‘Heimlich & Co.’ è un gioco da tavolo selvaggio, e se non ci fosse bisognerebbe inventarlo | Rolling Stone Italia
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‘Heimlich & Co.’ è un gioco da tavolo selvaggio, e se non ci fosse bisognerebbe inventarlo

Lo Sgargabonzi recensisce la creazione del game designer Wolfgang Kramer, un piccolo gioiello in fatto di paranoia e coinvolgimento, dove i giocatori sono lasciati completamenti a loro stessi

heimlich & co.

Instagram: @henry.shenn

Negli anni ho collezionato circa tremila giochi da tavolo di quelli veri, con il nome dell’autore che campeggia sopra il titolo. L’ho fatto sia perché il gioco di società è la mia passione massima (dopo qualche altro vizio con cui non vi annoierò), sia perché abitando in un paesino di duemila abitanti immerso nelle campagne della Val di Chiana, se la prima edicola è a dieci chilometri, la ludoteca è a un centinaio, mentre in compenso il primo lupo sta solo a pochi centimetri.

Per questo motivo, acquistare i giochi è l’unica maniera per provarli. Dopo anni di soldi spesi, partite organizzate a casa mia, ore a studiare regolamenti e spiegarli per far divertire gli altri, preparare i setup e smantellarli dopo, leggere recensioni e vedermi gameplay per scegliere dove buttare altri soldi, mi sarò rotto i coglioni? Risposta: sì.

Se non fosse così sarei da far ricoverare. Soprattutto perché guardo la mia collezione e, dovessi dire quanti giochi ricomprerei oggi, forse sarebbero un quarto. Ma questo non ha frenato la mia passione. Con il passare del tempo, com’è naturale, i miei gusti sono solo cambiati, e i giochi che oggi intavolo con maggior piacere sono quelli che creano metagioco. Ovvero chiacchiere al tavolo, vita fra un turno e l’altro, discussioni, accuse, delazioni, prese in giro. A patto che non siano le cazzate goliardiche che gioca la gente normale (nel senso più deteriore del termine). E il genere perfetto per far respirare il metagioco è quello del bluff. Se poi al bluff si somma l’identità nascosta, allora la serata che ti offre quel gioco è meglio che appartarsi con una bella fica (a me piaceva tanto Marina Graziani).

Heimlich & Co., del veterano Wolfgang Kramer, è per me il punto massimo del crossover fra i due generi di cui sopra. Nel gioco interpretiamo delle spie che devono sventare un attentato scoprendo chi si cela sotto i cappelli a tesa larga delle spie rivali. L’ambientazione, come sempre nei bei giochi, è puramente posticcia, quello che conta sono le meccaniche.

In questo caso i giocatori si posizionano attorno a una plancia, che rappresenta una strada circolare contornata da dodici edifici, a mo’ di orologio. Davanti a uno di questi campeggia un valore crescente che va da 0 a 10, ma c’è anche il -3. Ogni giocatore riceverà una carta, che lo informerà sulla propria identità segreta, ovvero di che colore è la pedina rappresentante la propria spia, quella che gli farà fare punti. Ovviamente l’informazione è privatissima e la conoscerà solo lui. Si posizionano le pedine di tutte le spie, di sette colori diversi, sulla casella zero. E sulla casella sette va la cassaforte. A ogni spia corrisponde poi una pedina segnapunti, che andrà sullo zero della cornice segnapunti che costeggia la plancia. Inutile dire che il giocatore che farà più punti sarà il vincitore.

Al proprio turno il giocatore lancia il dado per ottenere un determinato numero di punti movimento, che potrà dividere liberamente fra le varie pedine (non solo la propria!), sempre facendole muovere in senso orario. Tipo: ottengo sei e muovo l’arancione di sei, oppure l’arancione di quattro e il verde di due, oppure tutte le pedine di uno tranne la viola. Nel momento in cui una spia raggiungerà la cassaforte, tutte le spie otterranno dei punti pari a quelli dell’edificio su cui si trovano. Il giocatore di turno sposterà poi la cassaforte su un altro edificio libero.
Nel momento in cui una pedina punteggio tocca o supera il numero 29, il gioco sarà messo in pausa. E lì la parte più divertente e intrigante: ogni giocatore scriverà su un foglietto i nomi degli avversari e accanto a ognuno il colore che crede che sia. Nel momento in cui una pedina segnapunti supera il 42, la partita ha termine. Si riveleranno i contenuti dei foglietti e ogni giocatore avanzerà il proprio segnapunti di cinque punti per ogni deduzione corretta.

Una variante prevede l’utilizzo di carte azione, contenute nel gioco base, che danno una piccola asimmetria iniziale ai giocatori. A fronte di pochissime regole, Heimlich & Co. è un gioco di pura paranoia che ti costringe a bluff con doppio e triplo salto carpiato. Posso muovere la mia spia portandola in una posizione ottimale, ma gli altri giocatori lo noteranno, capiranno che è la mia e cercheranno di sfavorirla per tutta la partita. Oppure posso far finta che la mia pedina sia un’altra, magari una di quelle che ho dedotto non appartenere a nessun giocatore, favorire quella e solo in secondo luogo la mia. Oppure far credere che la mia sia una spia senza padrone, così che a muoverla siano gli altri per bluffare. O ancora penalizzare fortemente la mia spia a inizio gioco, sottolineando la cosa, sperando di scansare i sospetti per tutto il resto della partita. E come fare per liberare la mia pedina dai sospetti una volta attenzionata?

Kramer ha avuto il colpo di genio di sottrarre alle meccaniche tutto quello che era possibile, per far davvero respirare il bluff in tutta la sua letale purezza e senza nessuna scusa, rendendo il giocatore unico responsabile della sua sorte e senza offrirgli nessun paracadute. 

Heimlich & Co. vinse, nel 1986, lo Spiel des Jahres, il premio più importante per un gioco da tavolo, e ha talmente la foggia di un classico che sembra un gioco che non è stato inventato ma scoperto. È un gioco per tutti, perfetto per il giocatore della domenica ma intrigangante per quello esperto. E pensare che il mio game designer preferito è Reiner Knizia, mentre Wolfgang Kramer lo metto solo secondo. Eppure il mio maestro Knizia, pur nelle sue vette di game design, non ha mai creato un gioco tanto selvaggiamente divertente e foriero di metagioco quando Heimlich & Co. C’è arrivato vicino con Quo Vadis? Forse. Ecco, io questa cosa non sono mai riuscito ad accettarla.

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