale l’elaborazione che ne consegue lo apre al mondo e a prospettive nuove di comprensione di esso, irrorate di gentilezza e compassione. Ah la gentilezza! Ci scrissi un pezzo anni fa… Si intitola Pensa. Mi permetto di suggerirne l’ascolto a chi non lo conoscesse).

Non tacendo il fatto che curiosamente poi la percezione e la paura degli autoritarismi e delle dittature si è trasferita nelle menti di coloro che da un punto di vista di impostazione “ideologica” sono sostanzialmente il mio opposto (ancora ora è radicata in molti la certezza che in epoca pandemica si sia vissuti sotto una dittatura. Chi si ricorda di quella patetica e vergognosa sfilata-pagliacciata con indosso le “uniformi” degli internati dei campi di concentramento tipo Auschwitz, dove si osò paragonare la condizione di quegli sventurati alla condizione del popolo costretto al lockdown?), e dunque non tacendo il fatto che in questa epoca sballata di post-verità e manipolazioni come se piovesse, tutto e il contrario di tutto hanno sempre, tristemente, la stessa valenza (e l’intelligenza artificiale confonderà ancora di più l’umanità), non tacendo queste cose, dicevo, affermo che so comprendere la frustrazione di chi crede di sapere tutto ciò che “il mondo” non sa, anche se è esattamente all’opposto di ciò che penso io. Eppure anche io, con altrettanta frustrazione, so di sapere ciò che “il mondo” non sa (ed è esattamente l’opposto di coloro che pensano la stessa cosa dall’altra parte). E dunque: chi ha ragione e chi ha torto? (Questa domanda retorica è intellettualmente onesta, non qualunquista). O la ragione e il torto in realtà non hanno a loro appannaggio tutta la fetta del potenziale dimostrabile in gioco, e dunque il torto e la ragione stanno un po’ qua e un po’ là?

In cuor mio so come stanno le cose, ma d’altronde in cuor “loro” anche “loro” credono di saperlo. C’è della presunzione in tutto ciò? In questi tempi confusi di cancel culture e politically correct rigirati su se stessi, di woke e anti-woke, di fact checking quasi inservibili, è intellettualmente onesto tentare di non apparire a se stessi presuntuosi (ma sotto sotto sarà pur sempre impossibile dar retta all’idiozia, giusto?). E allora potremmo forse dire di essere diventati un bel mondo di idioti, tanto da una parte come dall’altra? Beh, per quanto io non saprò mai dar credito a un certo tipo di imbecillità, affermare che questo sia l’esatto disegno voluto da chi ha eretto l’impalcatura della Rete nella quale siamo tutti invischiati (alludo a Internet) appare sempre più una potenziale, drammatica verità. E mi piacerebbe che quest’ultima frase fosse in grado di farsi notare con fragore, sapendo quanto non sia “saputa” dai più (eccola qui una cosa che vorrei tanto che il mondo sapesse… Ecco qui un bel motivo di frustrazione). Internet ci vuole idioti, per me è un fatto. (Oh per favore: ora non venitevene fuori con cose tipo «Internet è una realtà impalpabile, non una congrega di persone reali», perché in realtà è sostanzialmente così, e tutti noi siamo i loro operai).

(Diamo un esempio di imbecillità quasi del tutto conclamata: credere che la Terra sia piatta è imbecille. Direi che al novantacinque per cento siamo tutti d’accordo. Personalmente ci sono tante altre cose che penso siano imbecilli, ma la percentuale di condivisione lentamente si abbassa).

Prendiamo il caso del riscaldamento globale, dove la ragione sta da un’unica parte anche se chi pensa l’opposto non lo crede per nulla. Questa cosa mi sta particolarmente a cuore, essendo la cosa che più di tutte mi frustra, ancor più della tanta altra idiozia in cui ci si imbatte in rete, dove siamo, per l’appunto, divisi, polarizzati, atomizzati, intontiti, asserviti, manipolati, indirizzati, azzerati, annichiliti, depotenziati, sfruttati, domati. E impoveriti.

