F*ck FOMO, ma con stile | Rolling Stone Italia
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F*ck FOMO, ma con stile

È la stagione delle classifiche, e abbiamo bisogno di con una playlist che sfidi i benpensanti, confusa, cialtrona, collettiva. Oppure, morettianamente, di mettere da parte la paura di perderci qualcosa

F*ck FOMO, ma con stile

Baby Gang e Simba La Rue

Foto press

Alberto Piccinini: Tu come va? Io ho un diavolo per capello. Arriva la stagione delle classifiche, dei dischi, dei film, dei libri dell’anno e non so mai cosa mettermi. Qualcosa che dica un po’ di me ma allo stesso tempo spinga chi legge o ascolta a riconoscersi in un terreno comune, scoperte e passioni, qualcosa tipo i mixtape sulla cassetta che una volta davamo alle fidanzate, hai presente? Anzi, boh, ora che mi ci fai pensare temo che la totale e narcisa inutilità del formato classifica cominci proprio da lì. Seguimi: l’altro giorno leggevo la classifica di The Wire, un po’ perché esce all’inizio di dicembre e un po’ per capire a che altezza è arrivata l’asticella. Primi gli Yo La Tengo, bel disco per carità, niente contro la nostalgia al limite provocatoria, ma pare indie scozzese dell’87, che ce ne facciamo con il disastro che c’è intorno? Di seguito: field recordings, free jazz canadese (molto scolastico), Matana Roberts non ispiratissima, turntablismo inglese, e i Khanate di Stephen O’Malley, metallo d’avanguardia a botte di venti minuti per brano. A qualcuno piacerà, non discuto, ma lo devo dire: mi pare una classifica boomerissima e di vaga révanche maschile. Non per genere e contenuti, ma proprio perché è al 90% inascoltabile, diffonde solitudine e purezza dell’ascolto invece di confusione, avventura, cialtroneria collettiva. Adesso che tutti sembrano avere un’opinione su tutto, non potrebbero essere rivoluzionarie l’incertezza e l’incompetenza sincere? Eccoci qua. Ti faccio una proposta: proviamo almeno qui a fare una classifica di cose che ci sono piaciute veramente. I 5 pezzi trap dell’anno, dal calduccio delle nostre case pieni di libri e lampade Ikea. Baby Gang? Paky?

  1. Levante – Simba La Rue, Paky 
  2. Massafghanistan – Kid Yugi, Night Skinny
  3. Napoletano RMX – Baby Gang feat. SLF
  4. Paura e delirio a Milano – Ghali feat. Tony Effe, Dylan, Side Baby
  5. Milano Bene – Sfera Ebbasta

Giovanni Robertini: Una playlist ormai pronta a essere messa al rogo dal phascio bigottismo, a colpi di concerti annullati – Ladispoli is burning! – e opinionisti reazionari. Basta citare gli ultimi due episodi: il primo riguarda Marracash e Gué colpevoli, secondo “Il Babbo Quotidiano” (cit. Gué), di aver inneggiato alla libertà di un malandrino della Barona, dandogli anche un frame di visibilità nel videoclip di Love. Nella farsa, il garantismo di strada del rap sembra ormai una forma di resistenza – non importa se giusta o sbagliata – all’aria da manette e caccia alle streghe iniziata con il “decreto rave” e proseguita con il “decreto Rete 4″ (quello contro le rom incinta che rubano sulla metro e contro chi occupa le case), una vera e propria operazione politica. Il secondo episodio vede la presenza del redivivo Paolo Crepet, passato da scarso psichiatra di opposizione a scarso psichiatra di governo, senza abbandonare il culto per i maglioncini di Natale, quelli che tutti regalano e nessuno compra. Crepet ha detto che chi ascolta trap “diventa un drogato che usa psicofarmaci”. Signora mia! Solo la satira fatta bene può giocare con questo fuoco e con questi piromani, quindi ti rimando alla pagina Instagram di Filosofia Coatta: “Un genitore dovrebbe dire al figlio metti la testa a posto, pensa alla drill!”. Certo, a volte mi viene “la sindrome Morgan”, quella del grande complotto pluto-massonico delle case discografiche, e penso che i vari Crepet e Del Debbio sia in realtà stipendiati dalle major per tenere alto l’hype sul genere. Quindi in qualche modo anche loro, artisti, performer, MC’s del piccolo schermo, il che mi fa venire voglia di fare una classifica di fine anno dei nostri preferiti dei talk. Che ne dici? Tra l’altro al concerto di Venerus, l’altra sera a Milano, durante uno strumentale latineggiante samba/batucada, sul ledwall scorreva un po’ di Blob TV con Giordano che vaga per lo studio in monopattino, pronto per la Biennale Arte.

