Emergenza brasiliana: mi sono distratta un attimo, e ora è tutta una questione di culo | Rolling Stone Italia
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Emergenza brasiliana: mi sono distratta un attimo, e ora è tutta una questione di culo

Dove per “culo” s’intende il sedere, non la fortuna, e dove con “questione” si fa riferimento a una disavventura – ma che dico, un’odissea – che ha coinvolto la sottoscritta, alla ricerca di un “semplice” costume da bagno

Emergenza brasiliana: mi sono distratta un attimo, e ora è tutta una questione di culo

Brigitte Bardot in 'Manina ragazza senza veli' di Willy Rozier

Foto: Atlantis Films/Pictorial Parade/Courtesy of Getty Images

Dove per “culo” s’intende il sedere, non la fortuna, e dove con “questione” si fa riferimento a una disavventura – ma che dico, un’odissea – che ha coinvolto la sottoscritta, alla ricerca di un “semplice” costume da bagno. Dove, infine, con “semplice” s’identifica il classico bikini, che più classico non si può: un acquisto che (almeno a me) non procura particolare piacere, che compio in media una volta ogni due anni e a cui non voglio destinare più di cinquanta euro al massimo. Una cifra più che legittima, per un capo che indosso sì e no tre settimane nell’arco di 365 giorni e che non credo si meriti un investimento maggiore. Quel “semplice”, nella mia accezione, si declina in tre diverse caratteristiche che un costume deve possedere per definirsi perfetto: per quanto riguarda il reggiseno, non avere imbottiture, coppe preformate, ferretti, push-up o altre diavolerie; per quanto riguarda lo slip, no a brasiliane, tanga, culotte, sì alle mutande – non so manco io come chiamarle: “tradizionali”? – eventualmente con nodini o laccetti; per quanto riguarda la fantasia, sì a righe, fiorellini, disegni piccoli e discreti, no ad animalier, paillettes, strane applicazioni, cafonate in genere.

Per una bizzarra legge della fisica secondo la quale meno orpelli vuoi, più orpelli troverai, unita al desiderio di andare a colpo sicuro senza dover perdere ore in giro in una Milano torrida, da brava maniaca del controllo ho iniziato con una ricerca preventiva online, e già lì ho capito che quest’anno sarebbe stata più dura del solito. Armata di pazienza e con quattro possibili brand candidati ad aggiudicarsi l’ambito trofeo di “bikini con cui trascorrerai l’estate”, alle dieci del mattino di un anonimo mercoledì ho scoperto che quello più convincente aveva il negozio chiuso per rinnovo locali. Una giornata in salita. Già nel secondo comincia a prendere forma il problema: c’è il sopra, non c’è il sotto. A ogni mia domanda «scusi, di questo reggiseno c’è lo slip?», la risposta puntualmente è «no, mi spiace, solo la brasiliana». Ma come? Ma perché? In un impeto di problem solving, mi guardo in giro e vedo delle mutande tinta unita vendute singolarmente: gaudio, giubilo, esistono ancora! E se ne abbino una verde non sta nemmeno male! «Ma posso prendere solo il reggiseno con questi slip verdi, anziché la sua brasiliana?». «Eh no!». «Ah, no?». «Eh no, se non sono i suoi slip no». Trollata dalla commessa-Floris, tento in extremis con la logica: «Ma i suoi slip non ci sono». «C’è la brasiliana, è la stessa cosa». No che non è la stessa cosa, che diavolo vai dicendo? Chi si è arrogato il diritto di stabilire che la brasiliana vince sullo slip? Mi viene prospettata la soluzione: comprare il costume così com’è, e pure le mutande che voglio io. Buttare la brasiliana, tenere le mutande. Ma si tratta di principio (nonché di budget), e non voglio cedere: fuori il secondo, avanti col terzo.

