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I maranza salveranno Milano

Tuta sportiva, borsello tarocco Louis Vuitton, Nike Tn e smanicato come divisa d’ordinanza, speaker bluetooth portatili da cui sparare drill a tutto volume: la risposta al caro affitti, alla gentrification a palla, all'inquinamento, al taglio dei mezzi pubblici e ai gin tonic a 18 euro sono loro

Screenshot: YouTube (Rhove, 'Corso Europa')

Giovanni Robertini: È arrivata anche da te la polemichetta della settimana? Scrivo dal luogo del delitto, perché la questione è più o meno questa: Milano sta sul cazzo, pare che ci sia addirittura un “sentiment” – come si usa dire qui – “un nuovo modo di odiare Milano”, così titola l’articolo di Rivista Studio di Anna Momigliano in cui si analizza analizza la vibe shift, ovvero il come e il perché i milanesi abbiano cambiato il modo di percepire sé stessi e la loro città. Affitti e costo della vita altissimi, gentrification a palla, inquinamento, taglio dei mezzi pubblici, un gin tonic a 18 euro: tutto vero, nessuna novità, neanche il fatto che a dirlo siano Selvaggia Lucarelli sui social o un saggio di Cronopio editore (L’invenzione di Milano di Lucia Tozzi).

Alberto Piccinini: Mah. Appena dici “sentiment” io sento un brivido. Ho letto il pezzo di Rivista Studio, un po’ come si fa con i giornali stranieri. Qui a Roma eravamo ancora fermi alle battute sulla cosa più bella di Milano (il treno per Roma), un solo grido un solo allarme, solo la nebbia eccetera. Alla fine si è fatta strada una certa inquietudine: se non ci credete più neanche voi, se Milano viene meno come capitale morale ci cade il punto di riferimento per sentirci pigri, svaccati, cinici, cialtroni, “albertosordiani”, insomma romani. Così, intristito dalla trappola che ci costringe a vivere nei perenni anni ‘60, sono sceso alla trattoria cinese di quartiere sempre qui da me al Pigneto. Un po’ nascosta, di un’altra epoca, i quadri con le montagne alle pareti e i separè di finta betulla. “Sono qui da 30 anni”, ha sorriso il proprietario che mi allungava il biscottino della fortuna. “E qui com’era 30 anni fa?”, gli ho chiesto per educazione. “Uguale. Solo che in tutto questo tempo hanno fatto soltanto due fermate di metropolitana. In Cina ne hanno fatte dieci. Linee”. Trovata la soluzione. Saremo pigri, cialtroni e romani confrontandoci con la Cina. Milano addio.

GR: Che poi una soluzione drastica per odiare attivamente Milano ci sarebbe, c’è già, ed è milanesissima, basta uscire dalla bolla: sono i maranza, così venivano chiamati sotto la Madonnina i tamarri nello slang paninaro anni Ottanta, Enzo Braschi a Drive In, ricordi? Oggi i maranza sono branchi di adolescenti, molti ragazzi di seconda e terza generazione, sparsi a fare brutto in tutta la penisola, Tik Tok compreso: tuta sportiva, borsello tarocco Louis Vuitton, Nike Tn e smanicato come divisa d’ordinanza, speaker bluetooth portatili da cui sparare drill a tutto volume (Shiva, Paky, Rondodasosa) e una spiccata attitudine a fare i bulli, vandalismo e risse riprese col telefonino, che da stories virali diventano presto strumento di propaganda politica: Salvini che grida all’allarme criminalità chiedendo camionette di polizia e coprifuoco. Apericena contro maranza, lo scontro di civiltà è già iniziato, Milano come sempre avanti, ne è il banco di prova. Chi vincerà?

AP: I barbari vinceranno. Hanno sempre vinto loro. In fondo a tutte le rotte dell’immigrazione, agli scafisti, ai clandestini, agli alieni e ai diversi che la destra agita per prendersi i voti e poi fare figure di merda come l’altra sera nella sala buia del comune di Cutro ci sono un borsello tarocco Louis Vuitton e lo speaker bluetooth portatile. Una nazione di maranza, altro che sostituzione etnica. Ma questo l’avevano già detto il Piotta e gli Articolo 31, il supercafone eccolo qua, il Funkytarro te lo ricordi? Cito a memoria: “Tipa, con gli altri non c’ho sfida sai/ Il tamarro è sempre in voga, perché non è di moda mai”. Adesso nei filmatini del mattino Salvini e Meloni cantano La canzone di Marinella, che fu trovata morta in fondo a un fiume a primavera. Bella scelta, sembra un vecchio film di Elio Petri, o di Gianfranco Rosi. Grande indignazione. E Elly Schlein cosa canta? I Minutemen? Gli Yo La Tengo? L’altra sera la guardavo da Lilli Gruber e ho capito che siamo ancora lontani. Dovrebbe respirare, prendere fiato, rallentare ogni tanto. Dire robe imprevedibili, invece ancora niente. Una via di mezzo tra un comizio di Landini e Madame a Sanremo se va bene. Sarà l’emozione, l’ansia da prestazione.

GR: Eppure tra i maranza e l’apericena Elly Schlein potrebbe essere la terza via. Ma la strada è lunga, lunghissima. E cosa possiamo fare noi boomer? Troppi gin tonic sono passati sotto i ponti, anche quelli con distillati giapponesi tanto di moda e che costano 18 euro, quindi ora siamo immobilizzati dal senso di colpa, dalla schiena malandata e dalla paura che l’esercito dei maranza se la prenda con noi e i nostri cari. Certo, possiamo chiuderci in casa ad ascoltare il bellissimo e snobissimo disco del produttore Rian Treanor insieme a Ocen James e al suo rigi rigi, un violino a corda singola della tradizione folk ugandese. Ocen James è un acholi, popolazione originaria del Sud Sudan, emarginata, perseguitata e deportata dal governo ugandese. Il disco si chiama Saccades, i movimenti saccadici sono quelli che i nostri occhi fanno quando spostiamo lo sguardo da un punto periferico del nostro campo visivo a quello che ci interessa. Ecco, capita la metafora? Io so solo che dovremmo spostare lo sguardo dalla polemichetta su Milano, dalla Lucarelli, dal prezzo dei cocktail, ma ancora non ti saprei dire dove.

AP: Sul chiuderci in casa ti prendo in parola. Ocen James lo metto di sicuro nella compilation Mixed by Elly. E ci metto anche la mia nuova beniamina Brighde Chainbeul, suonatrice di cornamusa scozzese di 25 anni che vive sull’isola di Skye, meravigliosa. Mi segnala The Wire che ha un disco in uscita col sassofonista Colin Stetson e, ti stupirò, ha suonato la cornamusa nel nuovo disco di Caroline Polachek. Elly, ripartiamo almeno da Caroline Polachek. Mi tengo in tasca il biscottino della felicità. Crediamoci.

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