David Lynch non è quello che sembra | Rolling Stone Italia
Conglomerandocene
conglomerandocene

David Lynch non è quello che sembra

Nel cinema del regista di 'Eraserhead' e 'Mulholland Drive' niente è come appare, nemmeno le nostre reazioni. Lo sa bene Lo Sgargabonzi, che avanza una modesta proposta: liberiamoci della parola con la "G" (genio), e torniamo a concentrarci sulla sostanza del film

David Lynch non è quello che sembra

David Lynch

Foro: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

L’ultima volta che David Lynch partecipò alla Mostra del Cinema di Venezia, ricordo che i giornalisti aprivano le interviste chiedendogli: “Come sta?”. E lui, serafico: “Bene, grazie”. Difficilmente avrebbero posto la stessa domanda a Woody Allen, Martin Scorsese o Brian De Palma. Sicuramente non l’avrebbero fatta a Gianni Ciardo, ma a Lynch pareva quasi dovuta.

Del resto si sa che il regista americano è da sempre un’anima tormentata, uno che non si lascia stare mai, anche se con la meditazione trascendentale pare abbia imparato a volersi un pochino più bene. Ci si chiede da che cosa sia tormentato. Un amore finito? Il peso dei ricordi? Le ipocrisie di questa epoca che non ci rappresenta? No, soldi. Semplicemente soldi. Dice: non ne ha abbastanza? Sì, ne ha abbastanza, ma ne vuole di più. Non c’è niente di strano in questo, visto che per comprare le incantevoli Volvo servono i folkloristici soldi. Ma io ho rispetto per tutto ciò, e lo dico senza ironia. Del resto non ne posso più di un mondo in cui la gente piange per un cane abbandonato in salotto mentre il padrone è in garage. E, di contro, il dolore di uno che ha perso dei soldi con la Parmalat provoca solo noia e disgusto.

Ho sempre pensato che Lynch sia un autore dagli ottimi gusti, più che un genio. La sua abilità è stata quella di creare un popolo di estimatori – anche brave persone, per carità – che fanno il lavoro al posto suo e costruiscono nottetempo le basi per il mito. Lo stesso del resto ha fatto, in scala minore, Battiato. Un popolo a rinvenire preziose Verità dietro i ghiribizzi surreali di questa persona pettinata strana. Roba da riempire le pagine dei forum e parlarne al pub per serate intere e vedere se, fra la Loggia Nera e il Sufismo, c’è anche verso di buttarlo in corpo a qualche bella signoroccia. Perché c’è Lynch, Carmelo Bene, Philip Roth, Enrico Oldoini e, solo dopo, tutto il resto.

Ma lo trovo giusto, perché il cinema di Lynch c’insegna una cosa fondamentale, e cioè che «i gufi non sono quello che sembrano», non tutto è come appare. Prendi Mulholland Drive, uno dei suoi film più celebrati. Doveva essere la puntata pilota di una serie televisiva per HBO, ma il network impose dei tagli per durata e contenuto. Lynch si è impuntato, non c’è stato, ché lui è giustamente un autore-non-mediato.

La serie andò a monte, così il francese Canal+ acquistò questa puntata, finanziando il suo completamento a film. Un semplice artigiano del cinema l’avrebbe presa, smontata, avrebbe tolto il “di troppo”, farcito in mezzo e portato verso una conclusione. L’autore Lynch no, l’ha tenuta esattamente così com’era e c’ha solo appiccicato un finale. Da lì, i personaggi che si perdono genialmente per strada durante il film.

Fece la stessa cosa agli inizi degli anni Novanta, confezionando un film dalla puntata pilota di Twin Peaks. Nessuna trama e solo lutto per tre quarti della pellicola, poi la repentina scoperta che l’assassino era Bob, che nel film non aveva nemmeno connotazioni sovrannaturali ma era semplicemente uno. Dice: uno chi? Un tizio, uno. A me pare una cialtronata marchiana ma, appunto, i gufi non sono quello che sembrano. Me lo conferma il fatto che Lynch stesso, nel DVD americano di Mulholland Drive, abbia inserito dieci indizi per comprendere il prezioso significato del film. E ha voluto che si togliesse la divisione in capitoli: o lo guardi per intero, o rischi davvero di fare ulteriore danno a questo vecchio pianeta.

Ripenso anche al suo film da persona normale, Una storia vera, l’occasione buona per dimostrare che le sue precedenti decostruzioni non erano fumo, ma una scelta cosciente rispetto a una narrazione classica. Ne esce un film con personaggi tipici, banalità, melensaggini da Sundance e dialoghi che gridano vendetta. Se fosse stato diretto da Uwe Boll avrebbero detto “vabbè, solita cagata”, se fosse stato di Alexander Payne “ma sì, carino”, ma è di David Lynch quindi i gufi sono pompelmo.

Potrà apparire ruvido quanto sto per dire, ma personalmente mi piacerebbe togliere Lynch dal suo tronettino e sbatterlo in Honduras, all’Isola dei famosi. Nella mia umile opinione, lì viene fuori chi conta davvero. Ce lo vedo, il re della meditazione trascendentale, imbranatissimo nelle prove ricompensa. Antonella Elia gli dà una spinta e Lynch cade come un pirulino. E nella sua mente pensa tutto surreale, alle minestre, all’idrogeno. Un poveraccio.

Altre notizie su:  David Lynch Conglomerandocene