I boomer incazzati con la scena ballroom e la svolta a ultradestra di Morrissey | Rolling Stone Italia
Barbarism begins at home

I boomer incazzati con la scena ballroom e la svolta a ultradestra di Morrissey

Nella nuova puntata di Boomer Gang: le polemiche su Elodie e comunità ballroom, un nuovo show di Alba Parietti, la morte di Andy Rourke e il disagio degli springsteeniani

I boomer incazzati con la scena ballroom e la svolta a ultradestra di Morrissey

Elodie al Forum

Foto: Francesco Prandoni

Alberto Piccinini: Cosa vuoi che ti dica? Sarà colpa dei talk di Rete4 o dell’aria che tira ma ho sempre un’attrazione perversa per l’odore del sangue che scorre su Facebook, patria di tutti i boomer disadattati. Specie al mattino presto appena sveglio, perché poi il primo disadattato sono io. Prendi il flame della settimana, le scuse di Elodie nei confronti di un gruppo ballroom (House of Ninja) che l’accusa di appropriazione culturale per aver usato passi di vogueing nel suo concerto a Milano. Non è difficile da capire. A trent’anni da Madonna e da Malcolm McLaren che lo rubarono per primi alla comunità LGBT, di vogueing se ne può anche discutere, non dico di no. C’è tutto su Wikipedia al limite. Carinamente, Elodie ha chiesto scusa. Incidente chiuso? Macché. Il numero e l’uniformità livida e incazzosa dei commenti che seguono è davvero sconvolgente. Centinaia di variazioni su: allora per suonare blues devo essere nero?, per suonare Bach tedesco?, per suonare i Pink Floyd chiamare Roger Waters? (tutto vero). Oppure: il politicamente corretto ha rotto il cazzo. Quindi: basta con le supercazzole (l’evocazione di antani e Ugo Tognazzi in questi dibattiti è la cosa che davvero mi fa accapponare la pelle). Definitivamente: Rolling Stone era meglio quando si occupava di musica. E allora io mi chiedo: ma questi così incazzati chi sono? Perché lo fanno? Sono tutti veri? È come se fossero stati chiamati da qualcuno o qualcosa. Ho paura.

Giovanni Robertini: Forse da qualche parte ci sarà un’università telematica dei troll, un Cepu con Orsini e Giubilei che teorizzano il gran gioco di ruolo dell’incazzatura livida su Zoom, davanti a migliaia di videocamere spente. Non so come se ne esca, forse seguendo il suono delle conchiglie. Mi spiego meglio, non sono impazzito, nessun sussulto new age ultra boomer. Sono solo rimasto molto colpito dalla piccola storia zen che ha avuto come protagonisti i mammasantissima del drone concettuale d’avanguardia, Kali Malone e il suo fidanzato Stephen O’Malley dei Sunn O))). Qualche giorno fa avevano organizzato un festival, You Origin, in un villaggio sul mare nella Francia occidentale, tra gli Allineamenti di Carnac, una struttura preistorica che si stima abbia circa settemila anni. Un bel weekend matto tra feedback di chitarra, cinguettii di uccelli, sequencer mistici e menhir per un’ottantina di fedeli nerd lettori di The Wire, praticamente il mio festival dei sogni. Kali Malone avrebbe dovuto suonare il secondo giorno in una chiesa, ma quindici manifestanti cattolici di estrema destra avevano bloccato l’ingresso con dei cartelli e minacciato violenze. Kali Malone, triste e arrabbiata, ha raccontato di non aver chiuso occhio quella notte e la mattina presto verso le cinque e mezza si è incamminata nel bosco tra la nebbia per un ultimo concerto, una suite di O’Malley eseguita da suonatori di conchiglie. Ecco, Elodie, le conchiglie, ricordati di suonare le conchiglie! Solo così copriremo il suono di tutte le supercazzole.

AP: A proposito di conchiglie leggo che lo show drag presentato da Alba Parietti Non sono una signora, annunciato da mesi e sempre rimandato, chissà perché ha la sua collocazione: fine giugno su Rai2. In prima serata. 3% temo, anche molto meno. Però la storia di di Kali Malone e degli ultras cattolici mi fa venire in mente Marko Rupnik. Sai chi è? Io l’ho appena scoperto. Un anziano padre gesuita teologo pure artista che ha decorato con i suoi mosaici la basilica di Lourdes e altri posti così. Ora è accusato con fior di testimonianze di abusi e molestie su una quindicina tra uomini e donne. Ecco, non vorrei essere nei panni di quelli che stanno cercando di capire cosa fare di questi mosaici, se abbatterli in fretta a martellate o far finta di niente. Perché, come dice a questo proposito Famiglia Cristiana, “rimane una certa sensazione di disagio”. Beh. Ho letto sul blog di Simon Reynolds proprio questa settimana, una curiosa riflessione su quella che lui chiama Wiki-fear. La paura, cioè, di scoprire cercando su Wikipedia che un cantante o un attore che ti piace ha fatto cose innominabili prima o poi nella vita, picchiato mogli, molestato bambini, fatto il saluto romano, perché questo irrimediabilmente – dice Reynolds – lascia una “macchia” indelebile sulla sua opera. E continua: hai voglia a dire che è più importante l’opera dell’artista, perché quella macchia è come un link sempre funzionante. Poi il dibattito continua, ma la cosa davvero curiosa è che Simon non usa mai la parola “cancel culture“. È una cosa personale, non politica, dice in pratica. È il disagio, un sentimento che mi sembra adeguato e umano a situazioni del genere, decisamente opposto alla incazzatura tronfia di quelli che pensano che non ci sia mai niente di cui scusarsi, o almeno di cui discutere.

GR: A proposito di discussioni, voglio precisare che né tu né io siamo stati al concerto di Springsteen a Ferrara, se mai ce ne fosse bisogno. Io non sarei andato neanche se avesse suonato gratis sotto casa, e a Ferrara l’avrei annullato anche se non fosse successo quello che è successo in Emilia. Detto questo il Boss non ha sentito l’esigenza di dire nulla, né di personale, né di politico, come se il turbo-rock-capitalismo dei concertoni fosse un mondo a sé e rispondesse solo al dio delle prevendite e del sold out. Ma l’unica cosa che rimane, oltre ai bicchieri di birra e la monnezza alla fine del live, è il disagio degli springsteeniani buoni che si sono sentiti tirati in mezzo in qualcosa che non forse da oggi non gli appartiene più.

AP: Che brutta cosa, sì. Nel borsino boomer della settimana va forte anche la morte di Andy Rourke, bassista degli Smiths che mi ricordo per quella pettinatura inglesissima nelle vecchie foto, per il suono assurdo del suo strumento e perché gli Smiths li ho adorati. Purtroppo il disagio provocato dalla svolta di ultradestra di Morrissey mi rende impossibile riascoltare di nuovo qualcosa degli Smiths. L’ho proprio giurato, non cederò, mi spiace. Proverò a ricordarmi a memoria la linea di basso di “Barbarism begins at home”, capolavoro new wave, se ce la faccio. Sennò amen.

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