Cosa sono diventati gli appuntamenti ai tempi del coronavirus | Rolling Stone Italia
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Cosa sono diventati gli appuntamenti ai tempi del coronavirus

Diciamoci la verità, il coronavirus è una roba per famiglie. Cosa c'è per noi single adesso?

Cosa sono diventati gli appuntamenti ai tempi del coronavirus

Foto di Thierry Monasse/Getty Images

Perché diciamoci la verità, il coronavirus è una roba per famiglie. Trasformare la crisi in un’opportunità è il nostro miglior spot dai tempi in cui la crisi è diventata di moda, seppur i Bluvertigo la cantavano già bene quando non lo era. Però che il coronaviurs sia l’opportunità che aspettavamo per fermarci e rimettere in asse i valori, va bene per chi dei valori ce li ha. Amore e rispetto per un compagno di vita, figli – meglio se piccoli – raccontarsi il proprio alto e il proprio basso della giornata tutti attorno ad un tavolo, giochi di società, Netflix in compagnia, rubamazzetto, sistemare quel mobile che da tempo dovevi scartavetrare, riprendere in mano la tua vecchia chitarra, fermarti a pensare che il tempo è prezioso… si certo, ma per noi single? Cosa c’è per noi single, adesso che la già vivida diffidenza sta banchettando allegramente sulle nostre insicurezze, senza lasciare spazio minimo al fascino del tutto può ancora succedere? (Un saluto anche a tutti coloro che in questo momento stanno vivendo storie a distanza).

Noi single, che in Italia siamo più di 8 milioni (già costretti ad un costo della vita più alto del 78%), in caso di epidemia perdiamo quella “invincibilità” alla Super Mario Bros che gli accoppiati o, ancora di più, gli accoppiati con prole, ci hanno sempre invidiato. Quella libertà di fare quello che ci pare quando gli altri sono costretti a casa, di prendere decisioni dell’ultimo minuto senza doverne discutere per ore, di uscire e accoppiarci con chi ci va, di viaggiare senza confini, ma soprattutto di volare con l’immaginazione affrontando improbabili quanto divertenti appuntamenti al buio. Ora sai gli accoppiati come ci ridono dietro a noi cinici e matti, matti, mattissimi? Perché in fondo noi single, soli per davvero non ci siamo mai stati, tanto che stare a casa di venerdì sera sembrava più un gesto esotico di centratezza, mentre tutto il mondo fuori urlava vendetta, e noi ci rintanavamo con le orecchie che sanguinavano, gonfi solo di voglia di staccare dal rumore e da WhatsApp.

In questi giorni però tutto è ribaltato. Chi ha faticato in questi anni per restare insieme oggi si stringe forte e può aspettare in compagnia – nel bene e nel male, per carità – che il peggio passi. Noi single che “sempre meglio perdere un amico (o un amante) che una buona battuta” oggi siamo davvero un po’ spaesati. Nei giorni in cui i decreti cominciavano a moltiplicarsi, per dirne un’altra, io ho pianificato un trasloco, un momento comunemente doloroso sotto molti aspetti, e oggi mi ritrovo confinata in un palazzo che non conosco, circondata da scatoloni pesanti da sollevare da sola e progetti di cene in terrazza da posticipare, manco fossi Rossella O’Hara in Via col vento. Quei mille palloncini a elio che tenevo in mano fino alla settimana scorsa, perché libera professionista e quindi mentre traslocavo e lavoravo, e gestivo e brigavo, sono volati via.

Così ho trovato il tempo di commuovermi, mentre nella casa precedente scoprivo lettere scritte a mano da fidanzati  di qualche era geologica fa, innamorati di me. Addirittura? Innamorati? E oggi chi si innamorerà più di me, se non mi può vedere, non mi può toccare, non può sentire che profumo ho? E mentre traslocavo, le consuetudini attorno a me si sgretolavano: ho rifiutato quell’ultimo cinema prima che chiudessero, quell’ultimo spettacolo a teatro prima che le tournè fossero annullate, quell’ultimo date prima che gli incontri diventassero solo telematici.

Telematici, sì. Ne ho uno in programma tra poco, perché è da troppo tempo che ci vogliamo conoscere meglio ma poi il lavoro, gli altri impegni, sono stanca, l’ultima delusione, ma forse non mi va di conoscerlo meglio… e adesso il virus. Stasera accenderò il mio computer, vestita carina, con magari anche un bicchiere di vino in mano, il rossetto quello che mi piace più di tutti, il mio tabacco qualora sentissi comunque la necessità di rollarmi una sigaretta perché la conversazione si fa difficile, e terrò il punto. Senza divagare. Non la possiamo buttare sul sesso, questa volta: ci toccherà ascoltare. Sarà finalmente l’occasione per non darla via prima che la persona che hai di fronte perda l’interesse.

Ho un nodo in gola mentre scrivo, un dejavù. Dov’è che ho già vissuto questo genere di emozioni? Non citerò la cinematografia distopica degli ultimi 20 anni ma le cose che abbiamo provato tutti tra i 14 e i 16. Mi sento come in preadolescenza: non so bene spiegare cosa provo quando provo qualcosa, non voglio vedere i miei genitori – perché ho paura di trasmettergli qualcosa di letale, mentre quando ero adolescente ero solo stronza – e se vedo qualcuno lo faccio di nascosto e il motivetto che ho in testa a manetta è solo Tanta nostalgia degli anni novanta, quando il mondo era l’arca e noi eravamo Noè. Era difficile, ma possibile, non si sapeva dove e come, ma si sapeva ancora perché. È 2030  degli Articolo 31, e il testo che ricordo è tutto giusto: si parlava di un virus che si prende tramite il sudore, che si comunica ancora, ma solo tramite internet, che Venezia affonda, che l’odio impera, che prima divisero nord e sud e poi città e città e pensa, adesso ognuno è chiuso nella propria stanza, l’intolleranza danza non c’è speranza… 

Fatemi gli auguri, perché stasera ho il mio primo date ai tempi del coronavirus.