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Cosa ci ha insegnato finora Threads

A un mese dal lancio in Italia del nuovo social di Meta, un viaggio tra il trend dei fotoritocchi, il delirio dei Vocalisti Anonim’, il black humour dei cretini, i rapper da “scemo chi legge”. Con una certezza: di tutto quello che scriviamo, ce ne pentiremo molto presto

Foto: Camilo Jimenez/Unsplash

Prima di scrivere questo articolo mi sono chiesta se non fosse il caso di raccontare questo primo mese (in Italia) di Threads come lo si fa con le storie, ché di personaggi fiabeschi ne è pieno il mondo e l’ennesimo social targato Meta (vedi: Mark Zuckerberg) come sempre ce lo conferma. Ma come iniziare? Nessun dubbio: se Threads fosse la Cenerentola dei social, il suo “c’era una volta” sarebbe di sicuro quella richiesta d’aiuto che recita: “Qualcuno bravo con Photoshop potrebbe…”, annesse e connesse le amiche sbronze da rimuovere sullo sfondo (o le frangette da apporre sulle fronti filtratissime) del caso.

Sì, perché se non avete idea di cosa stia parlando e di come funzioni questo nuovo social, sappiate che Threads è un po’ tutto. In primis: il figlioccio di Instagram (vedasi il filo diretto che collega i due social, con Instagram che ci dà la possibilità di inserire il nostro nome utente Threads nella bio, nonché di visualizzare nel feed le preview di alcuni post considerati di nostro interesse), e come tale può farci condividere (meme e) foto, a maggior ragione se correlate da urgenti richieste di aiuto per una modifica con Photoshop (confronta: la famosa amica sbronza da rimuovere sullo sfondo). Ma Threads è anche il gemello diverso di X (aka l’ex Twitter, da cui molti sono fuggiti – ma ne siamo sicuri – dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk), con la possibilità di scrivere un post (thread, appunto) fino a un massimo di 500 parole, che a voler escludere il punto finale costituiscono anche le 499 di cui ci pentiremo tra (esagero) cinque anni. Infine: l’ultimo giocattolino social che ancora una volta fa leva sul nostro voyeurismo ed egocentrismo, e al punto da spingerci a condividere con perfetti sconosciuti un audio con la nostra voce o accettare questa imbarazzante sensazione di parlare da soli quando scriviamo le nostre boiate senza ottenere tuttavia alcun riscontro visibile (conteggio like o commenti: zero al quoto). Ma passiamo oltre.

“Qualcuno bravo con Photoshop potrebbe rimuovere la sbarra di ferro che sporge da questa balaustra a cui sono pericolosamente appoggiata?”. Lei è bella e impossibile, solo nel contesto sbagliato. E vuoi che uno dei 160 milioni di iscritti – attestati al 1° gennaio scorso – di Threads non si prodighi ad aiutare la poverina? Piovono i like, si sprecano i commenti di utenti che un po’ ci provano (“Come sei bella”, scrive lui; “Vuoi il mio numero» – senza punto di domanda – è la risposta di lei), e un po’ perculano. Ma se il tetano non intimorisce, figuriamoci i simpaticissimi del ritocco sbagliato (“Va bene così?”, e lei finisce infilzata).

Nel mentre, il tipico fanatico dei messaggi audio si è fatto avanti tra i commenti con un vocale di un’inutilità disarmante. Lui è quello che finora si era accontentato di entrare in una chat su WhatsApp per comunicare questo e quello – in genere boiate che variano dai 5 secondi ai 7 minuti – solo a mezzo vocali, e ora su Threads condivide registrazioni di tutto quello che gli passa per la testa: la frase scritta nel commento stesso; una bestemmia gratuita; il rutto sotto un post di Salvini o del politico di turno. È quell’amico (o amica) che tutti conosciamo e che un po’ ci fa sperare che prima o poi esisterà qualcosa come i VA – Vocalisti Anonimi, per spedircelo di corsa a compiere tutti i passi necessari al suo definitivo rehab. Ed è la dimostrazione definitiva che quella faina di Mark Zuckerberg, coi suoi social, riesce sempre a far leva su ciò che ci piace di più in quell’esatto momento: conoscere persone (Facebook), condividere foto (Instagram), registrare degli audio (Threads). In ogni caso: sgomitare per attirare l’attenzione.

Un po’ come il cretino che ora ha deciso di entrare a gamba tesa nel traffico di risposte alla tizia con la sbarra di ferro, per condividere l’ennesimo meme sull’ennesima vittima di femminicidio. Chi lei fosse, come sia stata ammazzata, quanti anni avesse: di tutto ciò in fondo non importa né a loro, né tantomeno a noi. Conta la sostanza: e cioè che se c’è una cosa che ci sta insegnando Threads, è che non solo il black humour non passerà mai di moda; ma che su questo nuovo social si piazza pure come una tendenza. E chissà perché fa ridere sempre i soliti quattro stronzi – in genere: maschi, poco più che adolescenti, tendenzialmente decerebrati (ma liberi di contraddirmi).

“Sappi che non sei sola: anche io una volta mi sono appoggiata a una balaustra da cui sporgeva una sbarra di ferro. Bisogna parlarne per preservare la propria salute mentale”, scrive una; “Io produco balaustre, se vuoi ti mando il preventivo per ripararla (qualcun altro nel settore che vuole fare network?)”, scrive un’altra. Ma certo, come non riconoscerle: dietro il primo commento c’è tutta la sensibilità di una rappresentante della Gen Z; dietro l’altro, la disperazione di una Millennial dalla pensione non assicurata. Ed è, ancora una volta, del tutto confermato: lo scontro generazionale ormai si analizza a 360 gradi senza molta fatica; basta scorrere (svogliati) il feed di un social.

Fermi tutti! C’è una spunta blu vicino a un nome: vuoi vedere che è arrivato il grande momento? Quando attiri l’attenzione del famoso di turno, puoi dire di avercela fatta – pure se non hai cancellato il commento dove ti si vede infilzata. E che fortuna: è quel rapper! L’idolo degli ormai adulti, il mito dei non più piccini. Il musicista dal flow perfetto e il liricista dalla penna potente che ora su Threads sente finalmente di poter esprimere un pensiero libero da vincoli e censure, senza imbarazzo; non come noi, che di tutto quello che condividiamo abbiamo una sola certezza: ce ne pentiremo presto. Così lui, il poeta-rapper, lo scrive, nero su bianco, mentre il Vocalista (non ancora) Anonimo di turno accorre a metterlo in versione audio.

Ed è quella la summa del post su Threads perfetto, la morale della fiaba social che ci meritiamo. Un commento che dice: “Scemo chi legge”. Con uno che l’ha scritto, e l’altro che l’ha detto.

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