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Conglomerandocene: Passa una serata da Blockbuster!

Nella nuova puntata della rubrica dello Sgargabonzi su Rolling Stone, un ricordo commovente della catena di film a noleggio: le famiglie in stato confusionale, il cestone giallo-blu dell’usato, i commessi cinefili

Foto: ANDREW MARSZAL/AFP via Getty Images

La pubblicità lo diceva chiaramente: “Passa una serata da Blockbuster!”. Sono sempre stato un ragazzo ribelle e gli ordini non me li facevo dare nemmeno a cinque anni da mio padre, ma capii subito che quella non era un’imposizione bensì un invito. Era noto infatti che i dirigenti di Blockbuster erano tutte persone empatiche e paciose che dei soldi non gliene importava un fico secco. La loro unica soddisfazione stava nel vedere famigliole felici girovagare in stato confusionale per ore fra gli scaffali, pasticciando custodie vuote, bramando biscotti dello Utah e provandosi cappellini con l’elica di Scemo & Più Scemo senza comprarli. Solo che, nel fine settimana, da Blockbuster non ci trovavi le famiglie Bradford dei loro spot, ma una fauna ben più alcalinica: senzatetto che si godevano il riscaldamento, spacciatori di salvia divinorum, legionari disertori, coppie di sordomuti scambisti, albini e ladri di bestiame in contumacia. Questo perché ci voleva un certo stomaco, per una persona normale, per autosuggestionarsi del divertimento ciondolando il sabato sera fra quegli scaffali laccati, mentre il mondo là fuori impazzava ballando la Mambo N°5 nei circoli ACLI.

Il fatto è che Blockbuster ci teneva a tutelare i nuclei familiari regolamentari ed offrire loro un nido caldo, accogliente, bagnato, depliant gratuiti e moquette bluastra. Come dicono i Greci: “mi casa è stuccata”. La serenità della famiglia omologata veniva prima di tutto, infatti Blockbuster non solo non distribuiva film erotici spinti, ma nel 1990 si rifiutò di mettere sugli scaffali anche L’Ultima Tentazione Di Cristo, capolavoro di Martin Scorsese, perché nel secondo tempo Ponzio Pilato aveva un figlio da Kaifa. Il punto d’orgoglio della catena era infatti il rapporto speciale e trasparente con la clientela. Da Blockbuster il cliente non era un semplice cliente: era tuo cognato. Basti pensare ai prezzi popolari dei noleggi: diecimila lire per un’ora e un quarto. Ergo: dirottarsi a casa, fare paura a tutti per avere il televisore libero, guardare il thrilling in scioltezza, avanzando veloce nelle parti dove non devono scoprire la password, poi fiondarsi in lambretta a centotrenta chilometri all’ora per riportarglielo in tempo. Pena: una multa salatissima e cagare in eurovisione con Ettore Andenna che commenta. Ai tempi potevi pure affittare da loro lo status symbol per eccellenza: un lettore laserdisc. Ti costava ottantamila lire per mezza giornata, ma in compenso volevano anche quattrocentomila lire come deposito, fosse mai che scappassi in Kenya col malloppo.

Da Blockbuster, quando compravi una vhs nuova, ci trovavi sopra l’avvertenza adesiva: “Ricompriamo questa cassetta”. Potevi spendere un centone per l’edizione quadrupla e cartonata di Corto Circuito 2. Te la godevi quelle due o tre settimane – pure un mese toh! – facevi l’amore con la custodia, poi invece di abbandonare il cofanetto sulla mensola di camera tua… potevi addirittura lucrarci sopra! Questo perché se gliela riportavi indietro, te la ripagavano la bellezza di duemila lire sane (anche in monete da cinquecento lire!). Quel cofanetto sarebbe finito poi nel magico scatolone giallo-blu delle rimanenze. La grande multinazionale infatti, come la peggior FotoVideo Guarnacci dell’angolo, ti scaraventava in uno scatolone la roba che non gli serviva più, con la speranza che frugando nella monnezza tu trovassi qualcosa che ti facesse sognare. Cassette e dvd usati, ditati ovunque, ormati di glande e gioiosamente sborrati, custodie piene peli di cazzo e di culo e materia fecale. E, ironicamente, su ogni custodia campeggiava l’adesivo: “Rigeneriamo il tuo usato!”. È anche vero che te li facevano pagare una miseria, tipo mille lire meno che se tu li comprassi nuovi. E quelle mille lire potevi investirle direttamente in un ruggente biscotto Hot Brownie Captain Nelson che trovavi nel cestello vicino alla cassa, con una cimice finita nell’impasto che scambiavi per un pistacchio, oppure donarlo in beneficenza a un’industria bellica.

Un giorno il mio amico Moreno Mancosu adocchiò nello scatolone la videocassetta usata de La Mosca 2 a diciannovemila lire. Nello scaffale accanto, il dvd nuovo di pacca del medesimo film costava la stessa cifra. Il sociologo Mancosu, per provocazione, li prese entrambi e andò a chiedere al commesso: “Quale mi consiglia?”. Lui li guardò interrogativo, se li soppesò, poi con fare secumerico sentenziò: “Non so, vedi tu, il vantaggio del dvd è che occupa meno spazio”. Era quello stesso commesso che, quando consigliava i film alla clientela, scambiava Tornatore con Salvatores, giustificandosi così: “Cioè, in pratica, è quasi lo stesso regista”. I commessi di Blockbuster li sceglievano fra quelli licenziati dalla BoFrost perché leccavano gli stecchi Big Sensation.

Pochi sanno inoltre che, al punto sette del vademecum che faceva fiera capoccella dal taschino di ogni commesso, era incisa un’aurea regola: “Non dare le buste se non te le chiedono”. Potevi spendere un’eredità texana in scatolame di biscotti, bibite, pizze surgelate, cofanetti di Cocoon, ma se non gli chiedevi una sportina di nylon, il commesso t’appoggiava tutto sulle braccia e scattava lontano da te per non avere responsabilità. Addirittura, se le inventavano di tutte anche quando compravi una bottiglia di CocaCola, per dartela senza bottiglia. Se non gliela chiedevi, te la versavano in quei cartocci per il fritto da passeggio e via andare.

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