Guardando Adolescence, la miniserie britannica originale Netflix, il mondo ha preso familiarità con il termine incel. La serie comincia con l’arresto di un tredicenne, Jamie Miller, accusato di aver ucciso una compagna di scuola, e si inoltra nella missione di analizzare le cause sistemiche e strutturali che hanno portato al femminicidio.
Come hanno raccontato gli autori di Adolescence, Jack Thorne e Stephen Graham, l’idea di portare sullo schermo queste tematiche è arrivata dopo aver letto diversi casi di cronaca in cui adolescenti avevano ucciso delle coetanee. I due autori hanno condotto una loro analisi del mondo incel, usando profili falsi per introdursi in queste comunità online di ragazzi e uomini che si categorizzano come “involuntary celibate” e che, come spiega la definizione della Treccani, covano sentimenti di frustrazione e di rivalsa nei confronti delle donne. Ma esiste un corrispettivo uguale e opposto per chi si identifica come donna?
Snì. Mentre il termine femcel ha preso vagamente piede tra teorie online e rivendicazioni TikTok, vale la pena cominciare questo discorso dicendo che, a parte il nome, le due definizioni hanno davvero poco in comune. Così diversi magazine, soprattutto inglesi e americani, analizzano sempre più spesso il termine e le sue derivazioni, individuando chi, nella rappresentazione culturale di finzione, potrebbe essere ascrivibile alla categoria femcel, per capire meglio il fenomeno.
Un elenco c’è e, a seconda che siate fan di una o dell’altra opera, è inevitabile storcere il naso pensando alle protagoniste di queste storie come femcel. Ma, per dovere di cronaca, eccone alcune: la Amy Dunne del film Gone Girl di David Fincher; la protagonista senza nome de Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfeg; Lux Lisbon de Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola; Phoebe Waller-Bridge nel suo Fleabag. Considerando che Fleabag è una delle serie che considero meglio riuscite di sempre, vedere il nome di Waller-Bridge in questo elenco mi ha vagamente disturbata. Ma per comprendere meglio perché questa eroina disfunzionale sia stata inserita nel corrispettivo femminile degli incel, facciamo un passo indietro.
L’identificazione di una femcel è molto più fumosa e variegata. Se è vero che nasce da una problematica più o meno comune agli incel – ovvero la convinzione di non poter avere una relazione sentimentale o sessuale e incolpare il sesso opposto per il rigetto – l’esito è diverso. Basta guardare Adolescence e Fleabag per trovare una differenza fondamentale: Jamie riversa la propria rabbia all’esterno culminando nel femminicidio, mentre il percorso della protagonista di Waller-Bridge è un lungo processo di autodistruzione. E questa è la differenza più grande tra il mondo incel e femcel.
A parlarne clinicamente è uno studio condotto all’inizio del 2025 e pubblicato dal National Institute of Health statunitense – poi ripreso da varie testate tra cui The Independent – che ha raccolto dati da 24.000 post online di femcel. La ricerca ha evidenziato come le femcel reali – ancora prima di quelle di serie e libri – non riversino la propria frustrazione in atti di violenza verso gli uomini, e che «sono più interessate alle proprie frustrazioni» e, in generale, «mostrano meno sostegno ad aggressività, violenza e criminalità rispetto a quanto riportato per gli incel maschi». Così la conclusione dello studio: «Sebbene alcune femcel facciano riferimento alla loro rabbia, al loro odio o al desiderio di vendetta, questa antipatia potrebbe essere radicata nelle loro preoccupazioni su come trovare un partner intimo adatto evitando al contempo la minaccia che le donne spesso affrontano da parte di uomini violenti».
Considerando per un attimo solo TikTok, presentarsi come femcel in un video significa esprimere liberamente le proprie parti manipolative, tossiche e arrabbiate. A differenza dell’essere incel, però, il definirsi femcel è più simile all’ennesima estetica social (in cui sono i tuoi consumi culturali a definirti) che a un gruppo radicalizzato le cui azioni hanno effettivamente un riscontro nella quotidianità. In questo senso, il femcel core idealizza personaggi di finzione – ma anche reali come Lana Del Rey, Fiona Apple, Sylvia Plath – che romanticizzano la solitudine e la sofferenza, con una tendenza a sottovalutare le situazioni di difficoltà psicologica e rifiutando l’idea di chiedere aiuto.
