Il complottismo sul coronavirus è nostalgia della vita semplice | Rolling Stone Italia
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Il complottismo sul coronavirus è nostalgia della vita semplice

Prima c’erano Dio e il Diavolo, poi la Guerra Fredda, il Califfo Nero e ora il virus in laboratorio: non inventiamo complotti per trovare un capro espiatorio, ma perché abbiamo bisogno di credere che tutto questo abbia un senso

Il complottismo sul coronavirus è nostalgia della vita semplice

Foto: Marco Di Lauro/Getty Images

Guai a quella civiltà che non sa contro chi bestemmiare. Porci americani! Porci cinesi! Militari ladri! Illuminati cani! Savi di Sion boia! Lobby mondiale maiala! Puttana Trump!

Ah, ci si sente subito meglio.

Non è tanto questione di capro espiatorio. Non sentiamo soltanto la necessità di prendercela con qualcuno. Magari fosse soltanto un capriccio da bar. È più una nostalgia delle chiese. È nostalgia metafisica. Sentiamo la necessità di credere in qualcosa, non importa se ambiguo, malvagio, maligno, spaventoso. Credere in qualcosa significa sperare in un senso che superi le nostre comprensioni individuali. Credere in qualcosa significa sperare in un Senso. Il coronavirus è stato portato in Cina dai soldati statunitensi come risposta alla Nuova Via della Seta. Il coronavirus è stato sintetizzato in un laboratorio di Wuhan per sperimentare la reazione mondiale a una pandemia. Il coronavirus è una vendetta cinese per la guerra dei dazi. Il coronavirus è il punto D di un qualche business plan della Silicon Valley che punta a renderci ancora più schiavi della Rete. Il coronavirus serve ai Potenti per instaurare una dittatura globale col consenso delle folle. Il minimo comun denominatore di tutte queste teorie è: qualcuno l’ha deciso. 

Un tempo era facile: c’era Dio e c’era il Diavolo. Quando accadeva qualcosa di bello era merito del primo, quando accadeva qualcosa di brutto era colpa del secondo. Pestilenza? Per forza, scopate troppo: avete ceduto alla tentazione. Il genere umano si trovava coinvolto in un’epopea sovrannaturale. La Storia era una lunga, strascicata e dispersiva trama che però collegava due certezze: un incipit esplosivo, la Creazione, a un happy ending – che pure, va detto, qualche scontento avrebbe prodotto: il Giudizio Universale. La realtà aveva una direzione, e cioè un senso. Piacesse o no, si sapeva da che parte guardare, e cioè in avanti, lungo l’autostrada a quattro corsie della linearità temporale. Quando questo senso non ci piaceva, bestemmiavamo. Una vera liberazione. Quello lassù non ce la raccontava giusta, mandava avanti il Diavolo… ma chi mai l’aveva creato, questo Diavolo? Il Male l’aveva inventato lui stesso, Dio, ecco tutto, probabilmente per noia. Il perché non lo capivamo, ma in origine c’era comunque una decisione, magari una boutade, forse un dispetto. In ogni caso, un atto antropomorfo, comprensibile, un pensiero in cui rispecchiarsi.     

La Guerra Fredda fu la versione secolarizzata delle religioni del Libro. Potevano esserci servizi deviati, certo, potevano esserci traditori, che fingevano di lottare per il bene mentre lottavano per il male. Ma queste restavano eccezioni rispetto a un disegno complessivo. Tranquillizzante, come la carta geografica del Tempo, l’impalpabile territorio nel quale si muove l’unica specie animale capace di inventare l’orologio. Una volta che il bene ha trionfato, una volta che ci siamo ritrovati a vivere in questo regno dei cieli a stelle e strisce, siamo restati orfani di una trama. Quella che fino agli anni ’90 c’era apparsa come una via rettilinea, s’è rivelata d’un tratto una piazza di cui non si vede la fine. Ed eccoci andare su e giù per questa piazza, avanti e indietro, girare in tondo come i carcerati di una qualche galera mediorientale, eccoci sbattere la testa sul pavimento. Dove cazzo si va?, ringhiamo nell’incrociare un nostro compagno di prigionia.

C’abbiamo provato con lo scontro di civiltà, è vero. Bin Laden e al-Baghdadi si sono impegnati per restituirci ciò di cui sentivamo la mancanza: un nemico. Il Califfo Nero s’era pure scelto questo nome, molto appropriato per un Anticristo secolare. Ma si tingeva la barba con l’hennè, santo cielo. Pare che la trama non abbia credibilità sufficiente per dare una direzione al millennio. La prova: da quando è esplosa l’emergenza del coronavirus di Islam non si sente più parlare. Qualsiasi parola ricollegabile a Isis e ai terroristi musulmani è scomparsa dai trend dei social da mesi. Scoprire che il morbo è stato inoculato nel corpo stanco dell’umanità da quei tagliagole avrebbe l’effetto di una silenziosa redenzione. Loro! Ecco i nemici. Ecco il perché. Ecco il senso. Via loro, via il Male. Un giorno ce la faremo, un giorno sarà tutto più bello.

Il complottismo è un maldestro tentativo di uscire da questa impasse cronologica, da questo buco della trama. Individua piccoli dei usa e getta, naturalmente grigi, naturalmente ricchi. È la Bibbia riscritta dagli autori di Harmony. Ma tutti noi, non solo i laureati all’università della vita, tutti noi fatichiamo ad ammettere che un senso non c’è. Ci scervelliamo per trovare una lezione: il virus ci servirà per amarci di più, per riscoprire la necessità delle trascurabili cose, per soppesare le priorità, per capire ciò che è davvero importante. Ci illudiamo di sentire ancora ticchettare Dio sulle lettere della tastiera cosmica. Perché il caso è il non-autore per eccellenza. Ogni volta che lo assolutizziamo con l’iniziale maiuscola – il Caso – stiamo mentendo. Il caso è l’orrore, un orrore minuscolo, un orrore senza dignità metafisica né direzione. Il coronavirus c’è perché c’è. La vertigine della tautologia, l’abisso del pleonasmo. Bisogna essere molto saggi o molto sciocchi per accettare la gratuità di ogni cosa. Ma la stragrande maggioranza dell’umanità è e sarà per sempre mediocre. Siamo comparse in una storia scritta da un topo lasciato scorrazzare sulla tastiera.   

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