I concerti che stiamo facendo in giro per l’Italia in questa estate hanno in scaletta una parentesi dedicata a Karma Clima, il nostro undicesimo e ultimo disco. Immagino che molti di voi sappiano che è un concept, e il tema in questione è, per l’appunto, il riscaldamento globale. Quando arriva questa parentesi (dopo il terzo pezzo, Ineluttabile), da qualche parte di essa, imprevedibilmente e a sentimento, mi avventuro nello spiegare cosa stiamo facendo, dando per scontato che non tutti conoscano il nostro ultimo disco. Dal momento in cui apro bocca, la mia spiegazione, mai uguale a se stessa, oltre a dire che stiamo suonando pezzi del nostro ultimo disco, dice anche che è un concept sul riscaldamento globale. E nel momento in cui dico ciò, inevitabilmente mi allargo un po’ per sottolineare che i Marlene lo temono, e non hanno nessun dubbio nel credere alla maggioranza drasticamente schiacciante degli scienziati di ogni dove nel mondo che afferma che siamo ai bordi di una catastrofe che metterà in gravissima crisi l’umanità su questo nostro bel pianeta chiamato Terra.

Ebbene, ogni volta che le mia parole convergono su queste asserzioni, dette tanto con fermezza quanto con cautela, visto che sto attentissimo a non sentirmi neanche per sbaglio su un pulpito, io vedo non pochi volti che (mi pare) mi guardano stupiti: alcuni (mi pare) sorridono (forse non mi hanno mai sentito parlare così tanto a un concerto?), altri (mi pare) restano sospesi coi loro occhi incerti e benevoli, altri ancora paiono manifestare una specie di non esibita indifferenza, e pochi appaiono realmente contrariati, come se li stessi urtando con argomenti indesiderati o ritenuti falsi. Mi guardano, mi pare, con scetticismo, non con cattiveria. (“Mi pare”, lo risottolineo ancora: magari in realtà la gente sta semplicemente assorta a riflettere, che è poi l’obiettivo del nostro concept: contribuire alla riflessione). In genere a questo mio intervento a suo modo accorato e investito di un solo sentimento di responsabilità etica e civica applaude un venti-trenta per cento dei presenti.

Il problema del riscaldamento globale, che a detta di Stefano Mancuso, con cui ho condiviso il palco a giugno, è il più grave che l’umanità abbia mai dovuto affrontare, non interessa molto alla gente. Mi pare. E tutte le volte che penso a ciò inevitabilmente mi sovviene Don’t Look Up, film deliziosamente geniale che rappresenta in modo brillante questa tragica ignavia.

(Una mia conoscente non aveva mai visto i Marlene dal vivo. Li ha visti recentemente e ho avuto occasione al telefono di chiederle se il concerto le era piaciuto, anche se non chiedo praticamente mai a nessuno se il nostro concerto è stato apprezzato, perché non voglio mettere in imbarazzo colui che eventualmente non sapesse come dirmi che no, non gli è piaciuto. Ebbene, ecco la sua risposta: «Sì, mi è piaciuto molto, tranne quel momento in cui hai fatto il discorso politico…» eccetera eccetera. Uno dei motivi della mia frustrazione ha a che fare con questa penosa faccenda del ridurre un problema che riguarda e riguarderà tutti, esclusi per una o due generazioni i ricchissimissimissimissimi di questo pianeta, a qualcosa di politico nel senso di destra e sinistra, anche se si dice che non esistono più. Trovo ridicolo e sconcertante che in linea di massima a destra si neghi e non si creda e a sinistra in linea di massima si affermi e si creda. Il riscaldamento globale non è una fede religiosa in cui si è liberi di accordare la propria fiducia o meno a un sistema di suggestioni e spiritualità strutturata abbandonando il proprio raziocinio. Quando la scienza ci permette di farci fare l’anestesia prima di una operazione invasiva – di passaggio faccio notare che anche con l’anestesia ci inoculano qualcosa – non stiamo a decidere se crederci o meno: diamo per certo che ci impedirà di soffrire dolori impensabili. Tipo farsi togliere il dente del giudizio. O farsi sventrare per curare l’appendice. Ebbene: la scienza teoricamente starebbe per aiutarci – e non da ieri – a evitare un altro tipo di dolori impensabili, eppure c’è chi decide di non crederle. Sulla base di cosa? Semplicemente ritrovandosi acciuffata nelle stanze dell’eco in cui gira imperterrita la balla negazionista, con i vari profili troll che la fomentano e i tanti sprovveduti che li rafforzano coi loro commenti e li piacciano coi loro like. Tutto ciò è deprimente).

