Il calcetto del giovedì sera testimonia il fallimento della civiltà | Rolling Stone Italia
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Il calcetto del giovedì sera testimonia il fallimento della civiltà

Nulla come questi dieci mammiferi flaccidi, che si dannano per conseguire l’unica vittoria della settimana a prezzo delle articolazioni, rende meglio l’idea del punto morto a cui è arrivata la Storia umana

Il calcetto del giovedì sera testimonia il fallimento della civiltà

Foto: Ruben Leija via Unsplash

Il calcetto del giovedì (o di un’altra serata infrasettimanale) è il più convincente argomento a disposizione di reazionari e antiprogressisti. Nulla come questi dieci mammiferi flaccidi, che si dannano per conseguire l’unica vittoria della settimana a prezzo delle articolazioni, rende meglio l’idea del punto morto a cui è arrivata la Storia umana.

Il pallone che rimbomba nella palestra quando viene colpito, il ritmo pateticamente lento di quei rimbombi: ecco come suona la disperante musica del benessere. Una volta raggiunta la sicurezza economica, una volta realizzato il proprio compito biologico di duplicatori di DNA, i quarantenni del ventunesimo secolo si trovano prigionieri di un giorno della marmotta in cui l’unica variabile rimasta – oltre alle fantasiose trovate delle malattie e della morte – è il punteggio di quella partitella. 13 a 9 può dare il tono emotivo a tutta la settimana.

Per questo alcuni non riescono a rinunciare ad arroganze e scorrettezze nel corso di sessanta minuti al termine dei quali, comunque, nulla sarà cambiato. Non ci saranno premi partita né promozioni, interviste tv né favori delle tifose. Si zoppicherà fino a uno spogliatoio dove i phon da parete, pur incapaci di spostare una foglia secca, non indisporranno però quasi nessuno: le calvizie hanno preso ormai possesso di quelle teste meritevoli di 3mila e 200 euro al mese, lordi.

Il disoccupato o così detto freelance arriva per primo, si cambia negli spogliatoi, abbozza figure di stretching con l’aiuto di una panchina o di una grondaia: potrà compensare le sfortune lavorative scongiurando gli strappi. Gli altri entrano direttamente in campo all’ultimo minuto, ancora in giacca ma con la cravatta già lenta, si scambiano giusto due parole, quelle importanti sono già state pronunciate su WhatsApp. Il tema centrale delle rapide conversazioni sono i turni in porta: chi tiene il tempo? Non quello col Rolex, che se lo sfila prima del gioco: quello col Casio, il povero, o quello con lo Swatch, l’alternativo (giustamente punito). Ma a questi ultimi viene concesso l’onore della gestione democratica della noia: cinque minuti tra i pali per uno, dovranno fingere di parare quando tutti sanno che l’unico obiettivo sarà proteggersi dalle pallonate in faccia o sui maroni.

Non è irrilevante che questi calcetti si giochino durante la settimana: il weekend, da momento di trasgressione quale era in gioventù, si è trasformato in gabbia familiare con 48 sbarre da 60 minuti ciascuna: acquisti per la casa, festicciole dei figli, riparazioni e abluzioni. I pachidermi glabri hanno il permesso di razzolare sull’erba sintetica solo in un tempo altrimenti inutilizzabile se non per sparecchiare o per obnubilarsi alla tv: dalle 21 alle 22 del mercoledì o del giovedì. È come se il peso dell’esistenza adulta, incarnabile per comodità rappresentativa nella figura della moglie, li lasciasse correre al parco solo perché legati al suo lungo guinzaglio invisibile.

Dopo la doccia, rigirandosi la fede attorno all’anulare, con gli addomi sformati che liberano gocce tiepide tra piastrelle splendenti (sono lontani i tempi del calcio a 11 e dei pavimenti screziati di erba e di fango), due occhi sono attraversati da un breve lampo di trasgressione: “Andiamo a farci una birra” – già che sono fuori, ottimizzano la libera uscita.
“Stasera non posso”, qualcuno abbassa colpevolmente la testa: e gli altri lo guardano come ergastolani che compatiscano il compagno trascinato verso la cella d’isolamento.
Ma c’è l’ex gloria di promozione o prima categoria, spesso un po’ più vecchio o più grasso degli altri, altrimenti non sarebbe lì, che deve dimostrare di essere campione fuori e dentro il campo: “Coraggio, in un’ora sei a casa”.

E c’è pure il commercialista maligno, verosimilmente cornuto, quello che ruba un paio di metri per ogni rimessa laterale: “Analcolica, su”. In ogni caso tutti, chi non sa calciare che di punta e chi ancora azzarda pericolosi doppi passi, chi ha vinto 16 a 8 e chi ha perso per un autogol di ginocchio all’ultimo secondo, tutti hanno perso la guerra. La banalità di una vita vulnerabile soltanto al cancro e all’infarto li ha conquistati. “Però hai visto che filtrante ti ho fatto?!”.

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