I nostri preferiti dei talk:

  1. Maurizio Belpietro, una maschera maya di terrore, anche quando sta zitto ce l’ha con te, e comunque hai torto perché “mi ha invitato e non mi fa parlare”. Grande urlatore;
  2. Maurizio Senaldi. Aggiungi alla simpatia da barzellettiere da bar la tecnica della goccia cinese, favorita dal fatto che a volte è capace di stare in TV sette-otto ore al giorno, più di qualsiasi conduttore;
  3. Camillo Langone, visto soltanto una volta con la Bibbia in mano a invocare il patriarcato. È bastato. Fulminante, tipo Dio e Mosè;
  4. Annalisa Chirico con la recente battuta “alla Scala bisogna gridare solo viva la gnocca”. Aggiunge mille punti a una spietatezza gelida e soprattutto incomprensibile;
  5. Giuseppe Cruciani, ma solo quando lo inquadrano e alza il sopracciglio.

AP: Classifica difficile, passioni al limite del sadomaso. Vorrei aggiungere una menzione speciale per Andrea Giambruno, grandissima scoperta per gli intenditori che lo hanno visto in azione con il direttore Feltri (sembrava la vecchia Gialappa’s) prima dei fuorionda banalissimi che gli hanno giustamente stroncato la carriera. 

GR: E una menzione anche per Claudio Cerasa che sembra uno di noi… e invece è IL NEMICO.   

AP: L’altro giorno ho visto il concerto di Calcutta a Roma, sold out da mesi, un eventone. Che ti devo dire? Poco giudicabile per via del suono cavernoso del Palasport, problema risalente agli Anni ‘60 del secolo scorso e neppure nella mente del suo visionario progettista Pierluigi Nervi. Avrebbe potuto essere un Venditti 1978-79 o un Lucio Dalla ’83, quindi buono. Calcutta mi piace: carino, gentile, impacciato. Mi sono lasciato prendere dal karaoke collettivo, sennò uno se ne sta a casa a sentire il disco, no? Be’, la sera prima avevo visto il Verdi alla Scala, un fumettone clamoroso, opera difficile, diseguale nella riuscita, regia noiosa e cantanti in difficoltà. Sempre viva Verdi comunque, certi suoi zumpappà da banda di paese ce li abbiamo nel DNA anche se non li abbiamo mai sentiti. E viva l’Italia antifascista, gridato nel silenzio da un loggionista dandy, giornalista esperto di cavalli, che pareva uscito da un altro mondo bellissimo dove vorrei sempre vivere. La musica è sempre anche politica. E così, quando da Calcutta tutti cantavano “uè deficiente”, io ho pensato “viva l’Italia antifascista”. E l’ho cantato. Non chiedermi come, nella metrica c’è stato perfettamente.

GR: Comunque un modo per uscire dal dilemma delle classifiche, o peggio ancora dal brutto incubo del Wrapped di Spotify è non farsi trovare, darsi alla macchia, nascondersi nella nicchia di Bandcamp o meglio del vinile a edizione limitatissima, come hanno fatto I Cani e i Baustelle per la loro freschissima collabo. È il “mi si nota di più se non vengo affatto” di morettiana memoria, il f*ck FOMO ma con stile, anche se alla fine ricorda sempre quel nostro vecchio amico che non aveva per scelta la TV in casa ma sapeva tutto dei concorrenti dell’Isola dei Famosi. Eppure, nonostante la scelta blandamente contro-sistema, l’operazione “vinile per happy few” ha avuto la sua polemica. Il mio negozio di dischi Psycho ha fatto un lungo post su Facebook lamentandosi non tanto di quei clienti che arrivano in negozio chiedendo “ce l’hai il disco de I Cani + Baustelle” senza poter essere accontentati, ma con l’etichetta – 42 Records – colpevole secondo loro di “una speculazione peggio di quella delle major” che porterà i gestori del negozio a declinarne l’acquisto se gli venisse proposto. Chissà che ne direbbero Cruciani e Parenzo alla Zanzara.

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