Qui i reggiseni sono (quasi) tutti imbottiti o preformati, e tocca scartabellare un bel po’ per esultare «It’s a match!»: ne trovo cinque con le imbottiture estraibili, quattro dei quali – oltre all’immancabile brasiliana – hanno lo slip abbinato. Nei camerini l’aria condizionata non pompa come dovrebbe, io ho la mascherina, sono infastidita, in ritardo sulla tabella di marcia, vittima di un incessante vesti-svesti-rivesti, sudata da far schifo. Le mutande sono grandi, chiedo un’extra-small, l’extra-small non esiste. «Posso vedere?», domanda la commessa invadente, io le dico no, guarda, non è un bello spettacolo, fidati, ma lei tira comunque la tenda e dopo avermi scrutata sentenzia un «proviamo la brasiliana, che è più piccina?». Ora, apro una parentesi: io non ce l’ho con la brasiliana per motivi di pudicizia o perché ritengo che il mio lato b non ne sia degno; ce l’ho con la brasiliana in quanto apice del fastidio che un capo d’abbigliamento può arrecare. L’unica volta che ho ceduto all’acquisto (ma si parlava di intimo) ho trascorso un’intera serata a rimettermela a posto (ergo, togliermela dalle chiappe) non appena gli amici insieme a me non mi prestavano attenzione. È stato scomodo, frustrante, pure un po’ umiliante. Fatico a comprendere quando, e per mano di quale individuo, la brasiliana sia diventata il nuovo sexy: abbiamo passato anni e anni a puntare le nostre carte migliori sul décolleté e ora, senza che ce ne accorgessimo, è diventata tutta una questione di culo. Devo arrendermi alle evidenze: viviamo in un mondo in cui con un push-up o una coppa preformata inganniamo il top, e demandiamo a un misero triangolino di tessuto la (s)copertura di bottom che – nel migliore dei casi – sono sodi e scolpiti, ma che comunque pretendono di essere esibiti. Un mondo in cui, puntualizza Invadenza, «i reggiseni sono imbottiti per non far vedere i capezzoli: sai, per molte è imbarazzante». O forse è l’algoritmo di Instagram a provare imbarazzo, dunque si aggira la potenziale censura con protezioni extra, sia mai che non si carichi la foto dove sono appena uscita dall’acqua, sensuale e gocciolante.

Da persona che a vent’anni prendeva il sole in topless senza vergogna alcuna, trovo la cosa vagamente paradossale (seno/capezzoli no, sedere sì: secondo che criterio?), ma dato che tendo a dare seconde chance a qualsiasi cosa, inclusa la coda di rospo, decido di non fare eccezioni in tema di costumi e di provare ’sta benedetta brasiliana. Pallida, struccata, sudata (daje), mascherinata (aridaje), mi guardo allo specchio: ho le mie mutande, e sopra indosso l’incriminata striscia di stoffa che lascia libero due terzi delle natiche. La misura è anche giusta, peccato per il profondo senso di disagio che compare non appena muovo due passi avanti e indietro: siete pazzi, non mi avrete mai, figurati se vado a rovinarmi due settimane di vacanza con un indumento chiaramente creato dal demonio. Stremata, cambio negozio e mi gioco l’ultima possibilità, o la va o la spacca. In un ipotetico romanzo storico, la scena sarebbe stata raccontata più o meno così: «Avete un bikini normale?», la sventurata domandò. «Cosa intendi per normale?», il commesso-censore ribatté. Rischiando una denuncia per sessismo/classismo/razzismo nei confronti dei costumi da bagno (aggettivo scivolosissimo, oggi, “normale”), la sventurata elencò le linee guida che ormai conosceva a memoria. E, nonostante i tentativi del commesso-censore di sviarla – «Questa è una preformatura, non un’imbottitura, quasi non te ne accorgi!», «Le nostre brasiliane non sono come le altre, fidati» –, la sventurata non cedette e conquistò non uno, bensì due bikini normali, o semplici che dir si voglia. «Sono in promozione, ormai questi modelli non vanno più», sentenzia il commesso-censore battendo lo scontrino, «tutte vogliono la brasiliana!». Avrei voluto rispondergli che tutte non sono io; che vacci in giro tu, con la brasiliana, poi ne riparliamo; che la moda sa essere stronza in tanti piccoli modi, ma il sole era alto nel cielo, il mio grado di sopportazione arrivato al massimo e il mio desiderio di tornare a casa non quantificabile.

Alla fine, insomma, ho sorriso, afferrato il sacchetto, e mi sono schiacciata un cinque virtuale per la spesa irrisoria (60 euro per due costumi normali, fantascienza!). In metropolitana ho scritto a un paio d’amiche perché avevo bisogno di conforto e di rinforzi positivi: sì, hai ragione, mi hanno confermato, siamo sotto scacco della brasiliana e dei reggiseni rinforzati, tu sei riuscita laddove tante prima di te hanno fallito. Non sappiamo quando è avvenuto un simile cambio di tendenza, probabilmente eravamo impegnate a fare altro, probabilmente – come con l’elezione di Trump – non abbiamo attribuito l’opportuna gravità alle avvisaglie che da più parti stavano giungendo, probabilmente abbiamo distolto lo sguardo e sottovalutato la presa delle mutande infra-chiappa. Non succederà più, mi prometto varcando la soglia in uno stato semi-liquido. Sollevata, sì, ma anche un po’ in ansia: estate 2022, io ti sto già temendo parecchio.

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