Ragione e torto, dicevo. Il negazionismo in atto, per le “verità” che inanella, non ha nessuna ragione, eppure la narrazione che a partire dalla metà del secolo scorso è stata costruita ad arte dai centri di potere economico-finanziario e soprattutto dalle grandi compagnie estrattive è riuscita ad attecchire a tal punto che una vasta percentuale di persone crede a ciò che essa sostiene, cioè che non c’è nessuna responsabilità diretta del nostro agire consumistico, turlupinando il mondo per il suo lucro estemporaneo e la nostra condanna. (Volete una analogia? Pensate al tabacco e alla campagna per far diminuire drasticamente il fumo: la narrazione che venne messa in piedi dai produttori fu così potente e subdola da impedire alla campagna di avere qualche successo di rilievo. E le sigarette continuano a essere un gigantesco business. La stessa cosa, non vogliatemene tutti voi amanti del buon bere – lo sono stato anche io fino a un anno fa – ha a che fare con l’alcol, vino incluso: l’alcol fa prima di tutto male, vino incluso, eppure la narrazione di tutta la filiera produttiva sa come evitare che questo pensiero turbi i bevitori. E poi ci pensa il governo a proporre un bel taxi agli ubriachi notturni, nel frattempo immaginando come fottere definitivamente le tanto odiate – a destra – canne. La canna fa male, l’alcol no: questo è il messaggio).

Chi sono io per dire che il negazionismo del riscaldamento globale non ha nessuna ragione? Sono semplicemente una persona che ritiene poco razionale credere a un residuale 2/3% di scienziati al soldo dei grandi poteri economici che nega. O semplicemente non esperti del problema specifico. O ancor più semplicemente cani sciolti. Perché ritengo sia del tutto insensato fare gli originali e stare dalla parte del genio incompreso. La storia dell’arte è piena di geni incompresi, e di molti di quei molti rapiti dall’oblio del tempo non si può far altro che pensare a quanto il tempo stesso avesse avuto ragione. Il fatto è che qua non si tratta di arte, nonostante il suo potere salvifico, bensì di cose molto concrete e pratiche per la nostra incolumità in senso stretto. Come potrebbero centinaia di migliaia di scienziati da ogni dove nel mondo mettersi d’accordo nel perpetuare una balla per noi poveri deficienti belanti? (E intanto i disastri del riscaldamento climatico si stanno facendo sempre più notare: so che molti di voi li stanno notando. E la notizia purtroppo è che li noteremo sempre di più, estate dopo estate, inverno dopo inverno). Nel corso di parecchi Elzevirus su questo spazio ho costruito un filo logico che, a rileggerlo, sosterrebbe ancor meglio quello che sto scrivendo ora.

(Un tempo nei social qualcuno mi obiettò che quei 2/3 erano cifre del tutto a caso: «chi lo dice che sono il 2/3%?». Mi fa impazzire questo dubbio che ormai può riguardare qualsiasi cosa: seguo una pagina Instagram di robe del cosmo e dell’universo, e sono piuttosto frequenti coloro che non credono a ciò che non è documentabile da foto reali. In tal caso dunque tutto l’universo tranne ciò che le foto possono documentare in tempo reale è un potenziale fake. State sorridendo? Ne avete ben donde. Ebbene: chi lo dice che non siano cifre a caso? Nella fattispecie a me lo confermarono due scienziati a cena, per quanto non avessi bisogno di tale conferma. Persone per bene, scrupolose, rigorose, intellettualmente irreprensibili, culturalmente elevate, molto elevate. Alla mia domanda: «Cosa ne pensate del negazionismo e dei vostri colleghi che negano?», l’uno si rivolse all’altro chiedendogli: «Ti risulta ci sia ancora qualcuno che nega? Quanti pochi sono rimasti?». Personalmente lo ritengo più che sufficiente).