Infatti le donne di Moshfeg e Waller-Bridge si lasciano assorbire dal loro senso di inadeguatezza, dal conformarsi alle richieste della società come avere un lavoro stabile, essere produttive, avere una relazione equilibrata, coltivare amicizie, abitudini sane a tavola e nella quotidianità. Le femcel finiscono per riversare queste sensazioni contro se stesse, sprofondando in un vortice di annientamento apparentemente senza uscita.
Solo in alcuni casi la definizione di femcel, o almeno quella che si vede sul grande schermo, prende una deriva violenta. Il cinema lo fa con personaggi come la Nina Sayers interpretata da Natalie Portman ne Il cigno nero o Angelina Jolie nei panni della ragazza interrotta. In questo senso, l’antieroina femcel per eccellenza è quella di Gone Girl, con il monologo di Amy Dunnen che viene spesso citato come manifesto di rabbia. Il monologo della “cool girl”, così viene definito in lingua originale, mentre in italiano viene tradotto con la definizione un po’ meno efficace di “strafica”, viene trasposto nel film quasi interamente dal libro omonimo di Gillian Flynn. Il discorso che Amy Dunn pronuncia mentre si tinge i capelli e guida l’auto fa così: «Nick amava la ragazza che fingevo di essere. La strafica. Gli uomini dicono sempre così, no? Il complimento assoluto: ”È una strafica”. La strafica è sexy, la strafica è divertente, la strafica non si arrabbia mai col suo uomo, si limita a sorridere, rammaricata e amorevole e poi gli offre la bocca da scopare. Le piace quello che piace a lui quindi, ovviamente, lui è un patito di vinili e dei manga sadomaso. Ma se lui vuole, lei sarà una sciacquetta che parla di football e mangia ali di pollo al fast food».
Nel monologo, Flynn sembra suggerirci che la vendetta della protagonista sia radicata in un profondo odio verso il sistema patriarcale: perché non la rappresenta, perché è rimasta delusa da un marito che ha perso interesse nell’avere una relazione con lei e l’ha lasciata per una donna più giovane. E il suo sfogo diventa un piano macchiavellico per farlo incolpare della sua morte. Guardando all’esempio di Gone Girl, sembra chiaro che se i contenuti culturali sugli incel come Adolescence servono per riflettere sull’attualità, i prodotti cinematografici e letterari in cui le femcel diventano effettivamente violente nei confronti degli altri sono espedienti narrativi. Storie di finzione che non hanno un riscontro sistematico nei fatti di cronaca.
D’altra parte, le femcel trovano in Amy Dunne qualcosa a cui aspirare, una sorta di alterego, così come gli incel ammirano personaggi di fantasia come Joker, Patrick Bateman o gli uomini del Fight Club. E qui si delinea una connessione piuttosto insolita: Gone Girl e Fight Club sono entrambi film di David Fincher. Il regista è stato in passato anche duramente criticato perché il suo film con Edward Norton e Brad Pitt ha posto le basi a un universo di ispirazione incel. Intervistato dal Guardian a proposito di questo sgradevole inconveniente, Fincher ha risposto: «Non sono responsabile di come le persone interpretano le cose… Il linguaggio si evolve. I simboli si evolvono». Per poi aggiungere: «È impossibile per me immaginare che la gente non capisca che Tyler Durden (Brad Pitt) è un’influenza negativa».
Ciò che può aiutarci nel navigare tra prodotti culturali che riflettono un universo incel o femcel è proprio la consapevolezza nell’interpretare questi personaggi di fantasia e gli sforzi dei loro autori come rappresentazioni di un disagio interiore che, nel più auspicabile dei casi, non attraversa mai la linea tra finzione e realtà. Nel mondo TikTok e narrativo, presentarsi come femcel significa per lo più ribellarsi all’inaccessibilità di una vita spacciata per perfetta ma codificata secondo un sistema patriarcale. Ma va comunque posta una soglia dell’attenzione nel non assorbire esperienze apparentemente innocue che possono finire per plasmare atteggiamenti, comportamenti e desideri reali.