Vi dico le mie tre letture attuali (da poco finite o in corso): potrebbero tornare utili a qualche scettico non troppo fanatico, in grado forse di mettere in discussione alcune sue credenze manipolate dalle camere dell’eco in cui magari si trova. E di sicuro possono tornare utili a tutti coloro che come me ingaggiano a volte la loro personale lotta per arginare il dilagare del peggio, tanto nella vita reale quanto in quella virtuale. E di questa lotta c’è molto bisogno, perché la salvezza passa o per la consapevolezza di tutto il mondo e conseguente volontà di cambiare il sistema in cui viviamo (utopia? Beh, sì.. In settembre ci saranno restrizioni per le auto euro 5, euro 4, eccetera: le patiremo tutti, e non sarà per nulla simpatico, e provate a immaginare le turbolenze sociali che questo comporterà. Molta gente è già incazzatissima ora… Ed è un solo esempio fra i centinaia che si potrebbero fare) oppure per le scoperte della scienza e dell’inventiva umana, sperando che trovino quantomeno toppe importanti (probabilmente qualcosa accadrà, magari con la geoingegneria, e preparatevi dunque al dilagare dei complottismi, già in fermento). Il primo dei tre libri è direttamente connesso al tema del negazionismo del riscaldamento globale. Gli altri due ci dicono cose sul mondo della rete e su quello digitale che si agita alle nostre spalle a nostra insaputa.

Ecco i libri che sto leggendo o ho finito da poco di leggere:

Stella Levantesi, I bugiardi del clima (informatevi, Google è – anche – qui per questo. Lei è giovane e preparatissima, e dimostra tutto l’apparato di balle costruito dalla narrazione negazionista a partire dalla metà del secolo scorso, nella quale troppi sono cascati, nostri politici di destra compresi. Un libro – non un link: un libro – che farebbe benissimo a tutti coloro che non lo leggerebbero neanche sotto tortura).

Jonathan Crary, Terra bruciata (informatevi, Google è – anche – qui per questo. Lui è un filosofo americano, e la sua demolizione di Internet mi ha confortato, perché mi sono ritrovato a leggere cose che penso da almeno 15 anni a questa parte. È una sorta di lungo pamphlet, in cui si struttura anche un pensiero solido contro le aberrazioni del capitalismo attuale).

Nicole Perlroth, Così mi hanno detto che finirà il mondo (informatevi, Google è – anche – qui per questo. È un reportage incredibilmente strutturato e serio sul mondo delle guerre digitali che si fanno alle nostre spalle. Anche se non è l’obiettivo principale del libro, chiunque lo leggesse e non avesse eccessivi problemi con la comprensione di un testo sarebbe in grado di intuire quanto la nostra privacy sia un fatto puramente illusorio, nonostante la crittografia, il doppio fattore, il QRcode e le assurde password che stanno infestando la nostra vite. Altro che la dittatura e il controllo ai tempi del Covid…).

(In verità sto leggendo per la seconda volta anche L’informazione, romanzo di Martin Amis, autore esilarante – humour inglese, non per tutti – e brillante).

E infine vi giro questo illuminante articolo sulla paura dei vaccini (è una esposizione di fatti storici, non un condensato di tecnicismi: vi consiglio caldamente di leggerlo. Fra le altre cose fa anche sorridere tanto).

PS: Salvini è sì nocivo, a mio modo di vedere e percepire la realtà, la società e l’umanità, ma non per la lucidità di una diabolica visione, che invero appare ormai chiaro essere inesistente. (Mi ci è voluto un po’ per capirlo… Meglio tardi che mai).

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